lunedì 24 gennaio 2022

Juliet Manet. La mémoire impressioniste


Il 14 novembre 1878 nasce a Parigi Juliet Manet, prima ed unica figlia di Berthe Morisot e nipote di
 Edouard Manet. Nel 1874 Berthe aveva sposato Eugéne, il più giovane dei fratelli Manet e con la nascita di Julie, da lei descritta come <<una Manet fino alle punte delle unghie>>, aveva legato sempre il suo nome e il suo sangue alla famiglia del suo destino.

Spettatrice privilegiata delle vicende impressioniste, Julie inizia a dipingere fin da piccola e ancor prima di fare la modella alla madre, allo zio paterno e agli amici. Ogni tappa della sua vita, dai giorni trascorsi tra le braccia della tata ai primi giochi in giardino, alle pose in abiti eleganti o durante le lezioni di violino, non rimane impressa soltanto negli album di famiglia ma anche nella memoria collettiva della storia dell'arte.


Fin dalla nascita, Julie è fonte di ispirazione per Berthe che la soprannomina <<Bibi>> e la ritrae <<a tutte le età e in tutte le  situazioni, all'esterno, all'interno, all'esterno, sola o in compagnia, che dorme o che suona (...) in totale, in circa settanta tele di Berthe compare Julie, senza contare i pastelli, gli acquarelli, i carboncini!. Queste opere tracciano la storia di un amore felice>>.


Nel 1881, la pittrice ritrae la figlia di tre anni intenta a giocare sulle gambe paterne nel giardino di Bougival, mentre nel 1894 coglie l'intensità di una giovane adolescente in Julie sognante. Nello stesso anno anche Renoir dedica delle opere alla giovane Manet, in una è da sola con lo sguardo triste per la disgrazia appena vissuta della morte del padre e nell'altra è con la madre in una delle ultime immagini dove sono ritratte insieme e che mostra Berthe stanca, con i capelli improvvisamente diventati grigi, e Julie nel pieno della sua giovinezza. Tra Julie e Renoir, che nel 1887 l'ha ritratta nel celebre Julie Manet o Bambina con il gatto, si instaura negli anni un legame sincero che spinge Morisot a scegliere l'amico e collega come membro del consiglio di famiglia costituito dopo la morte di Eugéne per il supporto della giovane. Altra figura vicina a Julie è il poeta Séphane Mallarmè, nominato da Berthe suo primo tutore.


E' lui a regalarle l'amato levriero Laerte, a portarla ai concerti di musica classica le domeniche pomeriggio e poi a supportarla, primo tra tutti, nella realizzazione della grande mostra postuma dedicata a Berthe Morisot alla Galleria Durand-Ruel nel 1896, a un anno dalla sua morte. Tre anni prima, Julie ha iniziato a scrivere un diario per raccogliere pensieri, appunti e impressioni del quotidiano. Attraverso queste pagine, che accompagnano fino al 1899, emerge un'animata rappresentazione di un periodo vitale nella storia culturale francese. Ritroviamo le sue visite a Berthe a Giverny per vedere il ciclo delle Cattedrali di Monet appena realizzato: <<Ce ne sono ventisei, sono magnifiche, qualcuna tutta viola, altre bianche, gialle, con un cielo blu, rosa con un cielo verde, poi la nebbia, due o tre nell'ombra alla base e illuminate dai raggi del sole sulle torri (...). Questi quadri di Monet danno una lezione di pittura>>.

Quando Julie ha solo sei anni è con Berthe mentre dipinge alle Tuilleries e la pittrice racconta, contenta, di come la bambina veda il rosa nella luce e il viola nell'ombra.


