martedì 9 agosto 2016

DAVID BOWIE IS

David Bowie

is


Si è aperta, finalmente, in Italia David Bowie is, una delle mostre di maggior successo degli ultimi anni realizzata dal Victoria and Albert Museum di Londra (V&V), la prima retrospettiva dedicata alla straordinaria carriera di David Bowie, uno degli artisti più audaci, influenti e innovativi nel panorama musicale contemporaneo.
David Bowie is, partita da Londra nel 2013, dopo essere stata a Chicago, San Paolo, Toronto, Parigi, Berlino, Malbourne e Groningen, si è aperta al pubblico fino al 13 novembre 2016 al MAMbo –Museo d’Arte Moderna di Bologna.

La mostra celebra la prolifica carriera di David Bowie che, con 145 milioni di dischi venduti, è riuscito in cinque decadi a perseguire in modo duraturo l’innovazione senza mai tradire se stesso e il suo pubblico.

Il percorso si sviluppa attraverso contenuti “multimediali” che conducono il visitatore all’interno del processo creativo del Duca Bianco e descrive come il suo lavoro abbia caratterizzato i più ampi movimenti nell’ambito dell’arte, del design, del teatro e della cultura contemporanea. Il ritratto che emerge è quello di un artista capace di osservare e reinterpretare la società contemporanea con uno sguardo innovatore lasciando tracce indelebili nella cultura visiva e pop.

I curatori della mostra del V&V Victoria Broackes e Geoffrey Marsh hanno selezionato più di 300 oggetti dell’archivio personale del musicista tra cui: L’outfit di Ziggy Stardust (1972) disegnato da Freddie Burretti, fotografie di Brian Duffy; le creazioni sgargianti di Kansai Yamamoto per il tour di ‘Aladdin Sane’ del 1973, il cappotto con Union Jack disegnato da Bowie assieme a Alexander McQueen per la cover dell’album Earthling (1997), le artistiche cover degli album realizzate da Guy Peellaert e Edward Bell e del penultimo album The Nex Day (2013); estratti di video e performance live come The Man Who Fell to Eart, video musicali i testi originali delle sue canzoni scritti a mano, spartiti musicali che denotano la sua evoluzione creativa e musicale, e alcuni dei suoi strumenti.

I due curatori concludono la prefazione del catalogo della mostra (in Italia edito da Rizzoli) affermando: “Il catalogo musicale di Bowie, insieme al suo archivio, ci fornisce materiale fantastico per un’esposizione, ma solo in parte riesce a spiegare il ruolo iconico e la condizione di crescita continua dell’artista. La restante parte del quadro si trova nei cambiamenti del mondo intorno a noi e in noi stessi, il suo pubblico”.

La mostra è tematicamente suddivisa in tre principali sezioni:
La prima introduce il pubblico ai primi anni di vita e della carriera di David Bowie nella Londra del 1960, risalendo man mano fino al punto di svolta del singolo ‘Space Oddity’ datato 1969. Tra le perle in mostra LP dei suoi eroi musicali come Little Richard, gli schizzi degli allestimenti del palco e i costumi creati per i suoi gruppi giovanili Kon-RADS e The King Beer. Particolare attenzione è posta, appunto, sul primo grande successo di Bowie, ‘Space Oddity’ e sul personaggio di fantasia Major Tom, protagonista del brano, che sarebbe stato visitato da Bowie in ‘Ashes to Ashes’ (1980) e ‘Hallo Spaceboy’ (1995). Il visitatore è accompagnato anche all’interno del processo creativo di David Bowie, la sezione rivela, infatti, le differenti fonti d’ispirazione che hanno dato forma alla sua musica e allo stile delle sue performance: dal surrealismo tedesco alle performance giapponesi del Kabuki.

La seconda si concentra invece sul processo creativo di Bowie nella genesi degli album e nell’elaborata progettazione dei suoi shows incentrati su personaggi e racconti romanzati. Il 1972 è l’anno di svolta con la nascita della sua creazione più famosa: Ziggy Stardust, l’umana manifestazione di un essere alieno che tanta influenza ha avuto nella cultura pop.

In esposizione l’abito multicolore originale indossato per la fenomenale esibizione di ‘Starman’ a Top of the Pops nel 1972, i costumi da The 1980 Floor Show (1973), ritagli di stampa e materiale che evidenziano le trasformazioni stilistiche di Bowie e la sua influenza sulla mobilità sociale e l’emancipazione gay.

La terza sezione, della stessa dimensione delle precedenti, immerge il pubblico nello spettacolare mondo dei grandi concerti live di Bowie. In quest’ultima parte, le presentazioni audio e video di grandi dimensioni sono accoppiate all’esposizione di diversi costumi di scena e materiali originali dell’artista.


