La ricostruzione di un capolavoro
Un evento straordinario
e di respiro mondiale per la prima volta riunisce a Bologna nella sede di
Palazzo Fava, dopo 300 anni, le 16 tavole originali del Polittico Griffoni grazie
a straordinari prestiti di tutti i musei proprietari: National Gallery di
Londra, Pinacoteca di Brera di Milano, Louvre di Parigi, National Gallery of
Art di Washington, Collezione Cagnola di Gazzada (Va), Musei Vaticani,
Pinacoteca Nazionale di Ferrara, Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam,
Collezione Vittorio Cini di Venezia.
Al piano Nobile
di Palazzo Fava (in attesa di apertura) sono esposte le 16 opere del Polittico
Griffoni: la pala d’altare dedicata a San Vincenzo Ferrer la quale fu
commissionata intorno al 1470-1472 da Floriano Griffoni al Ferrarese Francesco Cossa, già attivo in quegli anni nel capoluogo
emiliano, per la sua cappella nella Basilica di San Petronio a Bologna.
Il Polittico segnò l’inizio della sua collaborazione con il più giovane Ercole de’Roberti, uno dei più formidabili sodalizi artistici del secondo Quattrocento italiano. Assieme ai due artisti lavorò l’intagliatore Agostino de Marchi da Crema che realizzò la cornice, oggi purtroppo andata perduta. L’opera venne smembrata nel 1725 dal nuovo proprietario della cappella, Monsignore Pompeo Aldovrandi, e le parti figurative entrarono nel giro del mercato antiquario e del collezionismo, prima di giungere nei 9 musei internazionali che oggi sono proprietari.
Dopo la prima
ipotesi ricostruttiva dello storico dell’arte Gustavo Frizzoni (1888), Roberto
Longhi nel 1934 immaginò e scrisse nelle pagine della sua Officina Ferrarese che l’opera doveva avere un impianto più
monumentale, vicino per struttura ai grandi polittici quattrocenteschi. Negli
anni ’80, il ritrovamento di uno schizzo del Polittico allegato ad una
corrispondenza di Pompeo Aldrovandi, fornì la prova documentaria della quasi
totale esattezza dell’ipotesi di Longhi.
La mostra curata
da Mauro Natale e Cecilia Cavalca è un evento dal valore davvero eccezionale.
Attualmente In ottemperanza alle disposizioni nel DPCM dell’8 marzo 2020,
inerenti alle misure urgenti per il contenimento del virus COVID-19, l’apertura
della mostra verrà rimandata fino a nuove disposizioni governative.
La definizione di
forma e proporzioni generali del polittico è invero ancora oggetto di studio da
parte degli specialisti, sebbene recenti ipotesi ricostruttive – comunque non
esenti con qualche difficoltà – abbiano fornito un ulteriore contributo alla
risoluzione del problema. Un dibattito, questo tutt’altro che fine a se stesso,
giacchè una migliore definizione del dialogo (o del contrasto) architettonico
ed estetico tra la forte modernità pittorica delle tavole – aggiornata sui
maggiori capolavori di Firenze e della scuola padovana, ma anche sulla luce e
spazialità di Piero della Francesca – e l’attardato goticismo di una tipologia,
quella del polittico cuspidato, evidentemente imposta dalla committenza, mentre
ogni dettaglio delle tavole parla invece un linguaggio moderno, antidecorativo,
monumentale e prospettico.
I tre santi
maggiori avvolti in pesanti manti accartocciati, si fregiano della solidità
delle sculture e riempiono, come statue nelle nicchie, lo spazio loro concesso
lasciando poco alla vista dei rocciosi paesaggi immaginari alle loro spalle;
mentre nel registro superiore la prospettiva, fondamentale presupposto della
nuova spazialità rinascimentale, non si arrende all’appiattimento del fondo
dorato.
Più <<secca
e tagliante>>, secondo la definizione del Vasari, la predella, ch’egli
giudicava <<molto meglio opera che la tavola>> ed effettivamente da
sempre annoverata tra i capolavori di un ancor giovane Ercole de’ Roberti, cui
buona parte della critica più recente attribuisce anche i due clipei con l’Annunciazione.
Il racconto dei Miracoli di san Vincenzo Ferrer si svolge con oculato variare di ritmi pausati
e accelerazioni narrative: a osservarla, così composta nel suo sviluppo
orizzontale, pare quasi uno spartito musicale, ripartito in battute
corrispondenti al variare dei sette apparati architettonici.
Si attende dunque
l’apertura della mostra dove le vicende del polittico e della basilica che lo
ospitò si intrecciano a delineare un capitolo fondamentale del Quattrocento
bolognese, per riscoprire il “côté”
figurativo e culturale di una città pia e umanistica che fu attrice niente
affatto marginale sul proscenio del Rinascimento italiano; per ammirare, come
mai prima era accaduto, quanto resta di un capolavoro già perduto e per lungo
tempo dimenticato ed ora ritrovato.
M.P.F.