La pittura è una grande passione per Julie che dipinge senza sosta nell'atelier della madre, copiando gli stessi soggetti e scegliendo gli stessi toni chiari e brillanti. La famiglia, che come primo regalo fa alla piccola una scatola di colori, conserva tutte le opere. Proprio la pittura ha soprattutto permesso alle due donne di mantenere un dialogo ininterrotto, rivelandosi così attività capace di offrire loro<<non soltanto un legame magico al di là della morte ma anche (di essere) uno specchio nel quale madre e figlia si guardano, si assomigliano, si confondono in un solo stesso amore.


I clima d'amore che Berthe è riuscita a creare intorno a Julie continua a vivere anche in sua assenza. Oltre a Renoir, Monet e Mallarmè, un altro amico della pittrice che si prende cura della giovane è Degas. E' lui a presentarle Ernest Rouart, figlio del pittore Henri e pittore anche lui, che nel 1900 diviene suo marito e con il quale Julie crea una copia attiva nell'arte come lo era stata quella dei genitori.


Se tra Berthe ed Eugéne è il fratello di Manet a scegliere di rimanere un artista amatoriale per sostenere la carriera della moglie, per Julie ed Ernest i ruoli si invertono. L'ultima esponente dei Manet, pur non abbandonando mai il pennello, non diventa infatti una pittrice professionista ma segue l'attività pittorica del marito e si impegna nella valorizzazione e diffusione delle opere della madre e dello zio. Oltre a raggruppare un'importante collezione che confluirà in parte nella raccolta del Musée Marmottan Monet di Parigi, si mobilita affinchè i dipinti di Berthe e di Eduard entrino in importanti musei pubblici. A distanza di cinquantacinque anni dalla morte di Jilie Manet è proprio il Musée Marmottan, da sempre legato alla sua famiglia, a dedicarle fino al 20 marzo 2022 un'esposizione con più di cento opere provenienti da musei internazionali e da numerose colle


zioni private. La mostra intende far luce non solo sulla giovinezza si Julie vissuta tra gli impressionisti ma anche sulle fasi successive di un'esistenza intensamente consacrata  del mondo dell'arte.

Lo sguardo delicato e intenso presente nei primi ritratti la accompagna fino alle ultime fotografie che la immortalano, seduta davanti ai capolavori dei suoi cari.

Guardiana della memoria di una delle famiglie artisticamente più influenti del secondo Ottocento francese, Julie Manet conserva negli occhi e difende in ogni momento della vita le immagini di una storia unica scritta con amore attraverso il linguaggio privilegiato dell'arte.


M.P.F.


giovedì 20 gennaio 2022

Francis Bacon. Man and Beat

 La mostra Francis Bacon.


Man and beast, curata dallo scrittore
Michael Peppiatt, amico del pittore, è la prima a mettere a fuoco uno dei temi cruciali nella ricerca dell'artista irlandese, quello della sua ossessiva fascinazione per gli animali, in stretto rapporto con le sue figure umane mai troppo lontane dalle bestie.

Il percorso espositivo si sviluppa attraverso la presentazione di quarantacinque dipinti (tra cui grandi trittici) divisi tematicamente e cronologicamente in otto sezioni, a partire dai più vecchi lavori degli anni Trenta e Quaranta fino all'ultimo del 1991, Study for a bull, mai esposto prima d'ora.

Per Francis Bacon (1909-1992), il fatto che l'essere umano continui a rimanere fondamentale in animale è una verità che caratterizza il fondo stesso della sua figurazione, dai primi terribili esseri metamorfici degli inizi ai corpi deformati dell'ultima fase. Per lui, sotto la struttura della civilizzazione, gli uomini sono come tutti gli altri animali dipendenti dagli istinti primari.


La mostra inizia con immagini di ibride creature surreali ispirate alla mitologiche Furie protagoniste dell'Orestea di Eschilo, metafore degli orrori del nazismo, così come quelle presenti in Fragment of Crucifixion (1950), dove un cane rabbioso e una specie di gufo prendono il posto dell'uomo. Temi analoghi si ritrovano in due grandiosi trittici dipinti negli anni Ottanta: Triptych ispired bay the Oresteia of Tryptich 1944.

