Dopo un imponente lavoro di restauro
affidato alla Fondazione Gaiani – ente di gestione, tutela e valorizzazione del
patrimonio artistico del Duomo di Monza - alla società Anna Lucchini restauri
srl, il pubblico può finalmente ammirare nella sua completa bellezza, la più
vasta impresa decorativa dell’intero Gotico internazionale: la Cappella di Teodolinda,
nel Duomo di Monza.
Una tipologia della
produzione pittorica quattrocentesca definibile <<lineare>> può
comprendere parecchie famiglie morfologiche: in linea di massima, tutte le
conformazioni in cui prevale la presenza della linea su quelle del piano e del
volume.
Cronologicamente un primo
tipo di pittura lineare va ricercato nella produzione del <<Gotico
internazionale>> o della <<civiltà cortese>>, che si sviluppò
fra la fine del XIV e gli inizi del XV. Tale produzione, i cui centri furono le
varie corti europee e nord-italiane, caratterizzata prevalentemente in senso
laico e mondano e da una tematica basata sulle leggende cavalleresche
medievali, comprende l’opera di numerosi artisti: dall’attività avignonese di
Simone Martini a quella del gruppo di Milano (Giovanni de’ Grassi, Michelino da
Besozzo, gli Zavattari, i Bembo), i cui lavori furono definiti in Francia Ouvrage de Lombardie, dalle scuole
locali (Stefano da Verona) agli artisti operanti presso vari centri italiani
(Gentile da Fabriano), Iacobello del Fiore, Pisanello).
Quanto alla pittura vera e
propria – tranne qualche eccezione, viene accantonato l’uso del fondo oro
uniforme (o lo si amalgama nella composizione pittorica), per indicare con
analitica grazia tanto le linee delle immagini in primo piano, quanto quelle
che configurano gli sfondi. Negli affreschi degli Zavattari per il Duomo di
Monza, rappresentanti le Storie della
regina Teodolinda, le lineari sagome delle figure e delle architetture si
stagliano sì contro un fondo oro, ma questo è trattato come un filigranato
arazzo.
La sua decorazione pittorica,
risalente alla metà del XV secolo e dedicata alle Storie di Teodolinda, distribuite in 45 scene, si presenta come un
sentito omaggio alla sovrana longobarda che aveva fondato la chiesa e nello
stesso tempo come una testimonianza del delicato passaggio dinastico che si
stava allora profilando nel ducato di Milano tra la famiglia dei Visconti e
quella degli Sforza, cui rimandano i simboli araldici dipinti nelle
incorniciature e le allusioni metaforiche al matrimonio tra Bianca Maria
Visconti e Francesco Sforza presenti nelle immagini.
Il ciclo di affreschi della
cappella è considerato uno dei capolavori della pittura del gotico
internazionale in Italia, nonché il più importante esito dell’attività degli
Zavattari: una famiglia di pittori milanesi attivi in Lombardia per tutto il
Quattrocento, che ci viene presentata dai documenti come una vera e propria
dinastia di artisti, composta dal capostipite Cristoforo, responsabile tra il
1404 e il 1409 di alcuni lavori del Duomo a Milano, da suo figlio Franceschino,
anch’egli operoso nel Duomo di Milano dal 1417 al 1453, e dai tre figli di
quest’ultimo, Giovanni, Gregorio e Ambrogio, con i quali Franceschino lavorò
probabilmente a Monza e, solo con gli ultimi due, alla Certosa di Pavia. La
serie è conclusa da Franceschino II, figlio di Giovanni e fratello di Vincenzo,
Gian Giacomo e Guidone.
La cappella fu dipinta in due
riprese tra il 1441-44 e, con ogni probabilità, da quattro diverse “mani”, che
alcuni studiosi propongono di identificare con altrettanti membri della
famiglia Zavattari. Sulla base di un’attenta analisi stilistica, essi ritengono
infatti che la concezione generale del progetto del ciclo vadano riferite a
Franceschino Zavattari, cui si devono anche l’esecuzione delle prime 12 scene;
il cosiddetto “secondo maestro di Monza”, forse identificato con Giovanni,
avrebbe invece condotto quelle dalla 13 alla 41, mentre il “quarto maestro di
Monza”, forse Ambrogio, sarebbe l’autore delle quattro finali.
Le 45 scene narrano la storia
della Regina Teodolinda a partire dai resoconti storici di Paolo Diacono (VIII
sec.), autore del Chronicon Modoetiense. Sviluppata
su una superficie di circa 500 mq ed organizzata da sinistra verso destra, e
dall’alto in basso, ed è così suddivisa: le scene dalla 1 alla 23 descrivono i
preliminari e le nozze tra Teodolinda, principessa di Baviera, e Autari, re dei
Longobardi, concludendosi con la morte del re; dalla scena 24 alla 30 sono
raffigurati i preliminari e le nozze tra la Regina e il secondo marito Agilulfo; dalla 31
alla 41 sono raffigurate la fondazione e le vicende iniziali della Basilica di
Monza, seguite dalla morte di re Agilulfo e della Regina; dalla scena 41 alla
45 è infine illustrato lo sfortunato tentativo di riconquistare l’Italia da
parte dell’imperatore d’Oriente Costante e del suo mesto rientro a Bisanzio.
Nello svolgersi delle scene, il ritmo del racconto si fa più lento o più
serrato a seconda dell’importanza dei momenti narrati.
Molte sono le scene che
riguardano la vita di corte – balli, feste, banchetti, battute di caccia – ma
anche i viaggi e le battaglie, e numerosi particolari sulla moda e i costumi
dell’epoca presentati dai protagonisti: abiti, acconciature, armi e armature,
suppellettili, atteggiamenti e attitudini. Tutto ciò fornisce uno dei più
ricchi e straordinari spaccati della condizione e della vita di corte della
Milano del XV secolo, l’ambiente forse più europeo nell’Italia dell’epoca.
Il complesso procedimento utilizzato dagli autori – nel quale convivono materiali e tecniche diverse come l’affresco, la tempera a secco, la pastiglia a rilievo, le dorature e le argentature in foglia – mostra la straordinaria versatilità operativa della bottega e risponde perfettamente al clima sfarzoso che dominava nelle corti e presso l’aristocrazia dell’epoca. Nell’altare della Cappella, realizzato nel 1895 –
Maria Paola Forlani
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