Carlo Corsi
Luce e colore
1879 – 1966
Fasci di
luce irrompono fra le frasche e i tronchi del giardino in cui signore immerse
nella quiete vengono avvolte da variopinti riflessi. Carlo Corsi descrive su la
tela le atmosfere della natura come in una sinfonia, come musica, quella musica
che aveva accompagnato tutta la sua infanzia imbevuta dalla magistrale sapienza
musicale della sua famiglia.
L’artista,
amante del colore, delle belle donne e della natura, è ora protagonista di una
mostra: “Luce e colore”, allestita dall’Associazione Bologna per le Arti in
occasione dei 50 anni dalla sua morte nella sala d’Ercole di Palazzo d’Accursio
fino al 9 febbraio 2017, a cura di Stella Ingino (catalogo grafiche
dell’Artiere).
Carlo Corsi,
nacque a Nizza l’8 gennaio 1879 da Achille, che era tenore. Fu fratello del
soprano Emilia. Stabilitosi a Bologna, manifestò sin dall’infanzia uno spiccato
interesse per la pittura. Compiuti gli studi classici, si iscrisse, dietro
pressioni familiari, alla facoltà di ingegneria. Frequentò in questo periodo la
Pinacoteca civica dove, attratto dalla pittura emiliana del Seicento, si
cimentò in un paziente lavoro di copista. Incoraggiato dal pittore bolognese A.
Scorzoni, suo primo maestro, abbandonò ben presto l’università per dedicarsi
esclusivamente alla pittura e nel 1901 fu tra gli espositori della Società Francesco
Francia.
Nel 1902 si
trasferì a Torino dove seguì i corsi all’Accademia Albertina; frequentò lo
studio del pittore Giacomo Grosso, dal quale ricevette una rigorosa formazione
accademica. Nel 1906, dopo il diploma, tornò a Bologna, in seguito alla morte
del padre. Durante un viaggio in Europa nel 1907 visitò i musei olandesi e il
Louvre, attratto dai grandi maestri del passato, da Vermer a Franz Hals. La
conoscenza delle contemporanee vicende della pittura francese avverrà in
seguito, dopo il ritorno in Italia, attraverso le riproduzioni in bianco e nero
di alcune delle opere degli impressionisti e di Cézanne.
Sin dalla
prima produzione l’artista si ispira a soggetti di vita quotidiana e borghese:
la donna è la protagonista delle sue opere, ritratta ora all’interno di una
stanza su un divano o dietro una tenda, ora all’aperto in un giardino o sulla
spiaggia. Trattate con un linguaggio alieno da ogni riferimento naturalistico,
tutto basato sul colore e sugli effetti di luce, le immagini femminili affiorano
dalla superficie pittorica ora appena accennate con larghe stesure di colore,
ora sinteticamente descritte con rapidi segni, densi di materia. Di volta in
volta l’artista propone nuove soluzioni e invenzioni coloristiche, aspetti
diversi di una ricerca unitaria che, partendo dal dato naturale, lo trasfigura
liricamente in immagine pittorica, sino a giungere a formulazioni astratte.
Nel 1912 fu
invitato per la prima volta alla Biennale di Venezia. La sua pittura era ormai
giunta ad un’elaborazione completa. Frequentò in questo periodo a Bologna il
pittore A. Protti e altri artisti della generazione degli anni ’80
(G.Romagnoli, G.Fioresi, G.Pizzirani) con cui, partecipò al clima di
rinnovamento culturale della Bologna postcarducciana.
Chiusi in un
ambiente provinciale in cui gli unici punti di riferimento erano gli
insegnamenti coerenti di alcuni maestri dell’Accademia e le antiquate mostre
della Società Francesco Francia, i giovani pittori bolognesi ricercavano un
orientamento preciso scontrandosi con gli esempi inattuali della cultura
accademica e gli svolgimenti stanchi e di maniera dell’arte floreale e del
simbolismo.
L’informazione della cultura europea giungeva attraverso la
Biennale di Venezia e orientava il gusto dei giovani verso le pitture di Bernard,
di Mesdag, di Whistler e di Maris, di Serov e di Ensor, mentre nella birreria
Rovani, luogo di riunione del mondo culturale bolognese, circolavano alcuni
numeri della rivista Jugend. Le
esigenze di rinnovamento artistico si indirizzarono intuitivamente nel senso di
un’adesione ad una pittura “naturale”, che si richiamava alla tradizione
coloristica dei veneti e degli spagnoli fino all’impressionismo e al
postimpressionismo.