Nella seconda sezione c'è un'impressionante serie di "ritratti" con fisionomie stravolte che mettono in questione i confini fra la specie umana e le altre. Sono esposte qui tra le sei Heads presentate nella prima mostra personale dell'artista nel 1949. Queste teste sono ingabbiate in "vetrine" cubiche, delle strutture trasparenti utilizzate in molti altri lavori successivi, come una sorta di dispositivo di congelamento della violenza espressiva dei personaggi.

E' il caso anche dei famosi ritratti del papa Innocenzo X, d'après Velàzquez, di cui si possono vedere qui due versioni.

Nella sezione seguente sono esposti dei quadri di animali


nelle savane, che nascono dall'esperienza dei due viaggi in Sud Africa nel 1950, e dall'utilizzo di immagini di libri fotografici sulla fauna selvatica. Ma la fonte priveleggiata per lo studio del movimento degli animali e dei corpi umani deriva soprattutto dalle straordinarie sequenze cronofotografiche realizzate da Eadweard Muybridge alla fine dell'800. Tra le opere che fanno parte della sezione su questo tema, troviamo per esempio Man and dog, e Two figures del 1953, in cui si vedono due uomini nudi che lottano.

A partire dagli anni Sessanta la rappresentazione delle figure nude maschili e femminili si caratterizza per un crescente distorsione e lacerazione delle forme anatomiche, come per esempio nel Portrait of Henrietta Moraes on a blue couch del 1967 o come in Triptych-Study for human body del 1970.


Una sala è dedicata che Bacon ha fatto del suo amante George Dyer. La relazione appassionata e burascosa inizia nel 1963 e dura quasi dieci anni fino al tragico suicidio di Dyer. Tra i ritratti più sconvolgenti è da citare Potrait of Geoge Dyer crouching del 1966, in cui vediamo il contorto personaggio nudo accucciato in mezzo a uno strano divano a forma di vasca circolare.

Al centro dell'esposizione spiccano per la loro potente e drammatica spettacolarità tre versioni di una scena di corrida, dove nella cruenta lotta tra il toro e il matador l'uomo e la bestia sembrano formare un solo intricato organismo.

M.P.F.


giovedì 10 giugno 2021

ZUAN DA UDINE FURLANO: Giovanni da Udine tra Raffaello e Michelangelo (1487-1561)

 Raffaello lo volle al suo fianco nella Loggia di Psiche alla Farnesina e nell'impresa delle Logge


vaticane, Michelangelo lo teneva in alto conto, Clemente VII si affidò a lui per delicati interventi di restauro e decorazione sia a Roma che a Firenze

Giovanni Ricamatore, o meglio, Giovanni da Udine "Furlano", come si firmò all'interno della Domus Aurea, riuniva in sè l'arte della pittura, del disegno, dell'architettura, dello stucco e del restauro. Il tutto a livelli di grande eccellenza.


A Roma, dove era stato uno dei più fidati collaboratori di Raffaello, rimase anche dopo la scomparsa dell'Urbinate. Conquistandosi, per la sua abilità, dapprima il titolo di Cavaliere di San Pietro e quindi una congrua pensione da pagarsi sull'ufficio del Piombo. Intorno alla metà degli anni trenta del '500, Giovanni decise di abbandonare la città che gli aveva garantito fama e onori e rientrare nella sua Udine con il proposito di "non toccar più pennelli".


Preceduto dalla fama conquistata a Roma, una volta tornato in Friuli si trovò pressato dalle committenze e non seppe mantenere fede al suo "autopensionamento". Tra le realizzazioni di maggiore importanza vanno annoverate la decorazione di due corridoi in Palazo Grimani a Venezia e l'esecuzione di un fregio a stucco ed affreschi nel castello di Spilimbergo.


