Osvaldo Licini
Che un vento di follia
mi sollevi
Chi cerca suole mai trovar certezza /
Io cerco spesso senza mai trovarla
Una certezza dove poter gettare /
tutte le forze d’una mia lontana / miracolosa vita forse sognata
Forse trascorsa un poco troppo / col
cuore nella mano / col cuore e col pensiero nella mano
Un poco troppo bella dell’anima /
ch’io cerco ancora / senza mai stancarmi / troppo sperando d’incontrarla un
giorno
Osvaldo
Licini
Alla XXIX
Biennale di Venezia del 1958 l’artista marchigiano Osvaldo Licini (1894 – 1958)
fu insignito del Gran Premio per la pittura, un dovuto omaggio a una delle
personalità più originali del panorama artistico italiano della prima metà del
XX secolo. A 60 anni da quel prestigioso riconoscimento e dalla sua scomparsa,
il museo Peggy Guggenheim di Venezia ricorda il grande maestro con una
retrospettiva a cura di Luca Massimo Barbero.
Undici sale
espositive, oltre cento opere, ripercorrono il dirompente quanto tormentato
percorso artistico di Licini, la cui carriera fu caratterizzata da momenti di
crisi e cambiamenti stilistici apparentemente repentini. La mostra Osvaldo Licini. Che un vento di follia
totale mi sollevi intende mostrare la sostanziale coerenza di tale
percorso: quelle che all’apparenza sembrano delle cesure si rivelano infatti
tappe di un’esperienza singolare che risalta all’interno della storia dell’arte
del Novecento per risultati di assoluto lirismo e poeticità.
La sera del
20 marzo 1914 Osvaldo Licini inaugurò a Bologna, insieme agli amici e compagni di
Accademia Mario Bacchelli (fratello dello scrittore Riccardo), Giorgio Morandi,
Severo Pozzati (che assumerà il nome d’arte Sepo) e Giacomo Vespignani, una
mostra in una sala del centrale Hotel Baglioni, entrata nelle cronache come un
momento “cruciale” della vita artistica cittadina. Per primo ne riconobbe
l’interesse Carlo Ludovico Ragghianti, che nel saggio Bologna cruciale 1914 del 1969, proprio a partire dall’esposizione,
ricostruiva l’ambiente bolognese degli anni dieci leggendolo come un importante
snodo geografico e cronologico.
Al Futurismo, e in modo particolare alla figura
di Marinetti, i giovani guardavano come a un’inevitabile scelta di
contemporaneità, in un’adesione ideale che solo parzialmente influì sulla loro
ricerca artistica. Il termine secessione è forse quello più corretto per
definire questo momento, nella sua ampia accezione, per comprendere un comune
fermento di dissenso, che coinvolge all’epoca diversi gruppi di artisti,
suscitando in alcuni l’auspicio di un possibile coordinamento in un “movimento
giovanile” capace di svecchiare l’ambiente culturale italiano. Una delle rare
testimonianze pittoriche ascrivibili a Licini a questo primo periodo e delle
poche opere identificabili come esposte all’Hotel Baglioni è l’Autoritratto del 1913, che l’artista
donerà all’amico Morandi.
Dal 1921
Licini soggiorna per lunghi periodi a Parigi, dove frequenta il vivace ambiente
artistico e letterario di Montparnasse e conosce, tra gli altri Picasso, Jean
Cocteau, Blaise Cendrars, Moïse Kisling, avviando una vivace attività espositiva,
anche grazie all’incoraggiamento del pittore Mario Tozzi, suo compagno negli
anni d’accademia.
Abbandona la
sintesi quasi meccanica degli Episodi di
guerra l’artista declina il “richiamo alla figura” che caratterizza il
diffuso clima di “rappel à l’ordre” in termini personali. La conoscenza di
Amedeo Modigliani e della sua opera, rievocata da Licini in un ricordo scritto
nel 1934, gli fa scoprire un modo di dipingere che sente vicino alla propria
ricerca.
Licini è
fortemente critico verso l’ondata classica che investe l’Europa negli anni tra
le due guerre. I personaggi semplicemente abbozzati che popolano i suoi
paesaggi e la figura del capro rispecchiano pienamente la sua personale visione
del mondo: non antropocentrica, ma intessuta di un profondo dialogo tra uomo,
animali, natura e cosmo e da un’idea di metamorfosi che porta con sé un
dinamismo di instabilità, di mutevolezza lontana dalla solida immobilità delle
figure e dei paesaggi apprezzati dalla critica ufficiale.
La mostra
veneziana si apre con tele giovanili, quei paesaggi marchigiani da cui Licini
non si staccò mai, soprattutto pittoricamente, tanto da farne il soggetto della
sua prima fase figurativa degli anni ’20, a cui appartengono opere come Paesaggio con l’uomo (Montefalcone), del
1926 e Paesaggio marchigiano (il
trologo), del 1928. E sono queste stesse vedute a fare da sfondo anche alla
successiva transizione dal realismo all’astrattismo dei primi anni’30, come si
può già notare in Paesaggio Fantastico (Il
Capro) del 1927. Si prosegue poi con la fase non figurativa degli
anni ’30, anni dell’inevitabile coinvolgimento
dell’artista nelle attività della Galleria “Il Milione”. Il linguaggio astratto
di Licini è atipico, attento alla geometria, una geometria intrisa di lirismo,
evidente in opere come Castello in aria, del
1933-36, o Obelisco, del 1932. Ė proprio in “bilico”, titolo e
soggetto di varie opere di Licini degli anni ’30, tra due poli di astrazione e
figurazione che si giocano la sua carriera e i grandi capolavori della maturità
dedicati ai temi dell’Olandese volante, dell’Amalassunta e dell’Angelo ribelle,
tutti soggetti presenti nella mostra dellla Peggy Guggenheim.
Gli anni
trenta sono un momento significativo nella maturazione del linguaggio liciniano
verso un graduale superamento dell’elementarità geometrica del periodo
astratto. L’incontro nel 1938 con il filosofo e storico delle religioni Franco
Ciliberti lo spinge ad approfondire il tema del “primordiale” e la dimensione
simbolica e spirituale della sua pittura. In questo periodo nascono le
<<scritture enigmatiche>> che dalla fine del decennio iniziano a
comparire con sempre maggior frequenza nella sua pittura, secondo
un’interpretazione pitagorica, riproposta negli scritti del filosofo. In mostra,
tra le prime opere con numeri e lettere si annovera Bocca (1934), ancora, Capriccio
n.2 e Memorie d’oltre tomba, segue
Portafortuna – Merda (1932-1941).
Le opere più
iconiche di Licini, presentate in gruppo alla Biennale di Venezia del 1950,
sono tuttavia quelle dedicate al soggetto di Amalassunta. L’ampia selezione di
quadri di Amalassunta offerta lungo il percorso espositivo propone le
molteplici sfaccettature della personalità di Licini, dal lato degli anni ’40
in poi convergono tematiche, stilemi e il mai risolto rovello della pittura,
che fanno emergere Licini come grande protagonista del modernismo italiano e
internazionale, confermato dal premio conferitogli pochi mesi prima della morte
alla Biennale di Venezia del 1958.
Maria Paola
Forlani
Nessun commento:
Posta un commento