lunedì 30 aprile 2018

HIROSHIGE


Hiroshinge.

Visioni dal Giappone


Parto per un viaggio
Lasciando il mio pennello ad Azuma [Edo]
Per visitare i luoghi celesti
Della Terra d’Occidente
[il Paradiso della Terra Pura]
Hiroshige


Utagawa Hiroshige, è tra i più celebri artisti del Mondo Fluttuante (ukiyo-e), fu un maestro capace di portare il paesaggio e la natura al centro della sua produzione, facendone i veri protagonisti. Deve la sua fama allo sguardo del tutto peculiare che lo contraddistingue, definibile “fotografico” perché in grado di restituire dinamismo grazie all’alternanza sapiente di pieni e vuoti e attraverso la costruzione di piani sovrapposti. Un senso di armonia e serenità pervadono le opere dell’artista, tanto da avere stregato i più grandi impressionisti e post-impressionisti europei, primo tra tutti Van Gogh che copiò ad olio il famoso Ponte di Ohashi sotto l’acquazzone del maestro giapponese.

Alle Scuderie del Quirinale di Roma si è aperta la mostra Hiroshige. Visioni dal Giappone, fino al 29 luglio, a cura di Rossella Menegazzo e con Sarah E. Thompson, per la produzione di MondoMostre Skira e con la collaborazione del Museum of Fine Arts di Boston.

L’esposizione, con la selezione di circa 230 opere appartenenti a prestigiose collezioni di tutto il mondo, permette di ammirare il tema della natura declinato dallo stile affascinante e raffinato di Hiroshige: dalle più note serie di vedute quali
Cento vedute della Capitale di Edo e Cinquantatrè Stazioni di posta del Tokiaido, alle silografie policrome di fiori, insetti e animali tra le più ammirate, fino ai disegni originali ancora intatti.

Le sue prime opere, presentate nella prima sezione del percorso della mostra romana, furono realizzate tra il 1820 e il 1830 circa perlopiù durante gli anni in cui lavorava sotto il maestro Toyohiro, che venne a mancare nel 1828, e mostrano già il suo talento nell’affrontare temi legati alla tradizione e quelli storici e teatrali, con la tecnica della silografia policroma.

Si tratta di stampe destinate al grande mercato delle “immagini broccato” (nishike),
così definite per la bellezza e la varietà dei colori che le distinguevano rispetto a tutto ciò che fino ad allora era stato prodotto in ambito artistico, e che proprio grazie a questa tecnica seriale poterono godere di una distribuzione più ampia rispetto a rotoli e paraventi a pennello.

La seconda sezione della mostra ha il titolo di Immagini di viaggio: Tōkaidō e Kisokaidō
Tra il 1833-1834 e il 1855 Hiroshige produsse decine di silografie policrome (nishikie) che avevano come soggetto la frequentazione “Via sul mare Orientale”, il Tokadō, che collegava la capitale imperiale di Kyoto alla capitale politico-amministrativa dello shogunato Tokugawa, Edo, facendone uno dei temi classici di paesaggio dell’ukiyo-e. Anche se Tōkaidō non era l’unica via, perché esisteva una seconda arteria che attraversa le montagne, il Kisokaidō a cui Hiroshige dedicò pure una serie di sessantanove stampe, essa rimaneva comunque il percorso preferito non solo da normali viandanti e pellegrini che si recavano a templi, santuari o al sacro monte Fuji, ma anche dai signori feudali delle province (daimyō) che erano costretti a recarsi ad anni alterni a Edo per portare gli omaggi allo shōgun.

Fiori, Uccelli e Pesci è il nome della terza sezione.
Forse ancor più che per i suoi paesaggi Hiroshige è apprezzato per le sue armoniche immagini di natura: composizioni di soli fiori, pesci, molluschi e crostacei, fiori e uccelli. La grazia e la semplicità con cui traccia il disegno delle varietà appartenenti al mondo della natura lo hanno reso ancor più fruibile di altri artisti contemporanei come Hokusai.

Hiroshige rivoluziona il modo di trattare la rappresentazione di animali e il classico soggetto di “fiori e uccelli” (Kachōga) rendendolo un genere unico. Vi integra versi poetici calligrafati come fili d’erba sottili in armonia con l’immagine sia come forma sia come contenuto.

