giovedì 30 aprile 2020

Il Politticoco Griffoni


La ricostruzione di un capolavoro

Un evento straordinario e di respiro mondiale per la prima volta riunisce a Bologna nella sede di Palazzo Fava, dopo 300 anni, le 16 tavole originali del Polittico Griffoni grazie a straordinari prestiti di tutti i musei proprietari: National Gallery di Londra, Pinacoteca di Brera di Milano, Louvre di Parigi, National Gallery of Art di Washington, Collezione Cagnola di Gazzada (Va), Musei Vaticani, Pinacoteca Nazionale di Ferrara, Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam, Collezione Vittorio Cini di Venezia.

Al piano Nobile di Palazzo Fava (in attesa di apertura) sono esposte le 16 opere del Polittico Griffoni: la pala d’altare dedicata a San Vincenzo Ferrer la quale fu commissionata intorno al 1470-1472 da Floriano Griffoni al Ferrarese Francesco Cossa, già attivo in quegli anni nel capoluogo emiliano, per la sua cappella nella Basilica di San Petronio a Bologna.

Il Polittico segnò l’inizio della sua collaborazione con il più giovane Ercole de’Roberti, uno dei più formidabili sodalizi artistici del secondo Quattrocento italiano. Assieme ai due artisti lavorò l’intagliatore Agostino de Marchi da Crema che realizzò la cornice, oggi purtroppo andata perduta.
L’opera venne smembrata nel 1725 dal nuovo proprietario della cappella,
Monsignore Pompeo Aldovrandi, e le parti figurative entrarono nel giro del mercato antiquario e del collezionismo, prima di giungere nei 9 musei internazionali che oggi sono proprietari.


Dopo la prima ipotesi ricostruttiva dello storico dell’arte Gustavo Frizzoni (1888), Roberto Longhi nel 1934 immaginò e scrisse nelle pagine della sua Officina Ferrarese che l’opera doveva avere un impianto più monumentale, vicino per struttura ai grandi polittici quattrocenteschi. Negli anni ’80, il ritrovamento di uno schizzo del Polittico allegato ad una corrispondenza di Pompeo Aldrovandi, fornì la prova documentaria della quasi totale esattezza dell’ipotesi di Longhi.

La mostra curata da Mauro Natale e Cecilia Cavalca è un evento dal valore davvero eccezionale. Attualmente In ottemperanza alle disposizioni nel DPCM dell’8 marzo 2020, inerenti alle misure urgenti per il contenimento del virus COVID-19, l’apertura della mostra verrà rimandata fino a nuove disposizioni governative.

La definizione di forma e proporzioni generali del polittico è invero ancora oggetto di studio da parte degli specialisti, sebbene recenti ipotesi ricostruttive – comunque non esenti con qualche difficoltà – abbiano fornito un ulteriore contributo alla risoluzione del problema. Un dibattito, questo tutt’altro che fine a se stesso, giacchè una migliore definizione del dialogo (o del contrasto) architettonico ed estetico tra la forte modernità pittorica delle tavole – aggiornata sui maggiori capolavori di Firenze e della scuola padovana, ma anche sulla luce e spazialità di Piero della Francesca – e l’attardato goticismo di una tipologia, quella del polittico cuspidato, evidentemente imposta dalla committenza, mentre ogni dettaglio delle tavole parla invece un linguaggio moderno, antidecorativo, monumentale e prospettico.

I tre santi maggiori avvolti in pesanti manti accartocciati, si fregiano della solidità delle sculture e riempiono, come statue nelle nicchie, lo spazio loro concesso lasciando poco alla vista dei rocciosi paesaggi immaginari alle loro spalle; mentre nel registro superiore la prospettiva, fondamentale presupposto della nuova spazialità rinascimentale, non si arrende all’appiattimento del fondo dorato.

Più <<secca e tagliante>>, secondo la definizione del Vasari, la predella, ch’egli giudicava <<molto meglio opera che la tavola>> ed effettivamente da sempre annoverata tra i capolavori di un ancor giovane Ercole de’ Roberti, cui buona parte della critica più recente attribuisce anche i due clipei con l’Annunciazione.


Il racconto dei Miracoli di san Vincenzo Ferrer si svolge con oculato variare di ritmi pausati e accelerazioni narrative: a osservarla, così composta nel suo sviluppo orizzontale, pare quasi uno spartito musicale, ripartito in battute corrispondenti al variare dei sette apparati architettonici.

