mercoledì 10 maggio 2023

L'arte della moda L'età dei sogni e delle rivoluzioni 1789 - 1968 Forlì Museo Civico San Domenico Aperta fino al 2 luglio

 La moda dipinta, ritratta, scolpita, realizzata dai grandi artisti. L'abito che modella, nasconde, dissimula o promette il corpo. L'abito come segno di potere, di ricchezza, di riconoscimento, di protesta. Cifra distintiva di uno stato sociale o identificativa di una generazione. La moda come opera d'arte e comportamento. L'arte come racconto e come sentimento del tempo. Come uno specchio. L'esposizione forlivese del 2023 mette in rapporto l'arte della moda: dalla Rivoluzione francese alla Pop Art, fino alla nostra contemporaneità. Oltre 200 capolavori d'arte e 100 abiti dialogano in una mostra imponente, con un allestimento unico al Museo Civico San Domenico di Forlì.

La sintesi tra opera d'arte e moda l'ha ben definita Oscar Wilde:

"O si è un'opera d'arte o la si indossa". Tutta l'arte ha sottolineato l'intimo legame che da sempre c'è con la moda, entrambe sono unite dalla volontà di riformare la natura e trasformarne il reale.

Se il legame tra abito e ruolo sociale è proprio di tutte le civiltà organizzate, il principio di cambiamento costante della moda è l'effetto di un lungo processo storico e segna l'avvio della modernità.

Mostrare i segni di ricchezza e del potere, farsi vedere ed essere visti assume già con l'Acien Régime, e poi, con le Rivoluzioni nell'età borghese, un significato programmatico e comunicativo.

La moda si colloca sl centro del potere e della sua comunicazione, della società e dei suoi segni simbolici. Sinonimo di lusso e seduzione, essa è specchio delle contraddizioni contemporanee, travestimento e arte dell'apparire, ma anche maschera e riflesso della crisi dell'io.

Cambiano gli stili e cambiano i materiali. Si aprono nuove produzioni. La ricerca dei materiali rivoluziona il modo produttivo e quello commerciale fino alle attuali soluzioni tecnologiche.

E con la diffusione cambiano i linguaggi e la comunicazione.

Ma è proprio la diffusione  della moda che crea socialmente e culturalmente quella sua caratteristica bipolare che la connoterà di lì in poi. Si tratta di elementi qualificati che nelle forme dello stile sottolineano continuamente il passaggio fra trasgressione e omologazione, rottura e consenso, lineare e sontuoso, policromo e monocromo., natura e artificio, organico e inorganico, superficie e profondità, differenza e identificazione, per riprendere alcune delle antinomie di pensatori come George Simmel e Walter Benjamin.

L'arte ne è lo specchio e l'ispirazione, l'espressione e la diffusione dei modelli. Spesso la creazione stessa. Dalla fine dell'Ottocento e per tutto il Novecento il rapporto tra artisti e moda si fa più intenso: artisti che oltre a ritrarre l'eleganza disegnano abiti e gestiscono la comunicazione della moda, stilisti che collezionano opere d'arte e ne fanno oggetto di ispirazione o simbolo della propria contemporaneità.

Il rapporto tra arte e moda va da  quel momento incrementandosi in un gioco delle parti che porterà la moda stessa a diventare un'arte, uno sguardo sulle cose del mondo come la filosofia, la letteratura, il cinema, e a ispirarsi all'arte stessa, in rimandi che dal secondo Novecento fanno dell'intera storia dell'arte, un riferimento costante, imprescindibile, soprattutto per il Mode in Italy.

Come  ha sostenuto Mondrian, " La moda non è soltanto lo specchio fedele di un'epoca, bensì anche una fra le espressioni plastiche più dirette della cultura umana".

M.P.F.























giovedì 4 maggio 2023

The Rossetis

 E una storia di famiglia quella che va in scena alla Tate Britain di Londra fino al 24 settembre. Ma è anche una storia di arte, di sentimenti e di dolore. La mostra THE Rossettis, a cura di Carol Jacobi e James Finch, riunisce 150 tra dipinti, disegni, fotografie e poesie di Dante Gabriel Rossetti (1828 - 1882), della sorella Christina Rossetti (1830 - 1894) e della musa e moglie Elizbeth Eleonor Siddal (1829 - 1862). Si tratta anche della prima retrospettiva mai dedicata a Rossetti dalla Tate e della più ampia in assoluto negli ultimi due decenni, oltre a essere la prima completa esposizione di Siddal da trent'anni a questa parte.