Uno spazio audio visivo che sommerge il visitatore e presenta alcuni dei video più ambiziosi di Bowie tra cui ‘DJ’ (1979) e ‘The Pops’  del 1973. La mostra si conclude con una serie di fotografie realizzate da fotografi del calibro di Helmut Newton, Herb Ritts e John Rowlands.


I ritratti si affiancano a un collage di proiezioni che illustrano effetti visivi contemporanei e nella cultura virtuale.



Maria Paola Forlani

lunedì 8 agosto 2016

CAPOLAVORI a VILLA LA QUIETE

Capolavori a

Villa la Quiete

Botticelli e Ridolfo del Ghirlandaio in Mostra

Si è inaugurata a cura di Cristiano Giometti e Donatella Pegazzano, fino al 30 ottobre 2016, la prima mostra del percorso museale di Villa la Quiete, complesso monumentale sulla collina di Castello, di proprietà della Regione Toscana, ma gestito dal Sistema museale dell’Università di Firenze.

L’esposizione, temporanea, prelude all’apertura definitiva del percorso museale, prevista per la primavera del 2017, con il riallestimento delle stanze dell’Elettrice Palatina: qui sarà collocata la porzione più consistente della quadreria presente nella villa.

La Quiete è una villa che sorge a nord-ovest di Firenze, a poca distanza dalla Petraia. Citata come ”podere” nella prima portata al catasto fiorentino (1427), fu acquistata nel 1432 da Niccolò da Tolentino per poi passare a Pierfrancesco di Lorenzo
de’ Medici ed essere assegnata da Cosimo I all’Ordine dei cavalieri di Santo Stefano nel 1561. L’ultimo dei commendatori che si avvicendarono nell’amministrazione della villa fu il cardinale Carlo de’ Medici il quale, nel 1627, vendette lo stabile alla madre, Cristina di Lorena.
La granduchessa si dedicò con passione alla trasformazione della Villa commissionando, tra l’altro, a Giovanni di San Giovanni l’affresco con la  Quiete che pacifica i venti per il soffitto della galleria del primo piano. Nel 1650, Ferdinando II vendette l’intero complesso a Eleonora Ramirez de Montalvo che aveva da poco fondato la comunità laica delle Ancille Minime della Santissima Trinità, per curare l’educazione delle giovani di nobili famiglie fiorentine. Sin dal loro insediamento, le Montalve godettero della protezione delle donne più illustri di casa Medici: dapprima Maria Vittoria della Rovere, moglie di Ferdinando II, che si occupò della costruzione della chiesa della Santissima Trinità, e poi dell’Elettrice Palatina, Anna Maria Luisa de’ Medici, che si fece allestire un appartamento privato affrescato da Benedetto Fortini e un gran giardino all’italiana. Mentre le Montalve de La Quiete rimasero ininterrottamente nella villa sin dal tempo del loro insediamento, le loro consorelle di città nel 1794 passarono al monastero camaldolese di Sant’Agata in via San Gallo a quello domenicano di San Jacopo di Ripoli, lasciandolo definitivamente nel 1886 quando l’edificio di via della Scala fu trasformato in una caserma militare. Con questo trasloco sono giunte a La Quiete le pale d’altare, paramenti e le suppellettili sacre che costituiscono un patrimonio di storia e arte stratificato nei secoli.

Opere esposte:

Sposalizio mistico di Santa Caterina e Santi è una pala dipinta da Ridolfo del Ghirlandaio (1483-1561), destinata all’altare di sinistra della chiesa secolare del monastero delle domenicane di San Jacopo di Ripoli a Firenze.
Al di sopra dell’opera, montata all’interno di una semplice edicola in pietra serena, si trovava la lunetta robbiana raffigurante l’Incredulità di san Tommaso.
Questo e il secondo altare con l’Incoronazione della Vergine e Santi furono commissionati all’artista dalla ricca famiglia fiorentina degli Antinori che finanziò largamente il rinnovamento del monastero nel primo Cinquecento. Si tratta di una composizione dalla quale emerge la notevole influenza che in questi anni Raffaello ebbe su Ridolfo.

