lunedì 14 ottobre 2024

IL CINQUECENTO A FERRARA - Mazzolino, Ortolano, Garofalo, Dosso


La mostra 
 IL CINQUECENTO A FERRARA, Mazzolino, Ortolano, Garofalo, Dosso costituisce la seconda tappa di un più ampia e ambiziosa indagine del tessuto culturale e artistico intitolato RINASCIMENTO A FERRARA 1471-1598: da Borso ad Alfonso II d'Este, vale a dire la stagione compresa tra l'elevazione della città ducato e il suo passaggio dalla dinastia estense al diretto controllo dello Stato Pontificio.

Naturale prosecuzione  di Rinascimento a Ferrara. Ercole de' Roberti e Lorenzo Costa tenutasi a Ferrara a Palazzo dei Diamanti nel 2023, l'esposizione ripercorre le vicende artistiche del primo Cinquecento, dagli anni del passaggio di consegne da Ercole I D'Este al Figlio Alfonso I (1534) committente raffinato e di grandi ambizioni, capace di rinnovare gli spazi privati della corte come quelli pubblici della città. La scomparsa della generazione di Cosmè Tura, Francesco del Cossa ed Ercole de Roberti lascia Ferrara alle prese con la difficoltà di adottare un linguaggio più moderno, addolcito e morbido. All'inizio del nuovo del nuovo secolo si sviluppa così una nuova scuola, meno endemica e più aperta agli scambi con  altri centri, che ha come protagonisti Ludovico Mazzolino, Giovan Battista Benvenuti detto Garofalo e Giovanni Luteri detto Dosso.

Mentre Garofalo e Dosso sono noti al pubblico e il loro percorso è stato approfondito in maniera organica in maniera organica in diverse occasioni espositive, per Mazzolino e Ortolano si tratta di un debutto assoluto, e quanto mai necessario per illustrare compiutamente e comprendere meglio il variegato panorama della pittura ferrarese dei primi decenni del XVI secolo.

I due maestri percorrono strade piuttosto diverse: Ludovico Mazzolino (Ferrara, 1487 - 1528), formatosi sui modelli di Ercole de' Roberti e del primo Lorenzo Costa, orienta il  suo linguaggio in senso anticlassico, guardando alla pittura e alle incisioni tedesche, da Martin Schongauer as Albert Durer. Nonostante dimostri di conoscere Boccaccino ela pittura veneziana, come anche Raffaello e la cultura antica, la sua arte è sempre animata da accenti visionari e da una vitalità rumorosa che lo pone a buon diritto tra gli "eccentrici" attivi nell'Italia settentrionali. Si specializza in quadri di impeccabile fattura destinati al collezionismo privato raffiguranti scene gremite di personaggi dai tratti fisionomici caricati, quasi grotteschi, del tutto insofferenti agli ideali di grazia ed equilibrio predicato da Perugino e dai sui seguaci.

L'astro bizzarro di Mazzolino spicca con evidenza ancora maggiore quando lo si confronta con l'atteggiamento di Giovanni Battista Benvenuti detto l'Ortolano (Ferrara, 1487 - 1527), caratterizzato invece da un naturalismo convinto e sincero. Dopo l'esordio influenzato dai modi dolci di Boccacino, Costa e Francesco Francia, Raffaello. Accanto alle grandi pale d'altare eseguite nel terzo decennio, veri e propri  capolavori connotati da un << classicismo>> naturalizzato per via del lume illusionistico >> (Longhi), produce numerosi quadri destinati alla devozione privata dove l'ispirazione raffaellesca  si accende di suggestioni venete, evidenti soprattutto nella resa del paesaggio. Impossibile non rimanere incantati dalla spontaneità con cui l'artista si approccia alla realtà: una luce chiara isola i personaggi e indugia silenziosa sugli oggetti; nella (apparente) semplicità delle composizioni si avverte il senso dell'arcano.

Tra i riferimenti di Ortolano figura certamente Benvenuto Tisi detto Garofalo (Ferrara, 1481 - 1559). Formatosi presso Domenico Panetti e Boccaccino dimostra fin da giovane una grande intelligenza figurativa che gli consente di misurarsi tempestivamente con tutte le novità che andavano nei maggiori centri della penisola. Durante il primo decennio si accosta alla pittura veneziana e a Giorgione, per poi spostare il baricentro dei propri interessi verso l'Italia centrale. Nel corso della sua lunga carriera Garofalo è il principale interprete e divulgatore ferrarese dello  stile di Raffaello, di cui comprende perfettamente la portata e di cui segue lo svolgimento con diligenza. Le sue pale d'altare, dalla maniera pacata ed elegante, popolano le chiese cittadine, mentre i preziosi dipinti da cavalletto sono presenti in gran numero in collezioni private.