Si attende dunque l’apertura della mostra dove le vicende del polittico e della basilica che lo ospitò si intrecciano a delineare un capitolo fondamentale del Quattrocento bolognese, per riscoprire il “côté” figurativo e culturale di una città pia e umanistica che fu attrice niente affatto marginale sul proscenio del Rinascimento italiano; per ammirare, come mai prima era accaduto, quanto resta di un capolavoro già perduto e per lungo tempo dimenticato ed ora ritrovato.

M.P.F.

domenica 26 aprile 2020

Taddeo di Bartolo


Taddeo di Bartolo

Per la prima volta viene presentata a Perugia nelle sale della Galleria Nazionale dell’Umbria una ampia mostra monografica dedicata a Taddeo di Bartolo (1362 ca. – 1422) (aperta fino al 7 giugno 2020), una delle più significative presenze artistiche dell’epoca, in patria e non solo.
Il Museo umbro presenta l’itinerario espositivo, esclusivamente in digitale sui social, comprese le visite guidate virtuali.

Taddeo di Bartolo fu vero e proprio maestro itinerante, infatti, egli trascorse buona parte della carriera spostandosi tra Toscana, Liguria, Umbria e Lazio al servizio di famiglie politicamente ed economicamente potenti, autorità pubbliche, grandi ordini religiosi e confraternite.

La mostra curata da Gail E. Solberg, la più accreditata studiosa del pittore, presenta 100 tavole del pittore senese, in grado di ricostruire l’intera sua parabola artistica, dalla fine degli anni ottanta del Trecento fino al 1420-22, con prestiti provenienti da prestigiosi musei internazionali, quali il Louvre di Parigi e il Szépmüvészeti Müzeum di Budapest, e con la decisiva collaborazione di enti e istituti italiani.

Taddeo di Bartolo è stato il più grande maestro del polittico del suo tempo. La rassegna presenta con particolare enfasi questa forma d’arte sacra, grazie alla presenza di pale complete e di tavole disassemblate che, riaffiancate, consentono di ricomporre per la prima volta i complessi di appartenenza.

Per l’occasione la mostra vive in un ambiente che riesce a ricreare un’atmosfera composta e profondamente religiosa e, cioè, l’interno di una chiesa francescana ad aula, nelle cui navata viene ricostruito l’imponente apparato figurativo della ormai smembrata pala di San Francesco al Prato di Perugia, di cui la Galleria Nazionale dell’Umbria conserva ben 13 elementi.
A questi si sono aggiunti le parti mancanti, finora individuate, come le sette tavole della predella raffiguranti Storie di San Francesco, conservate tra il Landesmuseum di Hannover (Germania) e il Kasteel Huis Berg a s’- Heerenberg (Paesi Bassi), e il piccolo San Sebastiano del Museo di Capodimonte a Napoli, che probabilmente decorava uno dei piloni della carpenteria.

Si tratta quindi di una panoramica completa dell’arte di Taddeo, dalla prima opera datata – alla quale apparteneva l’Annunciazione del Kode Museum di Bergen (Norvegia) (1389) – fino alla Madonna Avvocata del Museo di Arte Sacra di Orte (VT), del 1420, passando attraverso prove capitali della sua carriera quali il politico di Montepulciano di cui sono esposte le tre cuspidi, e l’imponente polittico della Pinacoteca di Volterra (PI).

L’importante attività di Taddeo di Bartolo è accompagnata da un video e da un catalogo scientifico bilingue (italiano e inglese) edito da Silvana Editoriale contenente saggi di Gail E. Solberg e da altri studiosi internazionali.

M.P.F.

venerdì 24 aprile 2020

Christo et Jeanne-Cloude. Paris!


La nuova opera di Christo a Parigi
L’Arco di trionfo

Christo (al secolo Christo Vladimirov Yavacher, nato a Gabovo, Bulgaria, nel 1935) è uno degli artisti più conosciuti anche dal grande pubblico che non è addentro alle cose d’arte contemporanee, per le sue spettacolari installazioni realizzate in collaborazione con la moglie Jeanne-Claude (Casablanca, 1935 – New York, 2009) in tutto il mondo, in contesti naturali e nei centri urbani. Incredibile è stato in Italia il successo di The floating piers (2016, passerella flottante lunga 4,5 chilometri sul lago d’Iseo, su cui sono passati 1,3 milioni di visitatori.