I Santi Onofrio, Cosimo, Damiano, Sebastiano, olio su tavola di Ridolfo del Ghirlandaio, dovettero appartenere in origine a due complessi realizzati in tempi diversi all’interno della chiesa di Ripoli. Ѐ probabile che la coppia formata dai Santi Onofrio e Sebastiano (1504-1505) sia stata dipinta da Ridolfo nei primi anni del Cinquecento, mentre i Santi Cosma e Damiano, i tradizionali santi medicei, potrebbero risalire agli anni 1515-1519, coincidenti con il ritorno al potere dei Medici.
Crocifisso (1505-1510), legno dipinto e Santa Maria Maddalena e suora domenicana
1525-1526, olio su tavola.
Questo tipo di opere, dove scultura e pittura si integrano non era insolito nel cinquecento. In questo caso intorno al più antico Crocifisso di Baccio da Montelupo (1469-1537), risalente ai primi anni del Cinquecento, sono state dipinte, intorno al 1525-1526, da Michele Tosini (1503-1577) allievo di Ridolfo del Ghirlandaio, una Santa Maddalena e una monaca domenicana inginocchiate ad adorare il crocefisso.
Sposalizio mistico di Santa Caterina e Santi (1525-1526), olio su tavola.
La pala è frutto della collaborazione tra Ridolfo del Ghirlandaio e il suo allievo Michele Tosini. Ѐ probabile che si trattasse di un’opera realizzata per un altare interno al monastero, anziché per la chiesa secolare.

Scuola di san Marco, San Domenico Sec. XVI, prima metà, olio su tela.
Il dipinto, inedito, è riferibile ad un artista appartenente alla scuola pittorica che si sviluppò nel corso della prima metà del cinquecento nel convento di san Marco a Firenze, luogo al quale furono legate per molti anni le domenicane di San Jacopo di Ripoli, che si avvalsero infatti di artisti legati a quella cultura figurativa.
 Nel rappresentare il santo l’artista si basò su quella che era considerata la sua più antica immagine, ovvero quella dipinta nella seconda metà del Trecento nel Capitolo di San Domenico a Bologna.

Pittore fiammingo, Madonna con Bambino e un donatore sec. XVI, prima metà, olio su tavola.
Il dipinto è una presenza alquanto eccezionale all’interno del complesso delle opere conservate alla Villa La Quiete, dove infatti non si annoverano altre immagini appartenenti alla cultura artistica nordica. Riferito plausibilmente alla cerchia di Gerard David (1460-1523), il quadro potrebbe essere una testimonianza dei rapporti che sappiamo intercorsi tra il monastero e il Nord –Europa, grazie alla presenza, nei locali ad esso annessi, di un importante stamperia, frequentata anche da editori nordici.

Sandro Botticelli e bottega, Incoronazione della Vergine 1500, tempera su tavola.
Come ricorda Giorgio Vasari, l’Incoronazione della Vergine fu realizzata da Sandro Botticelli e dalla sua bottega per la chiesa di San Francesco (poi San Lorenzo, oggi Sant’Andrea a Cennano) di Montecchi. L’affinità compositiva con la Pala di San Marco, risalente al 1492 (Firenze, Uffizi), fa propendere per una datazione intorno al 1500. Dopo diversi passaggi, sappiamo che nel 1810, con le soppressioni napoleoniche, l’Incoronazione fu portata  nella chiesa di San Jacopo di Ripoli a Firenze. Quando il monastero di via della Scala venne acquistato dallo stato e trasformato in caserma militare, le Montalve si trasferirono nel convento della Quiete e trasportarono nella villa anche il dipinto con tutto il loro patrimonio artistico.


Maria Paola Forlani


domenica 7 agosto 2016

TEMPI DELLA STORIA; TEMPI DELL' ARTE

Tempi della Storia, Tempi dell’Arte

Cesare Battisti tra Vienna e Roma

Cesare Battisti chi era costui? Nonostante gran parte degli italiani abbiano sentito pronunciare almeno una volta il nome di Cesare Battisti, pochi ne conoscono la vita, la storia umana, le battaglie politiche, la passione per la storia, la geografia, la scrittura. La maggior parte delle persone associa Cesare Battisti alla sua tragica fine nella cosiddetta Fossa dei Martiri del Castello del Buonconsiglio, il 12 luglio 1916.


Emblematica la frase con la quale lo storico Mario Isnenghi definisce Battisti come “una delle personalità più citate ma meno conosciute del Novecento”.
Nell’ambito delle iniziative sulla Prima Guerra Mondiale e in occasione del centenario della sua morte, Il Museo del Castello del buon Consiglio, Monumenti e collezioni provinciali di Trento ha aperto una mostra dal titolo Tempi della storia, tempi dell’arte Cesare Battisti Vienna e Roma, a cura da Laura Dal Prà.

La mostra intende, attraverso una selezione di preziose opere d’arte dell’epoca e di rare testimonianze storiche, illustrare al grande pubblico una personalità di grande spessore umano e culturale che ha avuto un ruolo importante nella storia recente non solo del Trentino  ma anche dell’Italia e merita di essere conosciuto nella sua complessità e modernità.