Vedute di Luoghi lontani è il titolo della quarta sezione.
Se Hirhosige è considerato il maestro del paesaggio lo si spiega non solo per la qualità delle sue vedute sempre innovative e diverse, pur nella ripetizione dei soggetti, ma anche per la qualità di serie importanti che ha portato a termine a partire dagli anni trenta fino alla fine degli anni cinquanta dell’Ottocento.

Parodie e Umorismo è il titolo della quinta sezione
Questa sezione presenta una selezione di opere realizzate tra il 1840 e il 1854, in fogli singoli e serie di tre, che spazia in tutti gli ambiti del gioco visivo. Vi sono ombre cinesi, su fogli divisi in quattro aree illustrate, in cui un’immagine a colori, composta di figure umane, animali e oggetti, posta in un riquadro proietta la sua ombra grigia sul riquadro accanto che ha lo sfondo quadrettato a ricordare le porte scorrevoli di carta (shōji), creando però un’immagine inaspettata completamente diversa dal reale:
un uomo a gambe tese aperte piegato a testa in giù diventa con le sue natiche la silhouette grigia del Fuji, ecc…


La sesta sezione ha il titolo Vedute della Capitale Orientale
Tra il 1830 e il 1832, una serie di dieci fogli dal titolo Luoghi celebri della Capitale Orientale (Tōto meisho) a firma Hiroshige veniva immessa sul mercato tra il 1831 e il 1832 ottenendo l’attenzione del pubblico e degli editori.

Il seguito fu la sua grande opera dedicata alle Cinquantatrè stazioni di posta del Tōkaidō sponsorizzata da Hōeidō. Ma contemporaneamente anche una decina di serie silografiche diverse dedicate allo stesso soggetto della Capitale Orientale (T to),  Edo, e ai suoi luoghi celebri uscirono fino a culminare nel capolavoro assoluto delle Cento vedute di luoghi celebri di Edo (Meisho Edo hyakkei), pubblicato a partire del febbraio 1856 e fino all’ottobre 1858, poco dopo la morte di Hiroshige.

La produzione Pittorica è il titolo della settima sezione.
I dipinti di Hiroshige sono meno noti e meno visti delle sue stampe, sono databili dal 1848 in poi e hanno come soggetto beltà, attori, animali, ma soprattutto, anche in questo caso, paesaggi. Luoghi celebri della Capitale Edo, ma anche isole, montagne, cascate di località più lontane, note per le loro bellezze naturali nelle diverse stagioni e per questo frequentate dalla popolazione dell’epoca come luoghi di svago o di pellegrinaggio.
I linea con la tradizione pittorica di natura ogni luogo celebre (meisho) è associato a una stagione particolare, quella in cui le caratteristiche della natura del posto vengono maggiormente esaltate – la fioritura dei ciliegi primaverili, l’arrossamento delle foglie d’acero autunnali – oppure alla straordinarietà del paesaggio, ad esempio la presenza di una cascata, di un monte, o ancora un luogo di culto popolare che attrae visitatori non solo come fedeli ma anche viaggiatori.



Maria Paola Forlani

martedì 24 aprile 2018

GIAPPONE


Giappone

Storie
D’Amore
E Guerra


Geisha e samurai, donne bellissime ed eroi leggendari, attori kabuki, animali fantastici, mondi visionari e paesaggi bizzarri sono protagonisti della mostra
Giappone. Storie d’amore e guerra, aperta fino il 9 settembre, a Bologna nella sede di Palazzo Albergati, a cura di Pietro Gobbi e divisa in undici sezioni.        
Attraverso una selezione di oltre 200 opere, il Mondo Fluttuante dell’ukiyo-e è arrivato per la prima volta nel capoluogo emiliano, calato per l’occasione nella elegante e raffinata atmosfera del periodo Edo, l’odierna Tokyo (1603 – 1868).
La prima sezione – Ukiyro-e Luoghi e tematiche

Dopo l’instaurarsi del dominio militare del Tokugawa (inizio XVII secolo) segue un lungo periodo di pace che permette il formarsi di un nuovo ceto borghese economicamente fiorente: mercanti, artigiani e artisti sviluppano una cultura edonistica del mondo fluttuante, l’ukiyo.
L’ukiyo-e diventa il linguaggio artistico e sistema di comunicazione perché accessibile a molti per via dei costi, col tempo sempre più ridotti, e della rapidità di diffusione che il mezzo a stampa permetteva.