Parallelamente a Garofalo si muove Giovanni Luteri detto Dosso (Tramuschio 1487 - Ferrara, 1542), uno degli artisti di punta della corte di Ferrara dove lavora. Nato nel piccolo ducato di Mirandola, esordisce a Mantova e nel 1513 si trasferisce a Ferrara dove lavora, insieme a Garofalo, al celebre polittico Constabili nella chiesa di Sant'Andrea (oggi nella pinacoteca nazionale. Durante la giovinezza la sua pittura risente dell'influenza di Giorgione e Tiziano, dai quali trae una magnifica profondità di colore e una luce tutta veneziana. All'epoca della sua prima opera sicuramente datata, la spettacolare Madonna col Bambino e santi per il duomo di Modena (1518-21), è già avvenuto un contatto con Michelangelo e la cultura romana: da qui in poi Dosso sviluppa uno stile personale, colto e divertito, grazie anche a una particolare sintonia con Alfonso I. Se Garofalo monopolizza le commissioni ecclesiastiche, Dosso è padrone del campo delle imprese ducali, in cui affronta temi allegorici, desunti spesso dall'Ariosto..

La scena della pittura cittadina non sarebbe infine completa senza le opere di Domenico Panetti, Lazzaro Grimaldi, Nicolò Pisano, Il Maestro dei Dodi Apostoli: grazie al contributo si questi maestri, presenti assieme ad altri (Fra Bartolomeo, Romanino, Amico Aspertini, Albrect Durer) 





















venerdì 31 maggio 2024

BIENNALE DONNA, 40 anni dalla parte delle artiste

 La parola, il corpo, la comunità. Tre termini che costituiscono l'impianto della  edizione di Biennale Donna (fino al 30 giugno), rassegna storica legata a Ferrara che quest'anno celebra quarant'anni di attività con il titolo Yours in Solidarity - Altre storie tra arte e parola, a cura di Sofia Gotti e Caterina Iaquinta, e presenta il lavoro di sei artiste negli spazi di Palazzo Bonacossi: Binda Diaw, Amelia Etlinger, Bracha L, Ettinger, Sara Leghissa, Muna Mussie e Nicoline van Harskamp.

Biennale è un progetto che nasce nel 1984 e incarna quell'arte necessaria, urgente, orizzontale che si fa gesto politico e civile, riflessione collettiva, strumento di formazione critica. Una Biennale dedicata alle artiste, ma che attraverso loro parla anche della parità di genere come diritto universale. Una questione che non riguarda solo le donne, ma che in loro trova figura simbolica. La storia della Biennale, infatti, nasce  dalla volontà tenace dell'UDI, Unione Donne in Italia, associazione femminile tra le più importanti in Europa, nata dalla volontà nel 1944, celebrata in mostra con documenti d'archivio, pubblicazioni, stendardi e fotografie. Biennale Donna rappresenta un caso unico in Italia, un progetto che ha continuato il lavoro iniziato da figure come Mirella Bentivoglio, Carla Lonzi e Romana Loda, e da collettivi tra cui Rivolta Femminile, Il Gruppo del Mercoledì, la Cooperativa del Beato Angelico. Se oggi le artiste hanno conquistato una certa cittadinanza e voce nel mondo dell'arte, negli anni Ottanta non era così, e il mondo di arte femminista, dopo la propulsione degli anni Settanta, sembrava aver perso energia e forza. Nel tempo la Biennale ha invitato artiste appartenenti a geografie lontane, ha aiutato nel riscoprire figure meno note ma fondamentali come Ketty  La Rocca, ha dedicato omaggi a icone come Carol Rama, Patti Smith e Mona Hatoum. 

