domenica 29 ottobre 2023

Achille Funi. Un maestro del Novecento tra storia e mito

 Palazzo dei Diamanti rende omaggio


a uno dei più originali e sensibili interpreti della temperie artistica della prima metà del Novecento. Achille Funi (Ferrara, 1890 - Appiano Gentile, 1972) ha preso parte ai principali movimenti del moderno classicismo del gruppo "Novecento", fino al muralismo degli anni Trenta.

Innamorato dei miti classici e della cultura rinascimentale,  al punto da essere considerato un novello umanista, Funi ha saputo attingere alla tradizione figurativa antica, ma anche guardare al linguaggio attuale di Cèzanne, Picasso, Derain, de Chirico, per plasmare un originale universo visivo dove s'intrecciano realtà e immaginazione.


Oltre centotrenta opere provenienti da importanti musei collezioni pubbliche e private, illustrano l'intera, complessa parabola creativa di Funi. Il percorso espositivo è scandito dai massimi capolavori dell'artista e propone un affascinante viaggio nell'universo della pittura.


Dagli esordi a Brera alla tarda maturità Funi ha sperimentato tutte le tecniche pittoriche senza stancarsi di ricercare i segreti perduti dei grani maestri. Dipinti a olio e a tempera, su tavola e tela, acquarelli, disegni e cartoni preparatori per i grandi affreschi e mosaici permettono di riscoprire lo straordinario talento di uno dei più grandi maestri del Novecento.

1 Tra Ferrara e l'Accademia di Brera: le opere giovanili (1905-1910)


La prima sezione  della mostra raccoglie alcune delle  rarissime opere del periodo giovanile di Funi. Si tratta di una produzione composta da studi a matita, sanguigna, pastello e meno di una ventina di oli.


Molto singolare è il piccolo e inedito Autoritratto, che raffigura il quindicenni Virgilio secondo i canoni di una robusta pittura realista.


Nell'autunno del 1906 l'artista si trasferisce a Milano e si iscrive all'Accademia di Brera, seguendo il canonico percorso formativo destinato a valorizzare le eccellenti doti del giovane.

Sensibile alla pittura figurativa, Funi realizza Nudo femminile seduto e Nudo maschile di forte consistenza plastica, e alcuni autoritratti di acuta sottigliezza psicologica. Più rari in questo periodo i paesaggi, come Il Ponte del Diavolo, Lanzo Torinese, così come appare inconsueto il decorativismo di gusto vagamente liberty di Ritratto di profilo.

2. IL Futurismo funiano. Il moto e la Forma (1911-1914)


Congedato nel 1910 dall'Accademia di Brera, condivide con i giovani colleghi il bisogno di rinnovamento mantenendosi però distante dagli estremismi del Futurismo di Umberto Boccioni e di Filippo Tommaso Marinetti.


Dotato di vocazione realistica mediata da un'innata visionarietà, già dal 1911 realizza matite ed acquarelli in uno stile cubofuturista caratterizzato da contrasti volumetrici inseriti in un movimento  ritmico e deformante, come in Corso Monforte. Il linguaggio innovativo del ferrarese è lodato dall'amico Boccioni, che ne ammira le fasciature delle forme sull'esempio di Cèzanne.

Questa sezione è dedicata al dinamismo architettonico della realtà e al movimento delle masse deformate sul ritmo delle emozioni plastiche, teorizzate nel 1914 da Boccioni, Figura in scala cromatica (1914) rivela la conoscenza dell'orfismo di Robert Delaunay e del cerchio cromatico di Auguste Macke, Uomo che scende dal tram del Museo del Novecento di Milano e Il motociclista (presente in diverse varianti), entrambe del 1914,


, affrontano il tema del moto in sintonia con Boccioni. La tematica è riproposta anche nel ribaltmento dei volumi e prospettive di Notturni (case+cielo+lampini, paesaggio lunare), visione urbana di un moderato Futurismo.

