La Biennale Donna torna per la sua XIX edizione, aperta fino al 29 maggio il PAC - Padiglione d'Arte Contemporanea di Ferrara ospita la mostra OUT OF TIME, Ripartire dalla natura - una collettiva che presenta opere di cinque artiste internazionali: Monica Miranda (Portogallo/Angola, 1976), Christina Kubisch (Germania, 1948), Diana Lelonek (Polonia, 1988), Ragna Ròbertsdòttir (Islanda, 1945) e Anais Tondeur (Francia 1945).
L'esposizione è organizzata da UDI - Unione Donne in Italia e dalle Gallerie d'Arte Moderna e Contemporanea del Comune di Ferrara, ed è curata da Silvia Cirelli e Catalina Golban.
Out of time illustra la necessità di ripensare le strutture radicate, riorganizzare le pratiche consolidate in ambito sociale ed economico e mostrare i legami con il dibattito ecologico in corso. Da qualche decennio, e ultimamente in maniera marcata, si sta consolidando una consapevolezza diversa rispetto all'ambiento naturale che ci circonda. La nostra epoca antropocentrica ha bisogno di essere ripensata tramite nuovi paradigmi che potrebbero prefigurare un modo altro di essere al mondo.
E quindi inevitabile che l'arte affronti attraverso i propri strumenti e linguaggi le questioni tecnologiche più pressanti. Le riflessioni che ne derivano da ambiti differenti confluiscono, attraverso una poliedricità di linguaggi artistici (installazioni, fotografie e video) in mostra che intende esplorare il rapporto tra l'essere umano e l'ambiente, ed esaminare le intenzioni tra entrambi i soggetti. Un altro obiettivo di questo progetto è porre l'attenzione sulle modalità di appropriazione dell'ambiente come conseguenza drammatica dello sfruttamento delle risorse naturali.
Le cinque artiste indagano l'intenzione e la possibile alleanza tra tutti gli esseri viventi ospitati in questo pianeta. Differenti modelli di lettura e varie prospettive richiamano l'attenzione sui i modi in cui la natura è stata stravolta nella ricerca dell'egemonia da parte dell'essere umano, mettendone in luce le ripercussioni sia sull'ambiente sia sul tessuto sociale. L'intreccio tra le varie sperimentazioni artistiche si inserisce in un ampio e proficuo dialogo con varie scienze, a dimostrazione di come la cooperazione e la ricerca socio-economica ed ecologica siano essenziali per allenare un pensiero comune che scardini la visione antropocentrica.
La mostra si apre con l'opera dell'islandese Ragna Ròbertsdòttir, artista il cui lavoro è caratterizzato da una forte cifra minimalista, che proietta la propria grammatica stilistica con l'impiego di componenti dall'evidente potenza materica. Lava, vetro, pomice, ossidiana, rocce vulcaniche, sale, o conchiglie caratterizzano una personale impronta espressiva che sfocia in un legame viscerale con il mondo naturale. Oltre ad alcune delle sue opere più significative, come la serie Saltscape, realizzata con sale marino e sale di lava nero, o View, dove domina la lava rossa del vulcano Seydisholar, la Biennale Donna ospita due lavori site specific interventi di inconfondibile valenza tattile che rievocano al contempo la magnificenza e la fragilità dell'universo naturale.
Di differente sintesi poetica è invece l'approccio della francese Anais Tondeur la cui ricerca di derivazione scientifica di affascinante evocazione coinvolge lo spettatore nella sua realtà umana. Installazioni multidisciplinari presentate in mostra sono, infatti, la traduzione visiva di indagini scientifiche rispettivamente dedicate alle tracce del peticore, l'inconfondibile odore del pioggia sul suolo asciutto, e l'analisi dei cicli oceanici, di vitale importanza per una maggiore comprensione dei cambiamenti climatici terrestri.
La Biennale prosegue poi con il mondo visionario di Monica De Miranda, portoghese ma di origini angolane, la cui eredità culturale ha fortemente influenzato il suo percorso artistico, portandola all'esplorazione dell'evoluzione ambientale da un punto di vista antropologico. Confrontandosi con le ferite di un colonialismo violento, De Miranda si sofferma sulle convergenze fra stratificazione sociale e il cambiamento dell'ecosistema, proponendo "geografie emozionale" - come lei stessa le definisce - cioè narrazioni urbane che seguono intimi processi identitari.
La prevaricazione dell'uomo sulla terra torna baricentrica anche nel percorso creativo della polacca Diana Lelonek, che offrendo una visione critica sui processi di sovrapproduzione, focalizza la sua parabola espressiva sulla possibilità di soluzioni alternative di convivenza e coesione fra mondo naturale e mondo umano. Questo approccio empatico detta le basi di un'interdipendenza fra specie e l'accettazione di uno scenario trasversale di chiara rottura rispetto a quello attuale.
Chiude il percorso espositivo, il lavoro di Christina Kubisch, una delle più incisive figure della sound art tedesca. Attingendo a un'estetica inedita, Kubisch è riuscita nell'intento di proiettare "paesaggi acustici" attraverso l'esplorazione del potere del suono. La sue polifoniche installazioni sonore indagano il cosiddetto inquinamento acustico silenzioso, esperienza sensoriale fondamentale per poter comprendere lo stato di saturazione elettromagnetica diffusa intorno a noi.
M.P.F.
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