Inoltre è proprio salendo la monumentale scalinata a doppia rampa progettata da Giovanni, stavolta in veste d'architetto, che il pubblico può accedere alla magnifica Sala del Parlamento che fino al 12 settembre accoglie la prima retrospettiva che mai sia stata a lui dedicata.

"Giovanni da Udine tra Raffaello e Michelangelo (1487 - 1561)", promossa dal Comune di Udine - Servizio Integrato Musei e Biblioteche, è a cura di Liliana Cargnelutti e Caterina Furlan, affiancate da un autorevole Comitato scientifico.

Per la prima volta in questa mostra viene riunito un cospicuo numero di raffinati disegni che, provenienti da diversi musei europei e da una collezione privata americana, confermano la sua proverbiale abilità nella rappresentazione del mondo animalistico-vegetale e soprattutto uccelli.


Ciascuno degli ambiti della poliedrica attività di Giovanni da Udine è indagato in mostra attraverso stucchi, incisioni, documenti, lettere, libri e altri materiali.

Inoltre le spettacolari sezioni dedicate alle stampe e ai disegni di architettura consentono di visualizzare i principali luoghi e ambienti in cui l'artista ha operato: dalla Farnesina alle logge vaticane, da Villa Madama alla Sacrestia nuova di San Lorenzo a Firenze.


Il contesto storico e culturale del tempo viene ricostruito in mostra attraverso libri, documenti e filmati.

Una sezione speciale ripropone al Castello di Udine la mostra documentaria dal titolo "Loggia di Amore Psiche. Raffaello e Giovanni da Udine. I colori della prosperità. Frutti del vecchio e nuovo mondo", a cura di Antonio Sgamellotti e Giulia Caneva, realizzata nell'aprile 2017 alla Farnesina, dedicata ai festoni realizzati nella loggia di Psiche da Giovanni da Udine.


Concluso il percorso espositivo, il visitatore potrà ammirare dal vivo le opere architettoniche, gli affreschi e gli stucchi realizzati da Giovanni da Udine e dai suoi collaboratori nel Castello di Colloredo di Montalbano, a Spilimbergo, a San Daniele del Friuli e a Udine. Per chi voglia spingersi fuori dal Friuli, l'itinerario ideale trova il suo completamento a Venezia, per una visita a Palazzo Grimani, e naturalmente a Roma, che fa tesoro delle sue opere più celebri.

M.P.F.














mercoledì 9 giugno 2021

Francesco Morosini in Guerra a Candia e in Morea

Francesco Morosini, il valoroso comandante di Venezia, al Museo Atestino di Este


La mostra segue un viaggio nella potenza di Venezia, attraverso le vicende di uno dei suoi più grandi 

condottieri. E' la mostra "Francesco Morosini: la difesa di Venezia tra mare e terra a Creta e nel Peloponneso", allestita nella sala "delle Colonne" del Museo Nazionale Atestino di Este, in provincia di Padova, fino al 27 settembre.


Un viaggio nella potenza di Venezia, attraverso le vicende di uno dei suoi più grandi condottieri.

 La mostra "Francesco Morosini: la difesa di Venezia tra mare e terra a Creta e nel Pelopponeso", è

allestita nella sala "delle Colonne" del Museo Nazionale Atestino di Este, in provincia di Padova, fino al 27 settembre.


Lo Stato da mar, i territori veneziani del Levante, situati lungo le coste dell'Adriatico e nel Mediterraneo, sono luoghi in cui la presenza di Venezia risale al Medioevo. E' uno Stato dalle caratteristiche particolari poichè non possiede una coesione territoriale.


Ma è composto da città, porti e fortezze fra loro isolati e collegati principalmente dalle rotte marittime. Rotte che passano lungo la sponda orientale dell'Adriatico e raggiungono l'Egeo e il Mediterraneo orientale. Attraversando le isole Ionie, la Grecia continentale, la Morea (il Peloponneso) e l'isola di Candia (Creta) Nel corso dei secoli, la geografia dello Stato da Mar cambia continuamente. In particolare tra Quattrocento e Cinquecento, in seguito alle guerre con gli Ottomani e nuovi territori passano sotto il governo di Venezia. Altri sono invece definitivamente perduti.