3 Testimonianze dal fronte (1915-1916)

Nel maggio 1915 l'artista si arruola nel Battaglione Lombardo Volontari Ciclisti Automibilisti con i compagni futuristi Umberto Boccioni, Carlo Erba, Filippo Tommaso Marinetti, Antonio Sant'Elia, Mario Sironi e con Anselmo Bucci, appena rientrato da Parigi e raffigurato nell'incisivo Ritratto di Bucci volontario. Combatte a Dosso Casina, passa nel 1916 al corpo degli alpini e affronta le battaglie di Camposile (1917) e di Grave di Papadopoli (1918).


Con i compagni interventisti vince la vicenda bellica con profondo entusiasmo e scrive dal fronte a Margherita Sarfatti: <<Sto benone>>. Basta leggere il diario di guerra di Boccioni per capire quanto ciò fosse lontano dal vero. Tuttavia nei momenti di pausa dalle operazioni militari gli artisti trovarono il modo per non trascurare la loro passione.


Funi realizza parecchi disegni e acquarelli su fogli di medie dimensioni, in gran parte andati perduti durante gli spostamenti militari e traslochi successivi. Vi ritrae, con abbreviamo sintetismo neo-cèzaniano, le pause dalle operazioni, le attese nel campo, la gavetta, i soldati a riposo, i giochi tra coscritti, la lettura delle missive da casa, brani autentici di quotidianità solo apparentemente serena.


4. Cubofuturismo e recupero di Cèzanne (1911-1918)


Il ventenne Funi non aderisce al Futurismo di Marinetti: non condivide nè l'ideologia, nè la frammentazione della visione. La sua poetica procede piuttosto verso un rinnovamento linguistico alla luce di Cèzanne e di una personale ispirazione cubofuturista che gli consente di mantenersi fedele alle forme, alle forme, alle masse plastiche e al loro moto armonico.


Tra il 1913 e il 1914 partecipa all'eclettico sodalizio denominato Nuove Tendenze versione moderata del Futurismo.

Di evidente ispirazione cubista sono Autoritratto futurista e Giovinetta (Margherita o la sorella), entrambi del 1913, data del suo ritorno al suo ritorno all'attività artistica dopo la crisi vissuta l'anno precedente.



Il riferimento a Cèzanne torna con insistenza in tempere, gouache e inchiostri ispirati a tematiche familiari, anch'essi di impronta cubofuturista: cucitrici sullo sfondo di moderne visioni urbane, bimbe alla finestra, famiglia a tavola. Da notare le singolari frammentazioni architettoniche del dipinto La finestra, soggetto adottato in ambito europeo da Raoul Dufy, Paul Klee, per affinare la pratica della scomposizione dell'immagine.



 5.Tra Cubismo, Cèzanne e Metafisica (1917-1919)


L'epilogo della Grande Guerra segna in ambito nazionale la fine delle avanguardie e l'avvento del clima successivamente definito del Ritorno all'ordine per indicare il ritorno a una classicità riletta in chiave moderna. Nulla di meglio per Funi, dotato di una sostanza classica innata.


Le vie della ricostruzione passano per il pittore, attraverso la sintesi di antico e moderno: da Cèzanne ad Andrè Derain, dal Cubismo Sintetico a una moderata interpretazione della Metafisica. Fedele alla tradizione Ferrarese associa ai linguaggi recenti l'amore per gli antichi maestri, in particolare Leonardo.


Genealogia o La famiglia del Mart di Rovereto è una straordinaria dimostrazione della sintesi tra i riferimenti al Cubismo, a Cèzanne, alla Metafisica e all'Ultima cena di Leonardo. La commistione tra antico e moderno si trova nelle sanguigne eseguite intorno al 1917 e in Margherita Sarfatti con la figlia Fiammetta, sorprendente esempio di realismo visionario.