Anche in questa edizione le artiste sono molto diverse tra loro per generazioni, linguaggi e tecniche ma le lega l'obiettivo di sviluppare forme di solidarietà e di mettersi in gioco sempre in prima persona. La pratica della statunitense Amelia Etlinger (1933-1987) si basava sulla stesura di lettere in busta chiusa indirizzate a figure come Mirella Bentivoglio e Betty Danon. Parole insieme a brandelli di stoffa, materiali organici e naturali residui del quotidiano. Bracha L. Ettinger, artista ma anche teorica femminista psiconalista e filosofa, dipinge su carta e tieni quaderni nati da processi di scrittura/ pittura psico-visiva. Muna Mussie, invece italiana di origine eritrea, indaga quelle parti di memoria collettiva escluse dalla narrazionì ufficiali, collaborando con gruppi di migranti con cui realizza ricami collettivi, mentre l'italo-senegalese Binda Diaw esplora l'influenza sull'individuo di fenomeni come la migrazione, il concetto di appartenenza, la questione di genere. Poi Nicolime van Harkamp, che rilegge attraverso opere video quelle utopie politiche vhe credettero nei legami solidali e nell'autodeterminazione, mescolando voci e immagini tratte da epistolari. E per Sara Leghissa, infine, manifesti che affigge sui  muri di città da Roma a Marsiglia, che contengono estratti dei suoi dialoghi con comunità marginalizzati: gli studenti, per esempio. La sua parola si fa voce corale e il suo manifesto all'ingresso della mostra, tratto dal testo sacro del femminismo come è Against ordinary language: the language of the body di Katty Acker, si pone come cruciale <<Is the equation between destuction and gruwth also a formula for art?>>.     



domenica 29 ottobre 2023

Achille Funi. Un maestro del Novecento tra storia e mito

 Palazzo dei Diamanti rende omaggio


a uno dei più originali e sensibili interpreti della temperie artistica della prima metà del Novecento. Achille Funi (Ferrara, 1890 - Appiano Gentile, 1972) ha preso parte ai principali movimenti del moderno classicismo del gruppo "Novecento", fino al muralismo degli anni Trenta.

Innamorato dei miti classici e della cultura rinascimentale,  al punto da essere considerato un novello umanista, Funi ha saputo attingere alla tradizione figurativa antica, ma anche guardare al linguaggio attuale di Cèzanne, Picasso, Derain, de Chirico, per plasmare un originale universo visivo dove s'intrecciano realtà e immaginazione.


Oltre centotrenta opere provenienti da importanti musei collezioni pubbliche e private, illustrano l'intera, complessa parabola creativa di Funi. Il percorso espositivo è scandito dai massimi capolavori dell'artista e propone un affascinante viaggio nell'universo della pittura.


Dagli esordi a Brera alla tarda maturità Funi ha sperimentato tutte le tecniche pittoriche senza stancarsi di ricercare i segreti perduti dei grani maestri. Dipinti a olio e a tempera, su tavola e tela, acquarelli, disegni e cartoni preparatori per i grandi affreschi e mosaici permettono di riscoprire lo straordinario talento di uno dei più grandi maestri del Novecento.

1 Tra Ferrara e l'Accademia di Brera: le opere giovanili (1905-1910)


La prima sezione  della mostra raccoglie alcune delle  rarissime opere del periodo giovanile di Funi. Si tratta di una produzione composta da studi a matita, sanguigna, pastello e meno di una ventina di oli.


Molto singolare è il piccolo e inedito Autoritratto, che raffigura il quindicenni Virgilio secondo i canoni di una robusta pittura realista.


Nell'autunno del 1906 l'artista si trasferisce a Milano e si iscrive all'Accademia di Brera, seguendo il canonico percorso formativo destinato a valorizzare le eccellenti doti del giovane.

Sensibile alla pittura figurativa, Funi realizza Nudo femminile seduto e Nudo maschile di forte consistenza plastica, e alcuni autoritratti di acuta sottigliezza psicologica. Più rari in questo periodo i paesaggi, come Il Ponte del Diavolo, Lanzo Torinese, così come appare inconsueto il decorativismo di gusto vagamente liberty di Ritratto di profilo.

2. IL Futurismo funiano. Il moto e la Forma (1911-1914)


Congedato nel 1910 dall'Accademia di Brera, condivide con i giovani colleghi il bisogno di rinnovamento mantenendosi però distante dagli estremismi del Futurismo di Umberto Boccioni e di Filippo Tommaso Marinetti.


Dotato di vocazione realistica mediata da un'innata visionarietà, già dal 1911 realizza matite ed acquarelli in uno stile cubofuturista caratterizzato da contrasti volumetrici inseriti in un movimento  ritmico e deformante, come in Corso Monforte. Il linguaggio innovativo del ferrarese è lodato dall'amico Boccioni, che ne ammira le fasciature delle forme sull'esempio di Cèzanne.

