I Borgia e il loro tempo
Al Museo Maillol di Parigi
In primo piano anche la figura della
figlia del papa, Lucrezia, e quindi Ferrara
Nell’occasione all’interno del Bookshop del museo è
presente il volume
“Maria Paola Forlani Domine nostra Lucrezia “ con testi di
Franco Cardini e Franco Patruno (Edito dall’Istituto Casa Cini di Ferrara 2002)
“I Borgia e il loro tempo”
aperta fino al 15 febbraio, al Museo Maillol di Parigi, racconta grazie a
documenti storici <<più sicuri e più veri>>, le vicende di questi
grandi personaggi ponendo l’accento sul mecenatismo.
Riportiamo qui il bel testo
di Franco Cardini, ripreso dal volume “Domine nostra Lucretia” (2002)
Domine nostra Lucretia.
Lucrezia la bella, Lucrezia la triste, Lucrezia la silenziosa. Fiore calpestato
e calunniato dalla storia. Principessa dell’Ariosto e del Bembo, signora delle
Esperidi asolane; divina Circe dalle essenze profumate dagli agrumi, non da
quelle ferali dei veleni. Lucrezia ancora e sempre da liberare dal cupo
castello dell’antimito nel quale i mass media continuano a tenerla chiusa e
prigioniera, e non c’è Gregrorovius che tenga.
A dir la verità, più passa il
tempo più apprezzo il saggio consiglio del mio vecchio Maestro, Ernesto Sestan
– uomo di rigorosa educazione austroungarica (trentino del 1898, aveva servito
in armi dell’imperialregio esercito) – il quale condivideva in tutto la vecchia
diffidenza degli accademici d’una volta nei confronti degli scritti d’occasione
e dei pareri “divulgativi”: e queste righe appartengono a tali generi
parastoriografici. “E una questione di linguaggio – mi diceva, rimproverandomi
affabilmente una certa estroversione che in effetti m’ha sempre procurato più
guai che altro -: tu fornisci magari con un pochino di leggerezza un parere che
resta pur sempre quello di uno storico e ti aspetti che tutti s’inchineranno
dinanzi al tuo sapere e loderanno il tuo sense of humor, la tua agilità
intellettuale di studioso abituato a un pubblico più largo dei soliti addetti
ai lavori; e invece scopri che quel che hai detto, anche se è il risultato di
uno studio severo, viene scambiato per una pura opinione; e se è appena un po’
controcorrente rispetto al senso comune ti daranno del fazioso e ti troverai in
un sacco di spiacevoli polemiche”.
Non ho ascoltato il mio vecchio
Maestro: e mi è successo molto spesso esattamente quel che aveva previsto lui.
Ecco perché sono un po’ reticente, ora, a parlar di Lucrezia Borgia: so bene
che quanti sono più indulgenti con me sorrideranno della mia pervicace
propensione per il “disincanto” weberiano ma diranno che sono un inguaribile
provocatore, il che per uno studioso non è neppur troppo serio; mentre gli
altri, e ohimè sono temo parecchi, mi accuseranno ancora una volta di
“revisionismo”. Che ormai, enuclea dal suo originale valore storico, è divenuta
una parola magica.
Potrei stavolta obiettare di
essere in buona compagnia. Si sono chiusi da non molto i battenti di una serie
di prestigiosi convegni, patrocinati anche dall’Istituto Storico Italiano per
il Medioevo, dai quali è uscita a tutto tondo una rivelazione storica di quello
che per molti decenni è stato considerato il papa più corrotto della storia
della Chiesa, Rodrigo Borgia, cioè Alessandro VI. Non che se ne siano scoperte
occulte virtù o che si sia dimostrato che tutto quel che si diceva su di lui
era pura calunnia: ma se ne sono rivisitati molteplici aspetti della
personalità politica, del suo contributo alle arti e alla cultura, perfino del
suo magistero pastorale; e ne è uscita un’immagine ben diversa da quella ormai
“classica” – e senza dubbio inquietante – disegnata in pieno Ottocento dal
grande Ferdinand Gregorovius.
Eppure, la requisitoria dello
storico tedesco contro la famiglia Borgia aveva se non altro il merito, a sua
volta, di bilanciare una certa ammirazione diffusa, fatta di cinismo
rinascimentale e di titanismo romantico, nei confronti di Cesare, il Duca
Valentino esaltato dal Macchiavelli; ed era stato già lo stesso Gregorovius, in
un saggio del 1874, a
rivalutare la figura della figlia di Rodrigo e sorella di Cesare, la bella
Lucrezia. È stato semmai una specie di voyeurisme storico,
alimentato da una miriade di cattivi romanzi e di films spesso mediocri, talora
pessimi, a far di Lucrezia una sorta di dark lady del Rinascimento, crudele,
debole e viziosa, succube del padre e del fratello. Si sta muovendo adesso
attorno a lei l’ennesima campagna “revisionista”? Niente di tutto questo.