Le città costiere della Morea cadono quasi tutte entro lo scorrere del 1500. Mentre l'isola di Candia rimane veneziana con continuità per più di quattrocento anni, fino al 1669.


Morosini per Venezia non solo riconquistò molte delle antiche città e fortezze della Morea, ma estese i possedimenti della Repubblica a quasi tutto il Peloponneso.


Francesco Morosini (1619 - 1694) fu per quattro volte capitano della flotta e dell'esercito veneziano, oltre che doge (dal 1688). Ebbe il ruolo particolare e importante nella storia di Candia (1645-1669) e ne segnò anche l'atto finale. Consegnando all'Impero ottomano la capitale (Candia, Chandaka, Iraklion) e l'intera isola, salvo alcuni avamposti che rimasero veneziani fino alla caduta della Repubblica.


Qualche anno dopo, nel corso della guerra della Sacra Lega contro l'Impero Ottomano (1684-1699) - l'unica guerra di attacco combattuta da Venezia contro i turchi - Morosini invece non solo riconquistò molte delle antiche città e fortezze della Morea, ma estese i possedimenti della Repubblica a quasi tutto il Peloponneso. Un successo però di breve durata poichè la Morea fu definitivamente persa solo pochi anni dopo, tra il 1714 e il 1718.


Un ricco corollario di testimonianze tra armi, cimeli, documenti storici, manuali, mappe militari e autentiche rarità provenienti dal Museo Correr di Venezia e da collezioni private, arricchiscono il percorso.



La mostra su Francesco Morosini ad Este si articola in quattro sezioni: nel percorso figurano nove tele originali e una riproduzione, parte del prezioso ciclo sulle campagne militari che la Serenissima ha condotto a Candia e in 


Morea. Più un ricco corollario di testimonianze tra armi, cimeli, documenti storici, manuali, mappe militari e autentiche rarità provenienti dal Museo Correr di Venezia e da collezioni private. Tra cui le insegne di comando turche, un raro cannone ottomano, alcuni strumenti musicali della banda dei giannizzeri.

M..P.F..



domenica 30 maggio 2021

Anima di Volterra

 Nasce 'l'Anima di Volterra', un progetto di valorizzazione di quella parte di Città che rappresenta maggiormente il cuore, ma anche l'anima della comunità volterrana.


La Piazza San Giovanni si presenta, infatti, come lo spazio sacro più significativo della città e della Diocesi di Volterra, in cui si affacciano il Duomo, il Campanile, la Casa dell'Opera, l'oratorio della misericordia, l'antico Ospedale e il Battistero e che dà il nome a questa significativa area del tessuto urbano al centro della giurisdizione vescovile volterrana, la quale, secondo la tradizione, risalirebbe addirittura all'epoca apostolica, sicuramente attestata agli ultimi decenni del V secolo.


La chiesa episcopale cittadina, ubicata nel luogo dove ora sorge la Cattedrale, è testimoniata con la sua titolatura a Santa Maria sin dall'epoca di Carlo Magno. Ma il cuore è anche l'anima di una città, nel suo duplice aspetto della religiosità e dei più alti valori civici e sociali ( come ricorda Santa Caterina in una sua lettera, l'uomo che si rinnova nello spirito "Possiede la città dell'anima sua... " ) ed è per questo che il progetto "L'Anima di Volterra" prevede la creazione di un percorso di visita unitario fra i vari siti di Piazza San Giovanni: Cattedrale di Santa Maria Assunta, Battistero, Antico Ospedale Centro Espositivo di Santa Maria Maddalena.