6.Verso la moderna classicità (1918-1922)

La ricerca di forma e volume si esprime in epoca postbellica in linguaggi spesso disomogenei. In anticipo di almeno un biennio alle poetiche del "Novecento" è lo statuario Autoritratto in riva al mare (1918), mente Eva 1919, pur ancora riferita alla scomposizione volumetrica cubista, mantiene mantiene un impianto neorinascimentale.


La complessità dell'ispirazione funiana degli anni tra il secondo e il terzo decennio del secondo passa attraverso l'influsso di Andrè Derain in Ragazza dormiente (1920 Mart)


e in Paesaggio ligure) e del manierismo del coevo Tema mitologico, Venere e Satiro, eccezionale sintesi tra la pittura tardo cinquecentesca di Simone Petarzano e la Metafisica dechirichiana.


L'artista conferma il legame con Cèzanne, omaggiato dalla XII Biennale del 1020, nel neoplatonico Coni e sfera. Di ispirazione rinascimentale e leonardesca è invece Il bel cadavere (le villeggianti) proviene dal Museo del Nonvecento di Milano.

























    

domenica 17 settembre 2023

American Beauty, Da Robert Capa a Banksy

 


America Beauty è una rosa solida e duratura, come il paese che rappresenta. Ma se i petali rimangono floridi a lungo, il gambo marcisce rapidamente. Da questa metafora prende il via l'esposizione, America Beauty. Da Robert Capa a Banksy, con l'intento di offrire un ampio ritratto degli Stati Uniti, principale potenza globale al cui interno sopravvivono numerose contraddizioni. Il Centro Culturale Altinate / San Gaetano di Padova, fino al 21 gennaio 2024, accoglie 130 opere d'arte a stelle strisce, selezionate per sviluppare una narrazione che illustri le ambivalenze made in USA. L'orgoglio patriottico e la modernità culturale da un lato, il feroce imperialismo militare e le persistenze dei fenomeni di intolleranza razziale dall'altro.

La mostra è organizzata da ARTIKA di Daniele Buso ed Elena Zanoni in collaborazione con con il Comune di Padova e Assessorato alla Cultura.


La mostra si pone l'obiettivo di raccontare alcune delle vicende chiave della storia statunitense negli ultimi cento anni. Come raccontare questa storia? Attraverso gli occhi attenti di decine di artisti che negli anni Quaranta del Novecento si sono posati su questo grande paese, evidenziandone punti di forza e criticità. L'elemento che accomuna questi artisti è l'utilizzo della bandiera americana come elemento iconografico di partenza per la comunicazione del proprio contenuto ideologico e formale. Da Jasper Johns ad Andy Warhol, da Iwo Jima a Banksy, la bandiera è sempre stato uno strumento attraverso il quale inviare un preciso messaggio: dall'esaltazione della denuncia, trasfigurando in positivo o in negativo il ritratto degli Stati Uniti. La stelle e "strisce" ha un valore totemico, rappresenta l'amalgama dei diversi popoli e religioni, che convivono in America.

La bandiera è il simbolo di questo paese e del suo dominio globale caratterizzato dalla diffusione del capitalismo e dalla supremazia militare e tecnologica. In questa mostra sono rappresentate alcune delle tappe fondamentali si questa nazione, da Iwo Jima a Martin Luther King, fino all'11 settembre, passando per la Pop Art e lo sbarco sulla luna, il Vietnam e la Silicon Valley. La mostra ospita una selezione di 120 artisti internazionali. Sono presenti alcune tra le più importanti correnti della fotografia internazionale: come la
 street phouography (Henri Cartier-Bresson, Vivian Maier) e la fotografia documentaria (rivoluzionata dai ritratti di Diane Arbus). La fotografia a colori è bel rappresentata da alcuni mostri sacri del medium come Steve McCurry, Annie Leibovitz e Vanessa Beecroft. La mostra accoglie alcuni movimenti artistici del Novecento che hanno elevato gli Stati Uniti a prima potenza nelle arti. Il primo movimento autenticamente americano, e destinato a diffondersi capillarmente in tutto il mondo, è stato la Pop Art (qui rappresentata da Rosenquist, Indiana e Warhol). La Pop Art ha rivoluzionato il modo stesso di concepire l'arte: accogliendo iconografie extra artistiche (come il fumetto e i prodotti da supermercato) e determinando perciò una compenetrazione tra cultura alta e cultura bassa. Il secondo movimento, che ha preso tra le strade di New York, è la street art.

