mercoledì 27 gennaio 2021

Francis Bacon

 


Francis Bacon

Il pittore, la bestia e la virtù

Francis Bacon (Dublino, 1909 – Madrid, 1992) è morto ventotto anni fa ma la sua arte continua a essere di sconvolgente attualità e ogni retrospettiva della sua opera è un evento eccezionale. Questo vale in particolare per la grande mostra ospitata nelle auliche sale della Royal Academy of arts di Londra (e di cui possiamo ammirare il catalogo che l’accompagna), Francis Bacon. Man and beast, la prima incentrata in modo specifico sull’ossessiva fascinazione dell’artista per gli animali e sull’impatto di questa evoluzione delle sue figure umane. Il percorso espositivo si sviluppa attraverso la presentazione di quarantatrè dipinti, scanditi tematicamente e cronologicamente in otto sezione, a partire dai più vecchi lavori degli anni Trenta e Quaranta fino all’ultimo del 1991, Study for a bull, mai esposto prima d’ora.


In Bacon la visione dell’uomo è sempre stata organicamente connessa alla sua natura animale, delle prime terribili figure degli inizi ai corpi umani nudi deformati dell’ultima fase. In altre parole, per un umanista tragicamente pessimista come lui, sotto la struttura della civilizzazione, gli uomini continuano a essere come tutte le altre bestie, condizionati dagli istinti primari.

La mostra inizia con tele del 1944-46 che rappresentano delle ibride creature biomorfiche che fanno riferimento alle mitologiche Furie protagoniste nell’Oristea di Eschilo, il tragico greco profondamente amato da Bacon. Queste terribili figure surreali sono strettamente connesse con gli orrori del nazismo, così come quelle in un quadro come Fragment of crucifixion (1950), dove un cane rabbioso e una specie di gufo prendono il posto dell’uomo. Gli stessi temi si ritrovano nella sezione conclusiva che mette in scena due grandiosi trittici dipinti negli anni Ottanta: Triptych inspired by the Oresteia of Aesschilus, e Second version of Tryptich.


In quest’ultimo sono rappresentati su fondali rosso sangue i tre orribili esseri con il collo contorto e bocche urlanti che erano protagonisti nello studio base di una crocifissione del 1944. Nella seconda sezione un’impressionante serie di ritratti, stravolti da espressioni bestiali, che mettono in questione i confini fra la specie umana e le altre. Sono esposte qui tre delle sei Heads presentate nella prima mostra personale dell’artista nel 1949.

Queste teste sono ingabbiate in “vetrine” cubiche, delle strutture trasparenti utilizzate in molti lavori successivi, come una sorta di dispositivo di congelamento della violenza espressiva dei personaggi.
È il caso anche dei famosi ritratti del Papa Innocenzo X, d’après Velasquez, di cui si possono vedere qui due versioni. In questi ritratti il personaggio, vestito con una cappa viola (e non porpora come quella papale), è seduto con le mani avvinghiate sui braccioli. La tensione drammatica si concentra sul volto sfigurato dalla bocca urlante, non si sa bene se per tensione aggressiva, per disperazione o per orrore. Questo volto è una libera citazione di un fotogramma del film Corazzata Ptemkin (del 1925) di Sergei Eisenstein, in cui si vede il volto di una balia che urla angosciata vedendo la carrozzina con il suo bambino che rotola giù dalla monumentale scala di Odessa.

Nella sezione seguente sono esposti dei quadri di animali nelle savane, che nascono dall’esperienza dei due viaggi in Africa nel 1950, e dall’utilizzo di immagini di libri fotografici sulla fauna selvatica. Ma per il pittore la fonte previlegiata per lo studio del movimento degli animali e dei corpi umani deriva soprattutto dall’interesse profondo per le straordinarie sequenze cronofotografiche di movimenti di donne e uomini nudi e di animali realizzate da Eadweard Muybridge alla fine dell’800. Tra le opere che fanno parte della sezione su questo tema, troviamo per esempio Man and dog e Two figures del 1953.



Quest’ultimo dipinto, direttamente ispirato a una foto di lottatori di Muybridge, mette in scena su un letto disfatto due uomini avvinghiati in un’azione all’incrocio fra violenza e sesso, una rappresentazione con aperte valenze gay, realizzata in un’epoca in cui l’omosessualità era ancora cosa proibita (la legalizzazione in Inghilterra avviene solo nel 1967). A partire dagli anni Sessanta la rappresentazione delle figure nude maschili e femminili si caratterizza per una crescente distorsione e lacerazione delle forme anatomiche, come per esempio in
Portait of Henrietta Moras on a blu couch del 1970 in cui si vedono tre figure che sembrano arrampicarsi su delle rotaie.


Un’intera sala è dedicata ai ritratti che Bacon ha fatto del suo amante George Dyer, un gioane alcolizzato proveniente dai bassifondi criminali. La realizzazione appassionata e burascosa inizia nel 1963 e dura quasi dieci anni, fino al tragico suicidio di Dyer. L’uomo è stato in quel periodo il principale modello per Bacon, ma anche dopo la sua morte, che lo aveva sconvolto, continua a rievocarlo nei suoi quadri.



Tra i ritratti più inquietanti è da citare
Study for a portrait of Geoge Dyer del 1966, in cui vediamo il contorto personaggio nudo accucciato in mezzo a uno strano divano a forma di vasca circolare. Al centro dell’esposizione spiccano per la loro potente spettacolarità tre versioni di una scena di corrida, dove vediamo nell’area circolare chiusa di un’arena la cruenta lotta fra il toro e il matador, in una drammatica tensione dinamica in cui l’uomo e la bestia sembrano formare un solo intricato organismo. In Study for bullfight del 1969, lo spazio dominato dell’arancione dello sfondo è geometricamente serrato, e il pubblico e gli altri toreri appaiono da un lato come dietro un vetro.


M.P.F.

 

 

 

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