Carlo Corsi
e gli altri artisti del gruppo parteciparono alle mostre della Seccessione
romana dal 1913 al 1916, condividendone il clima di reazione alla cultura
ufficiale. Pur non costituendo un vero e proprio gruppo artistico con una
fisionomia ben precisa, tuttavia nell’edizione del 1914 i pittori bolognesi
esposero insieme in una sala a loro dedicata; Carlo Corsi presentò Tango, opera in cui è chiaro l’ambito
secessionista in cui muoveva la sua ricerca, lontana da quelle pericolose
inclinazioni intimiste che caratterizzavano la produzione degli altri artisti
bolognesi.
Alcuni
critici tra cui G. Raimondi (1955), hanno individuato la matrice delle opere di
Carlo Corsi di questo periodo nella poetica degli interni dei nabis, di Bonard e Vuillard. In realtà
più che di una scelta culturale cosciente si tratta per Corsi di un’adesione
istintiva, come lui stesso sostiene “…con riferimento ai miei primi lavori la
critica citò i pittori francesi, i post-impressionisti. Non furono i soli, in
verità, su cui feci le mie esperienze; ma del resto era direi fatale che, in
uno spirito di intelligenza mediterranea, pur senza imitarli, fossi portato
naturalmente a muovermi su un terreno pittorico dove si muovevano anch’essi”.
Non si tratta dunque di precisi riferimenti alle premesse nabis e vuillardiane in particolare, quanto di un’istintiva sensibilità culturale che conferisce alla ricerca di Carlo Corsi un’impronta di modernità e un respiro europeo situandola al di fuori del ristretto ambiente provinciale bolognese. Per quanto riguarda i rapporti con la cultura europea, inoltre, è da sottolineare il ruolo informativo svolto dalle mostre della Secessione romana durante le quali, nelle edizioni del 1913 e’14, furono presentate opere di Klimt, Matisse, Bonard, Valloton, e Vuillard.
Corsi
partecipò in questi anni alla Biennale di Venezia (1914) e alla Mostra d’arte a
San Francisco (1915). Al 1914 si data una nuova maniera nella ricerca
dell’artista: le immagini femminili, le scene d’interno o di villeggiatura sono
rese sfruttando al massimo le potenzialità espressive del colore con pennellate
rapide, secondo modi di più diretta influenza matissiana: lo schema compositivo
e la perfetta equivalenza pittorica tra la figura femminile ritratta e
l’ambiente che la circonda preludono alle soluzioni più decisamente astratte
dell’ultimo periodo (La Lettura del
1919).
Negli anni 1920-30 la ricerca di Carlo Corsi rimane immune dalle suggestioni volumetriche e monumentali della cultura di “valori plastici” e del Novecento. Così come aveva negato la sua partecipazione al futurismo, Corsi restò isolato, ma non assente, dalle vicende dell’arte italiana del ritorno all’ordine e del futurismo.
All’inizio
degli anni’30 si trasferì nello studio alla torre dei Malvasia dove dipinse la
serie delle Torri di Bologna e iniziò
i primi studi per le grandi composizioni realizzate successivamente nel corso
degli anni’50.
La produzione di Carlo Corsi continua in questo periodo su due
diversi piani, corrispondenti l’uno ad una visione interiore con immagini
femminili che affiorano dalla materia pittorica con una notevole carica sensuale,
l’altro ad una resa più immediata ed espressiva, in cui l’uso del colore, di
origine fauve, si stempera in effetti
di controluce densamente tonali.
Nel 1941
l’assegnazione del premio Bergamo (destinato ad un pittore giovane e
paradossalmente assegnato ad un artista ormai sessantaduenne ma di fatto
pressochè sconosciuto) coincide con una graduale riscoperta dell’opera di Carlo
Corsi. Frequentò in quel periodo Guidi, Mario e Saverio Pozzati, ed alcuni
artisti della giovane generazione bolognese. Nel 1945 Corsi fu tra i fondatori
della galleria “Cronache”, che promosse un’azione di rinnovamento dell’ambiente
artistico bolognese, intervenendo con impegno ai dibattiti dei circoli Labiola
e Las.
In relazione
con questa sua vitalità intellettuale si pone intorno al 1947 una nuova fase di
ricerca: ormai completamente sganciato da ogni riferimento naturalistico, Carlo
Corsi realizza con particolare felicità inventiva una serie di collage astratti, utilizzando carte
colorate, cartoni ondulati, nastri, manifesti strappati.
La
sperimentazione del colore come elemento autonomo darà luogo nelle successive
prove pittoriche degli anni 1950-60 ad un uso oramai totalmente libero della
materia cromatica.
Nel 1958
ottenne importanti riconoscimenti ufficiali con la mostra alla Biennale di
Venezia, presentato da Francesco Arcangeli, e la pubblicazione della monografia
di M.Valsecchi. Nel 1964 fu allestita un’antologica nel Museo civico di Bologna
sempre curata da Francesco Arcangeli.
Carlo Corsi
morì a Bologna il 27 agosto del 1966.
Maria Paola Forlani
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