Questa sezione è dedicata al dinamismo architettonico della realtà e al movimento delle masse deformate sul ritmo delle emozioni plastiche, teorizzate nel 1914 da Boccioni, Figura in scala cromatica (1914) rivela la conoscenza dell'orfismo di Robert Delaunay e del cerchio cromatico di Auguste Macke, Uomo che scende dal tram del Museo del Novecento di Milano e Il motociclista (presente in diverse varianti), entrambe del 1914,


, affrontano il tema del moto in sintonia con Boccioni. La tematica è riproposta anche nel ribaltmento dei volumi e prospettive di Notturni (case+cielo+lampini, paesaggio lunare), visione urbana di un moderato Futurismo.

3 Testimonianze dal fronte (1915-1916)

Nel maggio 1915 l'artista si arruola nel Battaglione Lombardo Volontari Ciclisti Automibilisti con i compagni futuristi Umberto Boccioni, Carlo Erba, Filippo Tommaso Marinetti, Antonio Sant'Elia, Mario Sironi e con Anselmo Bucci, appena rientrato da Parigi e raffigurato nell'incisivo Ritratto di Bucci volontario. Combatte a Dosso Casina, passa nel 1916 al corpo degli alpini e affronta le battaglie di Camposile (1917) e di Grave di Papadopoli (1918).


Con i compagni interventisti vince la vicenda bellica con profondo entusiasmo e scrive dal fronte a Margherita Sarfatti: <<Sto benone>>. Basta leggere il diario di guerra di Boccioni per capire quanto ciò fosse lontano dal vero. Tuttavia nei momenti di pausa dalle operazioni militari gli artisti trovarono il modo per non trascurare la loro passione.


Funi realizza parecchi disegni e acquarelli su fogli di medie dimensioni, in gran parte andati perduti durante gli spostamenti militari e traslochi successivi. Vi ritrae, con abbreviamo sintetismo neo-cèzaniano, le pause dalle operazioni, le attese nel campo, la gavetta, i soldati a riposo, i giochi tra coscritti, la lettura delle missive da casa, brani autentici di quotidianità solo apparentemente serena.


4. Cubofuturismo e recupero di Cèzanne (1911-1918)


Il ventenne Funi non aderisce al Futurismo di Marinetti: non condivide nè l'ideologia, nè la frammentazione della visione. La sua poetica procede piuttosto verso un rinnovamento linguistico alla luce di Cèzanne e di una personale ispirazione cubofuturista che gli consente di mantenersi fedele alle forme, alle forme, alle masse plastiche e al loro moto armonico.


Tra il 1913 e il 1914 partecipa all'eclettico sodalizio denominato Nuove Tendenze versione moderata del Futurismo.

Di evidente ispirazione cubista sono Autoritratto futurista e Giovinetta (Margherita o la sorella), entrambi del 1913, data del suo ritorno al suo ritorno all'attività artistica dopo la crisi vissuta l'anno precedente.



Il riferimento a Cèzanne torna con insistenza in tempere, gouache e inchiostri ispirati a tematiche familiari, anch'essi di impronta cubofuturista: cucitrici sullo sfondo di moderne visioni urbane, bimbe alla finestra, famiglia a tavola. Da notare le singolari frammentazioni architettoniche del dipinto La finestra, soggetto adottato in ambito europeo da Raoul Dufy, Paul Klee, per affinare la pratica della scomposizione dell'immagine.



 5.Tra Cubismo, Cèzanne e Metafisica (1917-1919)


L'epilogo della Grande Guerra segna in ambito nazionale la fine delle avanguardie e l'avvento del clima successivamente definito del Ritorno all'ordine per indicare il ritorno a una classicità riletta in chiave moderna. Nulla di meglio per Funi, dotato di una sostanza classica innata.


Le vie della ricostruzione passano per il pittore, attraverso la sintesi di antico e moderno: da Cèzanne ad Andrè Derain, dal Cubismo Sintetico a una moderata interpretazione della Metafisica. Fedele alla tradizione Ferrarese associa ai linguaggi recenti l'amore per gli antichi maestri, in particolare Leonardo.


Genealogia o La famiglia del Mart di Rovereto è una straordinaria dimostrazione della sintesi tra i riferimenti al Cubismo, a Cèzanne, alla Metafisica e all'Ultima cena di Leonardo. La commistione tra antico e moderno si trova nelle sanguigne eseguite intorno al 1917 e in Margherita Sarfatti con la figlia Fiammetta, sorprendente esempio di realismo visionario.