Tra i suoi più famosi interventi di Land art sono da ricordare l’impacchettamento di una scogliera in Australia (1969), la Valley curtain (1970) in Colorado, la chilometrica Running fence (1972-76) in California e la Surrounded islands (1980-83) nella Biscayne Bay in Florida. Altrettanto celebri sono i suoi giganteschi “impacchettamenti” di edifici come il Reichstag (1995), quando aveva ricoperto il palazzo del Parlamento tedesco a Berlino.
Il primo grande progetto di Christo realizzato in una città è stato l’impacchettamento con tela sintetica e corde del Pont Neuf che collega l’Ile de la Citè alle due rive della Senna, nel 1985. E proprio a Parigi, trentacinque anni dopo quell’evento che fece grande scalpore, Christo (senza più la moglie mancata oltre dieci anni fa) ritorna per un’altra colossale impresa: l’imballaggio dell’
Arco di trionfo che, al centro della Place de l’Étoile, domina tutti gli Champs-Élysées.

È per lui la concretizzazione, a sessant’anni di distanza, di un progetto che risale addirittura al 1962, un intervento ideato all’epoca con utopistico entusiasmo avanguardista, insieme a quello ancora più provocatorio de l’Empaquetage de l’École Militare agli Champs de Mars. Per nascondere completamente alla vista questo aulico monumento, verranno utilizzati 25mila metri quadrati di tessuto riciclato in polipropilene blu argento e sette chilometri di corda rossa. I colori dei materiali fanno rispettosamente riferimento a quelli della bandiera francese
. L’artista aveva installato nel 1968 una struttura ancora più ingombrante, fatta di 112 barili di petrolio vuoti e arrugginiti, sulla spianata del Palais de Tokyo, sede del Musée dart moderne de la ville de Paris L’opera (come tutte le precedenti dell’artista) sarà completamente autofinanziata da Christo con la vendita di studi preparatori, disegni, collage del progetto e tirature di grafica. Questa mastodontica installazione temporanea durerà sedici giorni, dal 19 settembre al 4 ottobre 2020.

Come importante preludio, prima della messa in scena dell’Arc de Trionphe empaqueté, si è inaugurata il 18 marzo al Centre Pompidou, (aperta fino al 15 giugno 2020) un’ampia retrospettiva dal titolo Christo et Jeanne-Claude. Paris! Incentrata in modo specifico sul periodo di attività dell’artista bulgaro a Parigi dal 1958 al 1964. Un periodo fondamentale per lo sviluppo della sua ricerca, che segna l’inizio della sua affermazione, anche in particolare come esponente del gruppo neodadaista.

La prima parte dell’esposizione al Centre Pompidou è dedicata alla fase iniziale della sua produzione e i suoi primi lavori veramente significativi. Christo intorno al 1960 realizza i primi oggetti impacchettati (ispirandosi probabilmente a L’enigme di Isidore Ducasse del 1920 di Man Ray).
Meno note ma altrettanto significative sono le Vitrines, facciate in legno di vecchi negozietti, con le vetrine coperte da teli che nascondano quello che c’è all’interno. Molto interessanti sono la documentazione e gli studi delle sue prime grandi installazioni site specificatamente all’aperto, come il
Projet du mur provisoire de tonneaux métallique. Le Rideau de fer (1961-62), una vera e propria barricata (che evocava forse le barricate della Comune di Parigi del 1870) che ostruiva completamente la stretta rue Rive Gauche.

In una sezione dedicata a opere del 1958-59 si può scoprire una parte quasi sconosciuta della ricerca ancora in fieri di Christo. Sono opere materiche spirare a Jean Dubuffet e spesso con riferimenti a Lucio Fontana.

Nella seconda parte della mostra vengono ripercorse tutte le tappe dell’ideazione, dell’elaborazione e della realizzazione del progetto monumentale di Pont Neuf, attraverso una quarantina di studi, bozzetti, disegni e collage e anche elementi d’ingegneria utilizzati durante l’allestimento. Ci sono anche molte foto scattate sul posto e un film documentario che mostra l’opera finita e la sua fruizione da parte dei cittadini e dei visitatori.

È ben documentato anche il nuovo progetto dell’Arco di Trionfo con disegni, foto e quadri-assemblage, realizzati con fotomontaggi. I vecchi bozzetti del progetto del 1962, e quelli del ‘70 e 80 appaiono qui come affascinanti reperti storici che riprendono “miracolosamente” vita. Con questa mostra e con questo monumentale impacchettamento, Christo torna trionfalmente nella cittài che lo aveva visto nascere come artista.