La sua vicenda umana, dipanata tra forti ideali e appassionata azione, diviene chiave di lettura della singolarissima temperie sociale e culturale del trentino allo spartiacque tra Ottocento e Novecento, laddove convivevano nello stesso territorio fermenti ispirati alla civiltà di segno italico e fermenti stimolanti dalle esperienze transalpine, conducendo a un’esperienza collettiva feconda ma travagliata, che di lì a poco sarebbe stata destinata a subire i colpi del netto cambiamento determinato dalla fine della Grande Guerra e dall’annessione al Regno d’Italia.
Il 12 luglio 1916 segnò l’epilogo di una vita condotta senza risparmio, fino all’arruolamento nel corpo degli Alpini e alla cattura sul Monte Corno. In quel giorno, imprigionato in una delle celle ricavate nella Loggia del giardino del Castello del Buonconsiglio, per essere processato e condannato alla forca dal tribunale militare austriaco, le cui sedute si svolgevano nell’antica Stua de la famea, salì infatti sul capestro eretto nel cortile retrostante l’edificio. Da quel momento la sua tragica fine, assieme a quella di Fabio Filzi e di Damiano Chiesa, attribuì all’antica dimora dei principi vescovi trentini il ruolo di vero e proprio “luogo deputato” della memoria battistiana, forse anche più del suo mausoleo sul Doss Trento.
Al contempo non mancò di essere spunto formidabile per la propaganda bellica, per poi proseguire e consolidarsi quale mito collante per l’idea nazionale di un’Italia uscita scossa e malconcia dalla Grande Guerra. Grazie alla grande disponibilità di istituzioni museali italiane e straniere che ne hanno concesso il prestito, la rassegna presenta l’esposizione di dipinti, sculture, libri, documenti, fotografie, cartografie, cimeli storici, attraverso i quali si snoda l’itinerario nelle sale.

L’approccio storico-artistico al tema, condotti in parallelo e in stretta interconnessione, presentano una nuova luce su molti aspetti e nessi finora poco esplorati e di scoprire episodi ancora sconosciuti.
La prima sezione traccia un quadro della vivace situazione culturale del Trentino nel contesto austo-ungarico prima del 1914, con dipinti di Giovanni Segantini, Eugenio Prati, Bartolomeo Bezzi, Alcide Davide Campestrini, Umberto Moggioli, ma anche Franz von Defregger, Albin Egger-Lienz. I personaggi di Guglielmo Ciardi e le fotografie d’illustrazione di un trentino ancora prevalentemente rurale accanto ai dipinti di argomento sociale di Felice Carena introducono nella seconda sezione il crescente impegno di Battisti, ormai rientrato a Trento dopo la laurea a Firenze, nelle questioni sociali, politiche e culturali della sua terra, dalla militanza socialista all’elezione a deputato a Vienna, che egli conduce assieme all’esperienza di giovane geografo sul campo con le sue innovative ricerche sui laghi del Trentino.
Al periodo immediatamente precedente all’entrata in guerra dell’Italia, durante il quale la gente trentina venne invece coinvolta subito nell’impegno bellico austro-ungarico, è dedicata la terza sezione, che vede Battisti impegnato nella campagna interventista nelle città italiane, la chiamata alle armi, i profughi di Katzenau, e, in parallelo, le opere di Depero, di Balla, di Bonazza, ma anche di Kriegsmaler, come Alfons Walde, Albin Egger-Lienz, Hans Josef Weber-Tyrol, Hans Bertle, quest’ultimo primo testimone della cattura di Battisti sul Monte Corno. Altre testimonianze storiche e figurative – quelle di Beltrame, Pogliarghi, Sartorio, Sottssass, D’Andrea, Guala, Viani, Martelli, Morando -


raccontano gli anni cruciali della guerra, le immani fatiche condotte sulle cime alpine e la macchina militare austro-ungarica, acquartierata nelle sale cinquecentesche del Castello del Buon Consiglio.

Alla creazione del mito del Battisti è infine dedicata l’ultima parte, con fondamentali opere che ne costruiscono l’iconografia, come dipinti di Carrà e di Barbieri, eseguiti nel 1934 per l’importante ma ancora poco noto “Concorso della Regione”, le sculture di Minerbi, di Wildt, i bozzetti per il Monumento alla Vittoria di Bolzano e il Monumento de Cesare Battisti a Trento, affiancati a progetti decorativi per il castello del Buon Consiglio finora poco se non del tutto sconosciuti, che videro all’opera personalità di grande spicco dell’arte tra le due guerre.


Maria Paola Forlani