Dall'opera pionieristica di Keith Haring, la street art si è imposta in tutto il pianeta, sempre in bilico tra l'essere uno strumento di rivolta antiestablisment o un prodotto commerciale ambito dalle gallerie d'arte. La stree art è attualmente la corrente artistica più diffusa a livello internazionale, erede della Pop Art. Banksy, Mr Brainwash e Obey sono i suoi rappresentanti in mostra. L'artista di Bristol, di cui nessuno conosce la vera identità, ci porta nelle periferie americane tra ribellione giovanile e tentativo di rivalsa sociale. Obey (pseudonimo di Shepard Fairey) si è distinto per la fortunata campagna elettorale di Obama. In mostra è presente con due opere iconiche che raccontano il dibattito interno americano sulla difficile convivenza tra  la leadership bianca e le minoranze etiche e religiose

M.P.F


 

 

 















mercoledì 10 maggio 2023

L'arte della moda L'età dei sogni e delle rivoluzioni 1789 - 1968 Forlì Museo Civico San Domenico Aperta fino al 2 luglio

 La moda dipinta, ritratta, scolpita, realizzata dai grandi artisti. L'abito che modella, nasconde, dissimula o promette il corpo. L'abito come segno di potere, di ricchezza, di riconoscimento, di protesta. Cifra distintiva di uno stato sociale o identificativa di una generazione. La moda come opera d'arte e comportamento. L'arte come racconto e come sentimento del tempo. Come uno specchio. L'esposizione forlivese del 2023 mette in rapporto l'arte della moda: dalla Rivoluzione francese alla Pop Art, fino alla nostra contemporaneità. Oltre 200 capolavori d'arte e 100 abiti dialogano in una mostra imponente, con un allestimento unico al Museo Civico San Domenico di Forlì.

La sintesi tra opera d'arte e moda l'ha ben definita Oscar Wilde:

"O si è un'opera d'arte o la si indossa". Tutta l'arte ha sottolineato l'intimo legame che da sempre c'è con la moda, entrambe sono unite dalla volontà di riformare la natura e trasformarne il reale.

Se il legame tra abito e ruolo sociale è proprio di tutte le civiltà organizzate, il principio di cambiamento costante della moda è l'effetto di un lungo processo storico e segna l'avvio della modernità.

Mostrare i segni di ricchezza e del potere, farsi vedere ed essere visti assume già con l'Acien Régime, e poi, con le Rivoluzioni nell'età borghese, un significato programmatico e comunicativo.

La moda si colloca sl centro del potere e della sua comunicazione, della società e dei suoi segni simbolici. Sinonimo di lusso e seduzione, essa è specchio delle contraddizioni contemporanee, travestimento e arte dell'apparire, ma anche maschera e riflesso della crisi dell'io.

Cambiano gli stili e cambiano i materiali. Si aprono nuove produzioni. La ricerca dei materiali rivoluziona il modo produttivo e quello commerciale fino alle attuali soluzioni tecnologiche.

E con la diffusione cambiano i linguaggi e la comunicazione.

Ma è proprio la diffusione  della moda che crea socialmente e culturalmente quella sua caratteristica bipolare che la connoterà di lì in poi. Si tratta di elementi qualificati che nelle forme dello stile sottolineano continuamente il passaggio fra trasgressione e omologazione, rottura e consenso, lineare e sontuoso, policromo e monocromo., natura e artificio, organico e inorganico, superficie e profondità, differenza e identificazione, per riprendere alcune delle antinomie di pensatori come George Simmel e Walter Benjamin.