Tuttavia il Comune di Ferrara, a partire da febbraio del 2002, ha celebrato con una
serie articolata di mostre, convegni e di occasioni
turistico-spettacolar-culturali il cinquecentenario dell’arrivo a Ferrara di
Lucrezia, sposa – per volontà paterna e fraterna – di quell’Alfonso d’Este
figlio ed erede del duca Ercole. Un principe estense, in quanto signore di
Ferrara vassallo del papa, figura-chiave della politica del tempo.
Il nome di Alfonso era
fatidico per la bella Lucrezia, che era allora ventiduenne e stava già al terzo
matrimonio. Aveva sposato infatti nel ’92, ancora bambina, Giovanni Sforza duca
di Pesaro: un matrimonio annullato rapidamente per consentirle di passare
diciottenne nel talamo di Alfonso d’Aragona, figlio naturale di Alfonso II re
di Napoli. Ma nel 1500, a
vent’anni, Lucrezia si era trovata vedova: suo fratello era responsabile
dell’assassinio del consorte, poiché la “ragion di stato” del momento voleva
che casa Borgia si allontanasse dall’alleanza aragonese per avvicinarsi a
quella francese. E non c’era nessuno in Italia più filofrancese della dinastia
estense. A Ferrara Lucrezia giunge nel 1502, con una schiera di “zentilhomini
romani et spagnoli”, come scriveva Elisabetta Gonzaga a Vincenzo Calmata.
Indossò per le nozze un fastoso abito nero e oro destinato a restar nella
storia. Come del resto l’intera cerimonia nuziale, celebratissima dalle
cronache e pertanto molto ben documentata.
Bei colori cortigiani; ma
anche vicende tragiche e senza dubbio oscure, che sottolineano come la bella e
fragile Lucrezia fosse trattata troppo spesso dai congiunti come merce di
scambio politico-diplomatica. Da qui, tra l’altro, una fama di avvelenatrice
che si fondava sui suoi interessi per i
profumi e la farmacologia ma che non trova seri riscontri sotto il profilo
storico.
La storia vera, appunto,
conosce ben altra Lucrezia. Una sovrana di raro equilibrio, pur attraverso i
non facili casi della vita: nel 1503, la rovina della sua dinastia in seguito
alla morte del padre e alla prigionia del fratello la liberarono dal pesante
fardello della sua nascita. Seppe essere donna di alti e riservati sentimenti,
alla quale nel 1505 il Bembo dedicò gli Asolani. E nella sua Ferrara passò anni
sereni, confortati anche da un crescente interesse religioso: teneva una
corrispondenza fittissima con la monaca Laura Magnani, della quale devotamente
apprezzava quelle virtù profetiche che interessavano anche la duchessa di
Urbino Elisabetta Gonzaga. Molte sono le missive a carattere devoto redatte da
Lucrezia, che apprezzava soprattutto i domenicani osservanti e una cui nipote –
Camilla, figlia di Cesare Borgia – viveva dal 1510 in un convento di clarisse
che i suoi ducali parenti avevano fatto costruire.
Lucrezia incontrò sua
immatura morte a causa di parto nel 1519, non ancor quarantenne (certo comunque
la sua era stata una tardiva e quindi pericolosa gravidanza). Inizialmente
“spesa” dal padre nei meandri della politica italomeridionale, il suo destino
l’aveva portata sulle rive del Po. Aveva saputo portare il suo fardello storico
fatto di gioielli, di segreti, di essenze profumate e di devozione con dignità
e con riverenza. Al suo ducale consorte aveva dato tre figli: Ercole, che fu
duca di Ferrara secondo del suo nome; Ippolito, il famoso cardinale creatore di
Villa d’Este; Francesco marchese di Massa Lombarda. Gli studiosi avevano da
tempo familiare e “disincantata” la sua immagine, che fu cara anche a Ludovico
Ariosto; che oggi esca dalle brume d’una sottocultura che la vuole ancora
dissoluta e avvelenatrice, è senza dubbio una buona cosa. La fantasia e
l’intelletto d’amore di Maria Paola Forlani, restituendoci la bellezza con i
ricchi e luminosi colori ai quali ci ha abituati e facendo di lei ora una bellezza
quasi botticelliana, ora un’intensa Dame à la licorne, mostrano una forza
d’interpretazione storica che prevale stavolta sulla leggenda e sul mito ai
quali di solito l’artista ama ispirarsi. Bene pinxisti Paula, de domina
Lucretia.
Franco Cardini