Figlio di un letterato italiano esule in Inghilterra in seguito alla partecipazione ai moti rivoluzionari del 1820 - 1821, Dante Gabriel Rossetti, molto legato al padre, rivelò un precocissimo talento come poeta (a solo sei anni compose The slave e a dodici Sir Hugh the heron, a legendary tale in four parts) e soprattutto come pittore. Alla King's college scool di Londra si distinse per le sue opere e strinse amicizia con il gruppo dei pittori (tra i quali Ford Madox Brown. William Hunt, John Everett Millais) insieme ai quali fondò nel 1848 la Confraternita dei Preraffaelliti. Questo periodo iniziale è testimoniato in mostra da opere come L' Annunciazione del 1850, per la quale posarono il fratello William Michael e la sorella Christina, che proprio in quel anno, con lo pseudonomo di Elle Alleyne, aveva pubblicato componimenti poetici sul periodico dei Preraffaelliti, The Germ. Il 1850 è anche l'anno in cui Elizabeth Siddal, povera, bella e colta modista, poetessa oltre che musa e modella dei preraffaelliti, conosce Dante Gabriele Rossetti

Formatasi artisticamente da autodidatta, a partire dal 1854 Siddal si mise in luce per i suoi acquarelli. Tre anni dopo, era la sola donna presente nella mostra londinese dei Preraffaelliti, sostenuta da John Ruskin e dallo stesso  Rossetti, al quale resterà legata, in una relazione complessa e morbosa, fino alla propria morte, avvenuta nel 1862 in seguito all'assunzione di una dose eccessiva di laudano, proprio nel giorno in cui, un secondo dopo la poetessa americana Sylvia Plath si tolse la vita. Ironia della sorte, in quello stesso anno Christina Rossetti pubblicò la sua opera più importante, Goblin market and other poems, di cui in mostra è presente ledizione del 1865.

M.P. F







mercoledì 3 maggio 2023

Arte e Deizioni Umane

Se oggi si possono creare opere dove ciò che conta è il concetto più che la scelta del


soggetto e la qualità formale, perchè non parlare delle testimonianze legate, già dal Medioevo, al tema dell'evacuazione? Un tema che rimanda a qualcosa di brutto e che non può non chiamare in causa Merda d'Artista di Manzoni
 la famosa scatoletta che. a dispetto del titolo, non sappiamo davvero cosa contenga. Aprirla per scoprirlo? Meglio di no, Immaginiamolo.

Vi sono molti artisti contemporanei che si sono cimentati col tema della merda, di per sè un soggetto facilmente assimilabile a qualcosa che ha poco valore e collegato alla poetica della bruttezza e dello scarto naturale Difficilmente qualcuno potrebbe cadere preda di una sindrome di Stendhal osservando queste opere.


Ma in un periodo storico in cui ha molta importanza l'idea irriverente, l'aspetto concettuale di un'opera o di una ricerca, il soggetto, la qualità formale o l'abilità tecnica dell'artista non hanno più il peso che avevano in passato. Mi riferisco, per esempio, a Bear Sculture (1992) di Paul Mc Carthy, un impertinente orso di peluche colto con un sorriso mentre sta defecando; a Comple Shit (2007), ovvero enormi stronzi gonfiabili realizzati dallo stesso artista americano e presentati, rispettivamente, nelle esposizioni East of Eden. A  Garden Show  allo Zentrum Paul Klee di Berna (2008) e Mobile M +; Inflation! nel distretto culturale West Koloon di Hong Kong (2013); a Cloaca (2000) di Wim Delvoye, una grande installazione di vasi alchemici in grado di di fungere da intestino artificiale che trasforma il cibo in merda; a Excremento y caviar (2011) di Wilfredo Prieto; alle feci monumentali realizzate nel 2018 dal collettivo austriaco Gelitin. Queste indagini visuali sul fecale hanno radici più antiche e arretrano nel tempo, passando dagli anni Sessanta del Novecento all'Ottocento fino al Medioevo.


Merda d'artista (1961) di Piero Manzoni parrebbe una parodia delle Scatole d''amore in conserva (1927), una raccolta di racconti di Filippo Tommaso Marinetti, illustrata da Carlo Petrucci e Ivo Pannaggi. L'artista milanese trasforma la scatoletta di latta che contiene amore in qualcosa che è ritenuto di basso valore. L'idea di Marinetti anticipa un processo che verrà sdoganato e declinato in molte varianti dalla Pop Art negli anni Sessanta. Manzoni probabilmente parte da un'idea di Marinetti, ma concepisce il rapporto materia-contenuto in una maniera opposta rispetto alle intenzioni futuriste. L'atteggiamento di "rottura" che accomunava Manzoni, Fontana, Burri, Schifano e altri artisti italiani di quel periodo discende dalle "soirées" futuriste. Ma questo atteggiamento è riscontrabile anche nelle opere dei dadaisti e nei ready - made demistificatori e ironici di Duchamp, soprattutto nell' Orinatoio del 1917. Ma prima ancora, nel 1898 già Toulouse-Lautrec era stato protagonista in una serie di fotografie (scattate dall'amico d'infanzia Maurice Joyant) con la sua beffarda azione intitolata Performance contro il mondo, merda d'artista sulla spiaggia, dove il noto pittore è colto in vari momenti mentre sta andando di corpo. Anche Alfred Jarry, attraverso la figura principale della sua opera teatrale Ubu roi (1896), conferisce dignità letteraria alla parola "merde". Successivamente prendono corpo le "corpolalie" surrealiste.