La tecnica, le edizioni, le tirature e le riproduzioni antiche.
Le incisioni ukiyo-e sono tecnicamente xilografie, un procedimento di stampa in rilievo di origine cinese quale naturale sviluppo dell’uso dei sigilli risalente al periodo Han (206 a.C. -220 d.C.) e introdotto in Giappone probabilmente nel VII secolo.
A differenza delle opere d’incisione occidentali, frutto di lavoro del solo artista che provvedeva direttamente all’incisione delle matrici di stampa, nella realizzazione delle xilografie giapponesi concorreva il lavoro di più persone coordinate dall’editore.
Una volta preparato il disegno, l’artista lo consegnava all’incisore che incollato al rovescio su una tavoletta di legno ne riproduceva le linee creando così una prima matrice.

Lo stampatore provvedeva a realizzare una piccola tiratura e l’artista interveniva dando indicazioni per i colori.
Alcune opere, ottennero un grande favore di pubblico per cui vennero riedite in molteplici tirature.
Alla fine del XIX alcuni editori pubblicarono nell’ambito di un movimento di rivalutazione dell’ukiyo-e delle copie di capolavori di maestri del passato, divenute costose e rare, a opera di nuovi artisti che ne seppero mantenere il vigore e le atmosfere originali.

Con l’apertura ai mercati esteri e il conseguente espandersi della domanda, le copie iniziarono a essere eseguite da artigiani.
Seconda Sezione – Bellezze femminili
Le opere che ritraggono le bellezze femminili hanno come soggetto le bijin, le geisha e le Ōiran. Nella produzione di siffatte opere non trascurabili sono gli aspetti commerciali e pubblicitari; molti committenti di queste splendide opere, deliziosamente curate nei dettagli e negli abbinati coloristici, erano grandi atelier e sartorie.

Bijin
La donna ukiyo – nobildonna o eroina, cortigiana o geisha – rispecchia la nuova cultura e la conseguente vivace vita cittadina. Sono figure dalla forte sensualità, i cui atteggiamenti seducono: grazia e fragilità, lusso e maestosità sono i tratti salienti con cui queste donne si pongono alle interpretazioni degli artisti.
Geisha

Letteralmente “artista”, era in origine danzatrice e suonatrice di vari strumenti, poi raffinata accompagnatrice esperta nell’arte della conversazione, della danza e della musica; presto nell’immaginario collettivo occidentale il termine ha assunto un fuorviante e distorto significato identificando le geisha quali cortigiane.
Ōiran
Cortigiana d’alto rango, fulcro della vita dei quartieri del piacere, era donna altrettanto esperta nell’intrattenimento che doveva altresì eccellere nella pittura e nella cerimonia del tè.

Terza Sezione – Shunga
Shunga significa letteralmente “pittura della primavera”, eufemismo dell’atto sessuale: è un genere importante nella produzione ukiyo ricco di erotismo.
Il disegno degli organi sessuali, la rappresentazione di abbracci passionali e le fantastiche scenografie sono i mezzi grafici per sottolineare la propensione al gioco in un’elegante visione del sesso.


Quarta Sezione – Surimono
Stampa privata augurale
Letteralmente “cosa sfregata”, con riferimento al passaggio del tampone sul foglio di carta appoggiato sulla matrice inchiostrata: il surimono presenta due linguaggi, la poesia e l’arte figurativa, fusi armoniosamente in un elegante e raffinato prodotto carico di suggestive atmosfere.
Veniva commissionato privatamente come biglietto augurale e di circostanza e stampato con le più raffinate tecniche su carta di notevole fattura.
Quinta Sezione – Il teatro, Nō e Kabuki

Le opere che ritraggono il mondo del teatro Giapponese hanno come soggetto gli attori dei generi teatrali e Kabuki, i due stili più importanti e longevi.
A testimonianza di queste rappresentazioni, in mostra sono presenti caratteristiche maschere come quella per interpretare ruoli di fanciulla e quella per ruoli demoniaci.
Sesta Sezione – Samurai

