Il Trait-d'union tra una via deserta di Delft dipinta da Johannes Vermeer nella metà del XVII secolo e un'immobile scorcio cittadino colto da Edward Hopper negli anni '30/40 del Novecento è un'ovattata veduta di Copenaghen, popolata al più da uno stormo d'uccelli che attraversa un celo plumbeo, silenziosa come tutte le opere di Vilhelm Hammershoi (1864-1916).
Il suo quotidiano sobrio e solitario è protagonista sella sua prima mostra in assoluto in Italia: Hammershoi e i pittori del silenzio, a cura di Paolo Bolpagni, è in corso a Palazzo Roverella di Rovigo fino al 29 giugno.
Assorta Immobilità.
Un divano Biedermeier si staglia su una parete grigia, interrotta solo da un ritratto maschile e da una fredda lama di luce. In un altro dipinto una figura femminile è assorta nella lettura di un libro, immobile in una stanza spoglia. E poi ritratti enigmatici, talvolta di spalle, paesaggi danesi dove distese verdi, appena mosse, rivelano un timido mare sullo sfondo o sono "tagliate" da filari di alberi. I dipinti di Hammershoi raccontano una quotidianità silenziosa.
Gli interni che raffigurava erano realmente quelli della sua casa; allestiva dei veri e propri set spostando un mobile o aggiungendo una ceramica, fino a ottenere un colpo d'occhio desiderato (fu anche a Roma, dove partecipò alla Quadriennale del 1911 e dove realizzò l'unico dipinto di soggetto italiano, Interno della chiesa di Santo Stefano Rotondo, 1902, esposto a Rovigo),
La Danimarca rimaneva il suo "modello" preferito. Nella mostra di Palazzo Roverella alle sue opere sono accostate quelle di artisti che ne hanno subito il fascino e che hanno fatto dell'intimismo minimalista e della pensosa immobilità la loro cifra, da Umberto Prencipe a Oscar Ghiglia, Vittore Grubecy de Dragon e Sristide Sartorio, da Xavier Mellery e Fernand Khnopff, per citarne solo alcuni.
M.P.F