Sassoferrato
Dal Louvre a San Pietro:
la collezione riunita
Uno degli
artisti più noti del Seicento per i suoi quadri religiosi è Giovanni Battista Salvi,
detto il Sassoferrato dalla città dove nacque nel 1605, posta tra Urbino e
Fabriano. Ricevette i primi rudimenti della pittura da suo padre Tarquinio,
com’esso pittore. Lavorò in Umbria e specialmente in Roma, dove morì verso il
1685.
Perchè ha
sempre affascinato ed interessato un ampio pubblico Sasseferrato ?
E pure non
esiste un pittore meno creativo di lui, stucchevole, noioso, ripetitivo; e però
sublime. Pittore di essenze e non di esistenze. Sassoferrato non crede alla
evoluzione dell’arte. Ha stabilito prima del Bellori il primato di Raffaello e
vuole continuare il suo cammino, indifferente al tempo e alla storia.
Sarà
interessante verificare un giorno i confini dell’ossessione della ripetività in
Sassoferrato, l’annullamento della gerarchia delle repliche – quando autografe
e originali – senza discontinuità qualitativa, con lo stesso impegno in una
versione o nell’altra. Per lui non c’è un originale e una replica: l’impegno e
la concentrazione sono gli stessi.
Sassoferrato, nel suo fare, come ripete se stesso, può ripetere Raffaello senza
diminuirlo, tentando di riprodurre la tensione pittorica.
Il suo
obiettivo è la perfezione, nell’atarassia, nell’indifferenza, nella
contemplazione. E non è un caso che i riferimenti pittorici di Sassoferrato, la
cui fedeltà al reale poteva farlo ascrivere fra i naturalisti, siano Guido Reni
e Domenichino, idealisti irriducibili, in una condizione intrinsecamente
contradittoria. Potremmo dire che Sassoferrato dipinge realisticamente, quasi
iperrealisticamente, l’idea, inseguendo un bello senza tempo che ha in
Raffaello l’archetipo e in Molcalvo, in Scipione Pulzone, in Carlo Dolci e in
lui – come più tardi in Overbeck e nei Nazareni – gli interpreti irriducibili
di quel mondo.
Dopo più di
due secoli è tornata a casa l’Immacolata
Concezione, capolavoro di Giovan Battista Salvi detto il Sassoferrato. La
magnifica pala, oggi al Museo del Louvre, venne trasferita in Francia da
Dominique-Vivant Denon, direttore del Museo Napoleon; da allora non è più
rientrata in Italia. Era tra i tesori della millenaria abbazia benedettina di
san Pietro a Perugia.
L’Immacolata Concezione del Louvre è
esposta (fino al 01 ottobre 2017), accanto a una quarantina di dipinti, in
parte del Sassoferrato (ben 17) eseguite per il complesso benedettino di San
Pietro e in parte di famosi maestri ai quali l’artista si ispirò, come Pietro
Perugino, il grande maestro umbro lungamente studiato da Sassoferrato.
L’intento del percorso espositivo è quello di far capire quanto il pittore
rinascimentale abbia influito sulla visione dell’artista seicentesco, a
cominciare dalla purezza formale delle immagini. Pari interesse Sassoferrato
riservò alle opere di Raffaello. In mostra sono state messe a confronto due
copie della deposizione Borghese di Raffaello, la prima di Orazio Alfani, la
seconda di Giuseppe Cesari detto il Cavalier d’Arpino, proveniente dalla Galleria
Nazionale dell’Umbria, con la bella versione dipinta da Sassoferrato nel 1639.
Uno spazio significativo viene riservato anche alla cosiddetta Madonna del Giglio, immagine devozionale
che assicurò grande notorietà al Sassoferrato: in mostra sono presenti tre
versioni: le prime due vengono da Modena e da Bologna, la terza è di proprietà
della Fondazione per l’Istruzione Agraria. In queste opere l’artista riprende
un’antica immagine di culto realizzata da Giovanni di Pietro detto lo Spagna,
dotassimo seguace di Perugino e Raffaello.
Di fronte a
opere del genere, gli studiosi si sono legittimamente chiesti fino a che punto
la pittura del Sassoferrato debba essere considerata originale. In realtà, e la
mostra lo conferma in pieno, sarebbe sbagliato considerare il Salvi un mero
imitatore, perché, come ha acutamente osservato Federico Zeri, egli non si
limita a copiare le opere degli artisti presi a modello ma aggiunge sempre la
sua personale interpretazione. Ciò emerge chiaramente dal confronto tra la
bellissima Madonna del Tintoretto e la versione di mano del Sassoferrato, dove
le forme turgide e quasi sensuali del pittore veneto vengono riproposte dal
Salvi con un linguaggio più asciutto e temperato. In mostra non mancano,
d’altra parte, opere in cui l’artista si palesa in tutta la sua eccezionale
originalità. Ecco dunque la Giuditta con la testa di Oloferne, un dipinto che
non è esagerato includere tra i capolavori del Seicento italiano, la grande
Annunciazione della Vergine, opera di rara finezza esecutiva, i santi
Benedetto, Barbara, Agnese e Scolastica, lavori in cui l’artista, pur
rispettando l’autorità dei modelli, mette da parte ogni forma di deferente
imitazione. Esemplari, in tal senso, è anche la Madonna con il Bambino e santa
Caterina da Siena (Fondazione Cavallini Sgarbi), autentico vertice della
pittura religiosa del Seicento.
Tutte le
opere del Salvi conservate in San Pietro furono commissionate dall’abate Leone
Pavoni che resse per lunghi anni la comunità benedettina di San Pietro.
Era di sua proprietà
la magnifica Santa Francesca Romana con l’angelo, oggi custodita nella
sagrestia della Basilica, per lunghi anni attribuita a Caravaggio, in realtà
capolavoro di Giovanni Antonio Galli detto Spadarino, uno degli interpreti
fedeli del maestro lombardo. In omaggio all’abate Pavoni, singolare figura di
committente e collezionista, anche questo capolavoro si può ammirare tra le
opere esposte nella mostra di San Pietro a Perugia.
La cura
della mostra, arricchita da alcuni documenti inediti, è di Cristina Galassi, con
la collaborazione di Vittorio Sgarbi. L’itinerario espositivo ha così il
compito di dare luce a un artista efficacemente definito da Adolfo Venturi “un quattrocentista smarrito nel Seicento”:
La
collaborazione con il Museo del Louvre, con la Galleria Nazionale dell’Umbria,
con la Galleria delle Marche e con altre istituzioni pubbliche e private,
certamente accrescerà, con questo evento, l’interesse verso Sassoferrato,
originale artista del Seicento, ma rilancerà, al tempo stesso, il complesso di
san Pietro, seconda realtà museale dell’Umbria dopo la Galleria Nazionale
dell’Umbria nonché luogo che tuttora emana il fascino della sua storia
millenaria.
Maria Paola
Forlani