Ѐ questa l’immagine eroica e mitica della tradizione guerriera del Giappone in una trasposizione continua fra storia e leggenda: i samurai, colui che serve.
Guerriero tribale e archetipo dell’eroe solitario, condottiero sui campi di battaglia ed esteta in tempo di pace, assassino nella notte e vendicatore del suo signore, custode della pace e aristocratico amministratore.
Settima Sezione - L’Olimpo Shintō

Lo Shintō vede come divinità primordiali Inazagi (fratello e sorella, nonché marito e moglie) che con la loro unione diedero vita al Paese del Sol Levante
Il suo carattere etnico contribuì a determinare un forte sentimento nazionale poi trasformato nell’ultranazionalismo che ha pervaso il Giappone nella prima metà del XX secolo.
Butsu-dō, “la via del Buddha”, fu introdotta in Giappone nel 552 e la sua contrapposizione con lo Shintō determinò, inizialmente, un violento scontro tra i rispettivi seguaci.

Ottava Sezione – Il paesaggio naturale
La natura, in tutte le sue manifestazioni e sotto qualsiasi forma – fiori e uccelli (Kachō-e), rocce, fiumi, paesaggi (fukei-e) – è sempre dotata di una propria sacralità così come intrinseca allo shintoismo.

Nona Sezione – Il paesaggio umano
Dal passato al presente. Una caratteristica della cultura giapponese è quella di conservare, di traghettare dall’ieri all’oggi, in qualsiasi epoca, i valori della propria tradizione.

Decima Sezione – Shin hanga / Sosaku Hanga
Sul finire del periodo Meiji, (prima decade del’900) l’editore Watanabe Shōsaburō, apprezzando sia l’alto valore artistico delle incisioni ukiyo-e sia le sofisticate tecniche necessarie alla loro realizzazione, rivitalizzò in chiave moderna l’antica tradizione con l’incoraggiamento e sostegno ai nuovi artisti creando un rinnovato movimento che riprendeva la passata arte xilografica e che chiamò Shin-Hanga, stampa nuova.

Undecima Sezione – Dall’interpretazione artistica alla realtà: fotografie d’epoca
Pur essendo una delle cause del declino finale ukiyo-e i primi fotografi giapponesi ne subirono indubbiamente il fascino sia per la scelta dei soggetti, sia per le inquadrature e la successiva coloritura a stampa avvenuta.
Infatti le fotografie, soprattutto quelle ritraenti persone e scene di vita quotidiana, erano colorate a mano da pittori a imitazione delle stampe degli artisti giapponesi.


Maria Paola Forlani



venerdì 20 aprile 2018

FRANK LLOYD WRIGHT


Frank Lloyd Wright

Tra America e Italia


Si è aperta a Torino, fino al 1 luglio, la mostra Frank Lloyd Wright tra America e Italia, nella sede della Pinacoteca Agnelli, a cura di Jennifer Gray. Attraverso fotografie, oggetti, cataloghi, litografie e disegni originali, la mostra esplora il pensiero di Wright in merito all’architettura organica, a partire dal suo primo soggiorno in Italia nel 1910 fino alla sua ultima visita nel 1951, portando l’accento sul suo coinvolgimento nel dibattito architettonico, urbanistico e paesaggistico italiano.

L’occasione del primo viaggio di Wright in Italia nel 1910 fu sia personale che professionale. Durante i mesi trascorsi a Firenze e Fiesole, Wright lavorò a un’importante pubblicazione sulla sua opera che sperava lo avrebbe aiutato a diffondere le sue idee a un pubblico più vasto. Conosciuto come porfolio Wasmuth
dal nome dell’editore berlinese, il libro conteneva oltre un centinaio di litografie con dettagli in inchiostro dorato e colori pastello.
Fiesole fu anche il rifugio per Wright: dopo aver abbandonato la famiglia per l’amante e anima gemella Mamah Borthwick Cheney, la coppia trovò intimità e conforto nella città collinare italiana. Wright scrisse delle loro lunghe passeggiate per le strade e le terrazze che si affacciano sulla valle sottostante. “Nessun edificio veramente italiano è a disagio in Italia [] collocato in modo naturale come le pietre, gli alberi e i declivi dei giardini che costituiscono un tutt’uno con esso”.