M.P.F.

mercoledì 22 aprile 2020

CARAVAGGIO - BERNINI. Il Barocco a Roma


Caravaggio – Bernini. Il Barocco a Roma

Grazie al catalogo riccamente illustrato: Caravaggio-Bernini. Vrorge barok in Rome. Edizione in lingua: nederlandese e inglese. Casa editrice: Hannibal (prezzo: 39.95 Euro) è possibile percorrere la bella mostra, curata da studiosi italiani: Simone Ferresine e Andrea Trimarchi, sul barocco, aperta fino al 7 giugno al Rijksmuseum di Amsterdam.
   
Barocco romano
Spirito artistico arrivato nei Paesi Bassi e che ha portato un tocco di allegria italiana alla cultura sommessa e austera che ha caratterizzato il XVII secolo olandese protestante. Il Barocco romano ha creato una rivoluzione artistica che si è fatta sentire in tutta l’Europa di tradizione cattolica-romana.

Personaggi di spicco sono stati il pittore Michelangelo Merisi da Caravaggio (1571 – 1610) e lo scultore Gian Lorenzo Bernini (1598-1680). Intorno a questi due geni si sono riuniti molti talenti artistici. La Città eterna nei primi decenni del XVII secolo è al centro di un vero e proprio “boom” in campo artistico. In un periodo breve, Roma diventa una fucina internazionale ricca di idee e correnti artistiche nuove. Questo clima in fermento è il terreno fertile per far nascere un nuovo stile, che sarà chiamato Barocco molto più tardi. Il termine barocco probabilmente indicava la forma irregolare di una perla naturale. Più che in altri movimenti artistici, pittori e scultori si ritrovano a lavorare insieme. I protagonisti della mostra, Caravaggio, Bernini e gli artisti a loro più vicini, incarnano questo gemellaggio artistico. Nelle loro opere si ritrova la storia dell’enorme slancio artistico di Roma e delle innovazioni radicali nell’arte tra il 1600 e il 1640. Il filo conduttore è dato dai termini principali del vocabolario artistico dell’epoca, concetti come “meraviglia”, “vivezza”, “moto”, “scherzo” oppure “terribilità”.

Caravaggio e Bernini
Nella città sulle sponde del Tevere il periodo barocco inizia quando Caravaggio comincia a furoreggiare intorno al 1600 con i suoi dipinti, che manifestano una vena naturalistica del tutto nuova e penetrate, dal potente chiaroscuro. Dalla sua arte radicale nasce un movimento con molti seguaci, poi chiamati Caravaggeschi,
tra cui i Gentileschi padre e figlia, Guido Borgianni, Bartolomeo Manfredi, Guercino, Giovanni Baglione e Mattia Preti. Nel gruppo anche artisti olandesi come Ter Brugghen, van Honthorst e van Baburen.
Alcuni anni dopo la morte di Caravaggio nel 1610, il poliedrico Bernini mostra la sua vena artistica con una seri di immagini impressionanti e tecnicamente virtuose, piene di movimento, drammaticità e naturale vivacità. Nei decenni successivi, l’eredità scultorea di Caravaggio viene ripresa dal Bernini ma con una nuova direzione che cambia completamente il volto di Roma: le innovazioni si possono ancora ritrovare in ambiti diversi, dai ritratti realistici alle tombe imponenti, dalle fontane scolpite all’architettura ecclesiale.
Opere più importanti



Le opere più importanti della mostra sono il suggestivo Narciso di Caravaggio, il Ragazzo morso da un ramarro, l’incoronazione di spine, e le opere di Bernini, di epoca giovanile Bacco, il commovente San Sebastiano, il busto di Medusa, ma anche rari ritratti marmorei di Thomas Baker, del cardinale Richeliu, e un autoritratto. Sono esposti, tra gli altri, anche dipinti di Ludovico e Annibale Carracci, Guido Reni, Giovanni Baglione, dei Gentileschi, di Nicola Poussin, Simon Vouet e dell’eccentrico Tiziano da Varallo.
Sculture di Alessandro Algardi, tra cui Sonno di marmo nero, la statua danzante del Fauno Rondinini del fiammingo Franois du Quesnoy, massimo esponente del Barocco romano e una statua equestre di bronzo di Francesco Machi.

M.P.F.