Savinio.
Incanto e mito
Un fil rouge lega la mostra romana Savinio. Incanto e mito alle sale di Palazzo Alteps che la ospitano, magnifica sede della Collezione Ludovisi, fra le più importanti della statuaria antica a Roma. Una scelta di fantasmagorie pittoriche e sceniche, di “rapporti universali ed eterni” scaturiti dal dialogo visionario e ludico con il poliedrico artista.
Musicista-scrittore-pittore-drammaturgo: “L’interesse che io porto alle varie forme dell’espressione non è esclusivo […] è per qualcosa al di là delle forme”.
Tutta l’opera di Alberto Savinio (1891-1952) è “una variazione perpetua” che divaga sulle memorie di un’infanzia sovrastata dalle luci e dalle ombre del Partenone.
Metamorfosi e travestimenti di un Dioniso redivivo, che innesca una catarsi dei fantasmi del mito greco – sui numi tutelari – scardinando la superiorità del passato sul presente e il limite delle apparenze con una versatilità di esternazioni e un’immaginativa inesausta di oniriche e vertiginose associazioni.
Dalla musica al poema drammatico Chants de la mi-mort, contraltare alla pittura metafisica del fratello Giorgio de Chirico, con il quale esordisce a Parigi nell’entourage d’avanguardia di Apolinaire, agli ibridi mostri che popolano le pagine di Hermaphrodito e quelle dei suoi futuri capisaldi letterari, innervandosi nelle dissacrate maschere archetipiche dei sui allestimenti teatrali. Un bestiario fantastico e statue animate che “la suprema civiltà mentale” di Savinio declina in una salda unità di pensieri figurati e la mostra riverbera in un caleidoscopio d’inedite destrezze fra i capolavori di Palazzo Altems.
Un ‘Ritorno del figliol prodigo’ che si trasfigura nella tragedia greca inseguendo il miraggio di un universo irreale e senza tempo.
M.P.F.
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