6.Verso la moderna classicità (1918-1922)

La ricerca di forma e volume si esprime in epoca postbellica in linguaggi spesso disomogenei. In anticipo di almeno un biennio alle poetiche del "Novecento" è lo statuario Autoritratto in riva al mare (1918), mente Eva 1919, pur ancora riferita alla scomposizione volumetrica cubista, mantiene mantiene un impianto neorinascimentale.


La complessità dell'ispirazione funiana degli anni tra il secondo e il terzo decennio del secondo passa attraverso l'influsso di Andrè Derain in Ragazza dormiente (1920 Mart)


e in Paesaggio ligure) e del manierismo del coevo Tema mitologico, Venere e Satiro, eccezionale sintesi tra la pittura tardo cinquecentesca di Simone Petarzano e la Metafisica dechirichiana.


L'artista conferma il legame con Cèzanne, omaggiato dalla XII Biennale del 1020, nel neoplatonico Coni e sfera. Di ispirazione rinascimentale e leonardesca è invece Il bel cadavere (le villeggianti) proviene dal Museo del Nonvecento di Milano.

























    

domenica 17 settembre 2023

American Beauty, Da Robert Capa a Banksy

 


America Beauty è una rosa solida e duratura, come il paese che rappresenta. Ma se i petali rimangono floridi a lungo, il gambo marcisce rapidamente. Da questa metafora prende il via l'esposizione, America Beauty. Da Robert Capa a Banksy, con l'intento di offrire un ampio ritratto degli Stati Uniti, principale potenza globale al cui interno sopravvivono numerose contraddizioni. Il Centro Culturale Altinate / San Gaetano di Padova, fino al 21 gennaio 2024, accoglie 130 opere d'arte a stelle strisce, selezionate per sviluppare una narrazione che illustri le ambivalenze made in USA. L'orgoglio patriottico e la modernità culturale da un lato, il feroce imperialismo militare e le persistenze dei fenomeni di intolleranza razziale dall'altro.

La mostra è organizzata da ARTIKA di Daniele Buso ed Elena Zanoni in collaborazione con con il Comune di Padova e Assessorato alla Cultura.


La mostra si pone l'obiettivo di raccontare alcune delle vicende chiave della storia statunitense negli ultimi cento anni. Come raccontare questa storia? Attraverso gli occhi attenti di decine di artisti che negli anni Quaranta del Novecento si sono posati su questo grande paese, evidenziandone punti di forza e criticità. L'elemento che accomuna questi artisti è l'utilizzo della bandiera americana come elemento iconografico di partenza per la comunicazione del proprio contenuto ideologico e formale. Da Jasper Johns ad Andy Warhol, da Iwo Jima a Banksy, la bandiera è sempre stato uno strumento attraverso il quale inviare un preciso messaggio: dall'esaltazione della denuncia, trasfigurando in positivo o in negativo il ritratto degli Stati Uniti. La stelle e "strisce" ha un valore totemico, rappresenta l'amalgama dei diversi popoli e religioni, che convivono in America.

La bandiera è il simbolo di questo paese e del suo dominio globale caratterizzato dalla diffusione del capitalismo e dalla supremazia militare e tecnologica. In questa mostra sono rappresentate alcune delle tappe fondamentali si questa nazione, da Iwo Jima a Martin Luther King, fino all'11 settembre, passando per la Pop Art e lo sbarco sulla luna, il Vietnam e la Silicon Valley. La mostra ospita una selezione di 120 artisti internazionali. Sono presenti alcune tra le più importanti correnti della fotografia internazionale: come la
 street phouography (Henri Cartier-Bresson, Vivian Maier) e la fotografia documentaria (rivoluzionata dai ritratti di Diane Arbus). La fotografia a colori è bel rappresentata da alcuni mostri sacri del medium come Steve McCurry, Annie Leibovitz e Vanessa Beecroft. La mostra accoglie alcuni movimenti artistici del Novecento che hanno elevato gli Stati Uniti a prima potenza nelle arti. Il primo movimento autenticamente americano, e destinato a diffondersi capillarmente in tutto il mondo, è stato la Pop Art (qui rappresentata da Rosenquist, Indiana e Warhol). La Pop Art ha rivoluzionato il modo stesso di concepire l'arte: accogliendo iconografie extra artistiche (come il fumetto e i prodotti da supermercato) e determinando perciò una compenetrazione tra cultura alta e cultura bassa. Il secondo movimento, che ha preso tra le strade di New York, è la street art.