L'arte ne è lo specchio e l'ispirazione, l'espressione e la diffusione dei modelli. Spesso la creazione stessa. Dalla fine dell'Ottocento e per tutto il Novecento il rapporto tra artisti e moda si fa più intenso: artisti che oltre a ritrarre l'eleganza disegnano abiti e gestiscono la comunicazione della moda, stilisti che collezionano opere d'arte e ne fanno oggetto di ispirazione o simbolo della propria contemporaneità.

Il rapporto tra arte e moda va da  quel momento incrementandosi in un gioco delle parti che porterà la moda stessa a diventare un'arte, uno sguardo sulle cose del mondo come la filosofia, la letteratura, il cinema, e a ispirarsi all'arte stessa, in rimandi che dal secondo Novecento fanno dell'intera storia dell'arte, un riferimento costante, imprescindibile, soprattutto per il Mode in Italy.

Come  ha sostenuto Mondrian, " La moda non è soltanto lo specchio fedele di un'epoca, bensì anche una fra le espressioni plastiche più dirette della cultura umana".

M.P.F.























giovedì 4 maggio 2023

The Rossetis

 E una storia di famiglia quella che va in scena alla Tate Britain di Londra fino al 24 settembre. Ma è anche una storia di arte, di sentimenti e di dolore. La mostra THE Rossettis, a cura di Carol Jacobi e James Finch, riunisce 150 tra dipinti, disegni, fotografie e poesie di Dante Gabriel Rossetti (1828 - 1882), della sorella Christina Rossetti (1830 - 1894) e della musa e moglie Elizbeth Eleonor Siddal (1829 - 1862). Si tratta anche della prima retrospettiva mai dedicata a Rossetti dalla Tate e della più ampia in assoluto negli ultimi due decenni, oltre a essere la prima completa esposizione di Siddal da trent'anni a questa parte.

Figlio di un letterato italiano esule in Inghilterra in seguito alla partecipazione ai moti rivoluzionari del 1820 - 1821, Dante Gabriel Rossetti, molto legato al padre, rivelò un precocissimo talento come poeta (a solo sei anni compose The slave e a dodici Sir Hugh the heron, a legendary tale in four parts) e soprattutto come pittore. Alla King's college scool di Londra si distinse per le sue opere e strinse amicizia con il gruppo dei pittori (tra i quali Ford Madox Brown. William Hunt, John Everett Millais) insieme ai quali fondò nel 1848 la Confraternita dei Preraffaelliti. Questo periodo iniziale è testimoniato in mostra da opere come L' Annunciazione del 1850, per la quale posarono il fratello William Michael e la sorella Christina, che proprio in quel anno, con lo pseudonomo di Elle Alleyne, aveva pubblicato componimenti poetici sul periodico dei Preraffaelliti, The Germ. Il 1850 è anche l'anno in cui Elizabeth Siddal, povera, bella e colta modista, poetessa oltre che musa e modella dei preraffaelliti, conosce Dante Gabriele Rossetti

Formatasi artisticamente da autodidatta, a partire dal 1854 Siddal si mise in luce per i suoi acquarelli. Tre anni dopo, era la sola donna presente nella mostra londinese dei Preraffaelliti, sostenuta da John Ruskin e dallo stesso  Rossetti, al quale resterà legata, in una relazione complessa e morbosa, fino alla propria morte, avvenuta nel 1862 in seguito all'assunzione di una dose eccessiva di laudano, proprio nel giorno in cui, un secondo dopo la poetessa americana Sylvia Plath si tolse la vita. Ironia della sorte, in quello stesso anno Christina Rossetti pubblicò la sua opera più importante, Goblin market and other poems, di cui in mostra è presente ledizione del 1865.

M.P. F