L'associazione tra analità e opera d'arte (anche tra oro e feci) è poi un tema ricorrente della letteratura psicoanalitica di Jung. Qualche traccia, sempre di tipo psicoanalitico, può essere stata presente anche nell'idea che ha portato alla realizzazione di Merda d'Artista. Piena di materiale di scarto, attraverso la visione trasmutativa dell'arte alchemica, questa, come altre opere dello stesso genere, contiene anche "sostanza filosofica". Piero Manzoni era stato disconosciuto e cacciato di casa dal padre (che lo considerava la pecora nera della famiglia) ovvero dal celebre industriale che per primo inventò in Italia la "carne in scatola", la famosa Manzotin. L'opera - cortocircuito dell'artista è allo stesso tempo una "vendetta" contro il padre (e contro il mercato dell'arte) e una parodia che fa il verso a un gesto e a un atteggiamento futuristi. E poi, chi sa se effettivamente nella scatoletta ci sono feci o qualcos'altro. Se noi pensiamo che dentro siano contenute feci è perchè Manzoni è riuscito a farcelo credere: questa è un'idea, in concetto, che ha catturato l'attenzione anche dell'indifferente mondo di chi non frequenta l'ambiente dell'arte. Se qualcuno ingoiasse dei diamanti o delle pepite d'oro e dovesse defecarli per poterli rivendere, allora ci sarebbe un grande interesse per quel tipo di merda da parte di chi dà molta importanza al denaro e alle cosiddette "pietre preziose". Non a caso l'artista milanese decise di vendere ogni barattolo al prezzo corrispondente al valore di trenta grammi d'oro.


Penso che non si debba ridurre l'azione polisenso, racchiusa nell'opera in questione, in mera provocazione e che sia indispensabile fare confronti con le opere dei più geniali protagonisti internazionali di quel periodo storico, in primis Yves Klein, con cui il nostro artista fu al contempo allineato e in competizione. Ritengo, inoltre, fondamentale collegare Merda d'artista anche ad altre opere di Manzoni, precedenti e successive.

I Padri della Chiesa hanno esportato dall'ano qualsiasi possibilità che non fosse solo escrementizia e hanno demonizzato l'orifizio immondo. Vi sono molte miniature ironiche medievali e rinascimentali realizzate sa monaci, dove sia personaggi profani sia figure religiose sono rappresentati mentre stanno defecando. Per esempio, in una miniatura francese del Prose Laqncelot (2316), il re è raffigurato di spalle mentre sta facendo casere le sue feci sulle teste di due  amanti che si stanno baciando, contro una superficie circolare (Londra, British Library): in una "marginalia" presente in Chronicles (XV secolo) di Jaan de Wavrin, una specie di scimmia si sta allargando l'ano per evacuare meglio gli escrementi grigiastri,  a poca distanza da un porcospino che guarda la scena (Londra, British Library) E ancora, nelliniziale "F" tratta da Recuil de Chants Religieux et Profanes (1542), conservata nella Bibliotèque Municipale di Cambrai, un uomo nudo pone un contenitore sotto il ramo di un albero dove è appollaiato un uccello per raccogliere contestualmente le sue feci. Nei  "marginalia" dei codici miniati anche numerosi animali sono raffigurati mentre si leccano l'ano successivamente alla "defecatio"

In un certo senso, l'opera provocatoria di Manzoni innesca un cortocircuito che prende di mira le strategie su cui si fonda la società della mercificazione, che riesce a monetizzare qualsiasi cosa, persino da tutto ciò che è repulsivo, e a generare soldi mettendo sul mercato barattoli con etichette dove si dichiara che il contenuto è la vile materia degli escrementi dall'odore sgradevole. La presenza della merda nella storia dell'arte non è un'invenzione di Manzoni. Lui l'ha solo chiusa in una scatola e messa nel mercato del capitalismo novecentesco


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In Tropico del Cancro (1934), Henry Miller suggerisce che <<l'uomo può anche giungere ad amare la merda se da questa dipende il suo vivere, se ne va dalla sua felicità>>.

M.P,F