Dall'opera pionieristica di Keith Haring, la street art si è imposta in tutto il pianeta, sempre in bilico tra l'essere uno strumento di rivolta antiestablisment o un prodotto commerciale ambito dalle gallerie d'arte. La stree art è attualmente la corrente artistica più diffusa a livello internazionale, erede della Pop Art. Banksy, Mr Brainwash e Obey sono i suoi rappresentanti in mostra. L'artista di Bristol, di cui nessuno conosce la vera identità, ci porta nelle periferie americane tra ribellione giovanile e tentativo di rivalsa sociale. Obey (pseudonimo di Shepard Fairey) si è distinto per la fortunata campagna elettorale di Obama. In mostra è presente con due opere iconiche che raccontano il dibattito interno americano sulla difficile convivenza tra  la leadership bianca e le minoranze etiche e religiose

M.P.F


 

 

 















mercoledì 10 maggio 2023

L'arte della moda L'età dei sogni e delle rivoluzioni 1789 - 1968 Forlì Museo Civico San Domenico Aperta fino al 2 luglio

 La moda dipinta, ritratta, scolpita, realizzata dai grandi artisti. L'abito che modella, nasconde, dissimula o promette il corpo. L'abito come segno di potere, di ricchezza, di riconoscimento, di protesta. Cifra distintiva di uno stato sociale o identificativa di una generazione. La moda come opera d'arte e comportamento. L'arte come racconto e come sentimento del tempo. Come uno specchio. L'esposizione forlivese del 2023 mette in rapporto l'arte della moda: dalla Rivoluzione francese alla Pop Art, fino alla nostra contemporaneità. Oltre 200 capolavori d'arte e 100 abiti dialogano in una mostra imponente, con un allestimento unico al Museo Civico San Domenico di Forlì.

La sintesi tra opera d'arte e moda l'ha ben definita Oscar Wilde:

"O si è un'opera d'arte o la si indossa". Tutta l'arte ha sottolineato l'intimo legame che da sempre c'è con la moda, entrambe sono unite dalla volontà di riformare la natura e trasformarne il reale.

Se il legame tra abito e ruolo sociale è proprio di tutte le civiltà organizzate, il principio di cambiamento costante della moda è l'effetto di un lungo processo storico e segna l'avvio della modernità.

Mostrare i segni di ricchezza e del potere, farsi vedere ed essere visti assume già con l'Acien Régime, e poi, con le Rivoluzioni nell'età borghese, un significato programmatico e comunicativo.

La moda si colloca sl centro del potere e della sua comunicazione, della società e dei suoi segni simbolici. Sinonimo di lusso e seduzione, essa è specchio delle contraddizioni contemporanee, travestimento e arte dell'apparire, ma anche maschera e riflesso della crisi dell'io.

Cambiano gli stili e cambiano i materiali. Si aprono nuove produzioni. La ricerca dei materiali rivoluziona il modo produttivo e quello commerciale fino alle attuali soluzioni tecnologiche.

E con la diffusione cambiano i linguaggi e la comunicazione.

Ma è proprio la diffusione  della moda che crea socialmente e culturalmente quella sua caratteristica bipolare che la connoterà di lì in poi. Si tratta di elementi qualificati che nelle forme dello stile sottolineano continuamente il passaggio fra trasgressione e omologazione, rottura e consenso, lineare e sontuoso, policromo e monocromo., natura e artificio, organico e inorganico, superficie e profondità, differenza e identificazione, per riprendere alcune delle antinomie di pensatori come George Simmel e Walter Benjamin.

L'arte ne è lo specchio e l'ispirazione, l'espressione e la diffusione dei modelli. Spesso la creazione stessa. Dalla fine dell'Ottocento e per tutto il Novecento il rapporto tra artisti e moda si fa più intenso: artisti che oltre a ritrarre l'eleganza disegnano abiti e gestiscono la comunicazione della moda, stilisti che collezionano opere d'arte e ne fanno oggetto di ispirazione o simbolo della propria contemporaneità.

Il rapporto tra arte e moda va da  quel momento incrementandosi in un gioco delle parti che porterà la moda stessa a diventare un'arte, uno sguardo sulle cose del mondo come la filosofia, la letteratura, il cinema, e a ispirarsi all'arte stessa, in rimandi che dal secondo Novecento fanno dell'intera storia dell'arte, un riferimento costante, imprescindibile, soprattutto per il Mode in Italy.

Come  ha sostenuto Mondrian, " La moda non è soltanto lo specchio fedele di un'epoca, bensì anche una fra le espressioni plastiche più dirette della cultura umana".

M.P.F.