L’esperienza toscana diventa centrale in questo momento della sua vita, perché oltre a offrire una parentesi di pace e serenità personale, rappresenta la scoperta del nostro paesaggio e del Rinascimento che incideranno sottilmente su una sua visione dell’architettura che già aveva offerto prove di grande maturità, aprendo la strada a un’idea di modernità originale che avrebbe pesantemente influenzato il dibattito internazionale nei decenni a seguire.

Lungo tutto il secolo appena passato l’Italia è stata uno di quei luoghi in cui alcuni architetti moderni hanno cercato ispirazione e contatto con quei caratteri originali necessari a sognare opere per un tempo nuovo quasi a dispetto di un’ideologia della modernità che predicava il grado zero e l’annullamento di ogni tradizione.
La mostra torinese presenta un percorso costruito in sei sezioni tematiche che si concludono con il secondo, importante passaggio del maestro americano in Italia in occasione del grande evento dedicato al suo lavoro nel 1951, a Firenze presso Palazzo Vecchio.

L’Italia e molti degli intellettuali e autori profondamente influenzati dall’opera di Wright, diventano un’originale chiave di lettura per ripensare il pensiero e il lavoro di questo <<campione>> americano che sedusse l’Europa attraverso un ideale <<organico>> di architettura moderna che mutò radicalmente lo sguardo delle nuove generazioni di architetti.

L’esposizione torinese è un’importante occasione per osservare da vicino una serie di progetti originali che raccontano uno dei disegnatori d’architettura più talentuosi e visionari del ’900, ma anche per riprendere contatto con quelle opere che diedero forma concreta a una visione coraggiosa, marcata da un forte individualismo e della possibilità di costruire ambienti moderni, armoniosi e in diretto contatto con la natura.
Intuizione che si concretizzò inizialmente nella famosa serie delle <<Praire House>>, abitazioni moderne costruite soprattutto nella periferia residenziale di Chicago all’inizio del ’900, in cui linea orizzontale della casa, paesaggio circostante e spazi interni si fondono in un’unica visione.


Quest’intuizione diventa il vero contributo originale americano alla cultura figurativa del ‘ 900, e rappresenta l’alternativa a una lettura industriale, meccanizzata e standardizzata del Movimento moderno che si stava affermando in Europa, garantendo la possibilità di un dialogo originale tra essere umano, natura, progresso e forme dell’ambiente.


L’ideale <<organico>> portato avanti da Wright si oppone a quella che Le Corbusier definisce come <<la macchina per abitare>>, producendo effetti importanti in Italia e nel Nord Europa a partire soprattutto dal secondo dopoguerra. Quello che impressiona nel lungo percorso creativo di questo maestro dell’architettura moderna è la capacità di modellare coerentemente le opere progettate intorno a una visione radicale che non cerca mediazioni come la Casa sulla Cascata del 1934, agli uffici per la Johnson Wax del 1936 o il Guggenheim Museum a New York realizzato tra il 1943 e il 1959.


Si tratta d’icone che ebbero un peso enorme sulla cultura europea e italiana del secondo dopoguerra che cercava opere moderne capaci di rappresentare la misura dell’uomo e costruire un dialogo inedito con il paesaggio naturale. Figure centrali come quella di Bruno Zevi, fondatore dell’Associazione per l’Architettura Organica (APAO) e uno degli intellettuali centrali nella cultura italiana post-fascista, Giancarlo De Carlo, Carlo Scarpa e Giuseppe Samonà, architetti e professori raccolti nella facoltà di Architettura di Venezia, sono tra gli autori maggiormente influenzati dal lavoro di Wright e ambasciatori della sua visione.


La mostra del ‘ 51 a Firenze è una delle tappe di un tour europeo che raccontava Wright come il campione delle libertà individuali e dell’American Way of Life in un clima montante da Guerra fredda. Ma la tappa italiana diventa un momento importante di ritorno alle origini e di messa a punto di una linea culturale ormai condivisa. Da Firenze Wright si sposta a Venezia dove accetta l’incarico per la progettazione del Memoriale Masieri, un piccolo palazzo sul Canal Grande che viene progettato ma non sarà mai costruito. Un sogno italiano di modernità nel cuore della Laguna che rimane uno sei lasciti più emozionanti dell’opera di un autore che ha insegnato alla modernità a riconciliarsi con Madre Terra.


Maria Paola Forlani