VICTOR BRAUNER
Cento opere, tra cui le sue tele più famose e i disegni, ricostruiscono a Parigi la personalità di Victor Brauner (Piatra-Neami, Romania, 1903 – Parigi, 1966). Io sono sogno. Io sono l’ispirazione è l’accattivante titolo della mostra del pittore surrealista, che si tiene al Musè d’art moderne fino al 10 gennaio.
Non è l’arte che copia la vita, ma la vita che copia l’arte. Victor Brauner lo dimostra. Il suo quadro più famoso è un Autoritratto del 1931 in cui si rappresenta piuttosto atrocemente con un occhio spento, che sembra colare sulla guancia.
L’immagine simboleggia l’idea, coltivata dai surrealisti, che un artista non vede con la vista normale, ma con gli occhi della mente, con il “terzo occhio” sapiente, capace di intuire i segreti, gli enigmi e le metamorfosi di figure e cose. Anche il senso di disagio, se non di raccapriccio, prodotto dall’occhio accecato è tipico del Surrealismo: pensiamo (ma è meglio non pensarci troppo) alla pupilla orribilmente tagliata a metà da un rasoio che si vede nel Cane andaluso, il film realizzato da Buñuel e Dalì. Oppure all’occhio ferito da una lama, scolpito da Giacometti sempre nel 1931. È la stessa precisione crudele che Brauner evocherà anche il Le surrealisme, 1947.
Quando esegue l’Autoritratto l’artista si è da poco stabilito a Parigi. Qui stringe amicizia con lo scultore Brancusi, rumeno anche lui, e poi conosce Tanguy che nel 1933 lo introduce nel gruppo bretoniano. Dipinge anche in questi anni visioni impossibili.
In Sur le motif, 1937, che significa “dal vero”, si rappresenta con occhi e naso che si allungano a dismisura e diventano pennelli sulla tela. Gli occhi, in realtà, sono anche questa volta ciechi, perché i manici dei “pennelli” occludono le pupille. Il quadro, insomma, è una caricatura dell’Impressionismo, coi suoi paesaggi dipinti all’aria aperta. Occorre pensare, sembra dire Brauner, non accontentarsi di sensazioni. È il 1937 e tutta l’Europa sta correndo accecata incontro alla guerra. Quanto a lui, il 27 agosto 1938, in una fresca sera parigina, va con Yves Tanguy a trovare Óscar Dominguez (un pittore surrealista, noto anche come falsario di De Chirico) e nel suo studio incontra lo spagnolo Esteban Franés. Improvvisamente Dominguez e Francés vengono alle mani e Brauner, che interviene per separarli, è ferito da una scheggia di vetro all’occhio. Perdendolo, come nel quadro – profetico – di sette anni prima.
M.P.F.
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