Il percorso estetico e spirituale si diparte dunque dal Duomo, il monumento più significativo e caratterizzante della comunità, con i suoi numerosi capolavori databili già a partire dai primi secoli del Medioevo. Fra le opere più antiche si annovera l'importante gruppo scultoreo della Deposizione, detta nei documenti opus Crucifixi, risalente al 1228 e attribuibile a una maestranza attiva a Pisa nei primi decenni del Duecento.


Tuttavia il sacro tempio si connette e si intreccia, e non soltanto per l'ubicazione, ma per i rituali collettivi e i più alti valori dello spirito cristiano, agli altri edifici presenti in questa area urbana.

Prima di tutto il Battistero ove si conserva il vecchio Fonte battesimale, capolavoro di Andrea Sansovino del 1502; quindi l'Ospedale, un altro importante edificio di fondazione religiosa, chiamato Ospedale di Santa Maria, ma definito anche Maggiore, attualmente acquisito dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Volterra e divenuto Centro Studi Espositivo, in cui si conservano varie collezioni di arte antica e contemporanea che diversi artisti volterrani e italiani hanno deciso di devolvere negli anni all'Ente.


La testa-reliquario in argento di San Vittore, donata nel 1120 da papa Callisto II al vescovo di Volterra

Rogerio, è collocata all'ingresso dell'esposizione come testimonianza diretta della dedicazione della Cattedrale. Insieme ad essa, il visitatore può ammirare il manoscritto conosciuto come "Calendario di Sant'Ugo", redatto nel 1161 e contenente la descrizione di come, all'epoca, si svolgevano le celebrazione liturgiche nella Cattedrale di Volterra e nella Piazza antistante. E' anche il primo documento nel quale si trova ricordato l'Ospedale di Santa Maria, oggi Centro Espositivo della Fondazione e sede della mostra.


Nel percorso della mostra ogni epoca - dal XII al XXI secolo - è rappresentata da un documento o da un manufatto artistico che ha, per così dire, "vissuto" all'interno della Cattedrale. Si trovano così in successione cronologica: la pergamena del 1228 nella quale si fa riferimento alla realizzazione del "Crocifisso" della Cattedrale; una croce astile riccamente incisa; un grande piatto elemosiniere; un lacerto di affresco superstite dell'antica decorazione parietale della Cattedrale; uno dei preziosi antifonari miniati realizzati ai primi del XVI secolo per il Cardinale Francesco Soderini; una coperta per messale in velluto con borchie in argento del vescovo Carlo Filippo Sfondrati (1677-1680); un cratere in ceramica dipinta; una palmatoria porta candela, un calice, una lampada votiva in argento e un meraviglioso "Cristo alla colonna" in alabastro del XIX secolo.


Ognuno di questi arredi sacri è corredato di una didascalia che ne spiega brevemente la storia e l'utilizzo nel contesto delle celebrazioni liturgiche della Cattedrale. L'esposizione si conclude con due pezzi di arte contemporanea, opere prodotte da maestranze volterrane: il "Pastorale dei Santi" realizzato in occasione del Grande Giubileo del 2000 per il vescovo Mansueto Bianchi; le formelle servite da modello per il nuovo altare della Cattedrale, in alabastro, consacrato il 22 settembre 2019 all'inizio delle celebrazioni per il IX centenario della dedicazione della Cattedrale.

Poichè l'attuale Salone del Centro Espositivo era un tempo la chiesa dell'antico Ospedale, nell'intento di far riscoprire e valorizzare questa sua identità, sulla parete di fondo è stata allestita la ricostruzione di un altare così come poteva apparire al fedele che vi entrasse nel XIX secolo, con un ricco apparato per l'esposizione eucaristica. Come tavola pittorica è stata posta una riproduzione della Madonna in trono tra i Santi Giovanni Battista e Bartolomeo", nota come "Pala di Villamagna", opera di Rosso Fiorentino del 1521, della quale si ricordano quest'anno i 500 anni.


M.P.F.