Gauguin
e gli
Impressionisti
Capolavori dalla
Collezione Ordrupgaard
Dipinti di
Cézanne, Degas, Gouguin, Manet, Monet, Berthe Morisot, Renoir, Matisse sono
proposti nella mostra in Gauguin e gli Impressionisti. Capolavori
dalla Collezione Ordrupgaard, fino al 27 gennaio 2019, a Padova, nella
sede di Palazzo Zabarella, a cura di Anne-Birgitte Fonsmark e Fernando Mazzocca
(catalogo Marsilio), organizzata da Ordrupgaard, Copenaghen e dalla Fondazione
Bano e dal Comune di Padova.
Gauguin e gli
Impressionisti. Capolavori dalla Collezione Ordrupgaard consente al pubblico italiano di
ammirare una strepitosa selezione di opere, il fior fiore della Collezione
creata ai primi del Novecento dal banchiere, assicuratore, Consigliere di Stato
e filantropo Wilhelm Hansen e da sua moglie Henny. Collezione che è considerata
oggi una delle più belle raccolte europee di arte impressionista.
Hansen, che
sino ad allora aveva collezionato solo pittura danese, fu affascinato dalla
nuova pittura francese in occasione del suo primo viaggio d’affari a Parigi nel
1893.
Se
consideriamo i dipinti di Corot presenti nella raccolta, dobbiamo riconoscere
al grande collezionista danese il fiuto, poichè non era facile avendo comunque
la possibilità di attingere al meglio in una produzione immensa e molto
presente al mercato, nella scelta di quei capolavori che aiutassero a capire il
ruolo di “traghettatore” tra la grande tradizione del paesaggio classico – il
pittore confessò di guardare a <<Poussin che voleva raggiungere e anche
superare>> - e le sperimentazioni en
plein air che avrebbero aperto la strada alla rivoluzione impressionista.
Scriveva Ėmile Zola di Corot:<< Se i toni
velati, che gli sono abituali, sembrano collocarlo fra i sognatori e gli
idealisti, la fermezza e la solidità del tocco, il sentimento del vero che ha
della natura, la comprensione degli insiemi, soprattutto l’esattezza della
armonia dei valori, ne fanno uno dei maestri del naturalismo moderno>>.
Con l’altra
passione di Hansen, Gauguin, sicuramente il pittore rappresentato a livello più
alto nella collezione, siamo in un contesto molto diverso, in una dimensione
affatto nuova che ha reciso ogni legame con la tradizione e con la visione
della realtà legata ancora alla sua trasposizione nell’ideale. Gauguin
rappresenta il rifiuto decisivo e spettacolare della società e dell’ideologia
borghese della fine dell’Ottocento, delle seduzioni della cosiddetta Belle Ėpoque. Questo sia per quanto riguarda
le scelte di vita che quelle artistiche. La sua decisione di fuggire lontano dal
suo luogo di nascita, Parigi, in quella che lui considerava la più primitiva e
quindi la più bella e felice società, corrispondeva alla sua ricerca di un’arte
arcaica, incontaminata, capace con il suo fascino intatto di rivitalizzare le
tradizioni moribonde dell’Occidente.
Dopo travagliati ritorni a Parigi,
delusioni con i galleristi, con i drammi famigliari e la società organizzata,
riprende la via di Tahiti, nel febbraio del 1895, ormai deciso a non più
tornare. Forse non si sente più la forza per lottare, per contrastare da solo
un mondo distratto e crudele con chi rifiuta le sue regole, forse ha nostalgia
del candore e della purezza dei primitivi: il suo destino, di uomo e di
artista, è là, nelle isole lontane dell’Oceania. La famiglia, gli amici, la
gloria, sono parole quasi senza senso per Gauguin, ormai posseduto dal demone
della rivolta: così egli fugge, cerca la pace, di un sereno rapporto con il
mondo interiore, turbato da angosce e da dubbi, in un ambiente umano e naturale
più congeniale al suo temperamento.
Nella sua
vita, forse, non tutto è sbagliato: le tele e i colori gli offrono ancora la
possibilità di creare realtà consolanti, di dar vita a immagini felici e
gioiose, calde di esuberanza vitale. E se l’angoscia dello spaesamento talvolta
opprime la sua anima, se nella sua mente risuonano ossessive domande senza
risposta
“Da dove
veniamo? Che cosa siamo? Dove andiamo?, ebbene, anche queste inquietudini
interiori abbiano un volto, trovino la loro forma sensibile, perché una vita di
sogni ingenuamente arditi non sarà vissuta invano.
La pittura
del secondo soggiorno tahitiano e del periodo alle Marchesi testimonia questa
dura lotta, questo generoso tentativo di superare i confini stessi della
pittura in una creazione di forme plastiche che concretizzano il dramma di
un’anima, i suoi turbamenti, le sue cadute, le sue ribellioni. Talora le
preoccupazioni simboliche restano su un piano puramente internazionale, quindi
letterario, talora la volontà di sintetizzare lo porta a risultati preziosamente
ornamentali, ma più spesso il desiderio di stile e la ricerca di significato si
incarnano in immagini che mantengono ancor oggi la loro vitalità espressiva.
Il dio
egizio e il feticcio primitivo si sono congiunti nella realtà rappresentata da
Paul Gauguin, il “bianco” della Maison du Jouir.
Nel ritratto
di giovane donna (Vaïte (Janne) Goupil), (della collezione Hansen Ordrupgaard,
logo della mostra) fu una committenza di Auguste Goupil, desideroso di avere il
ritratto della figlia, la modella è ritratta quasi frontalmente. Con la sua
aria distaccata, l’abito marrone da missionaria e la sedia a schienale alto in
stile coloniale, è quasi l’antitesi delle esotiche donne polinesiane
succintamente vestite che erano le abituali modelle dell’artista. Se quelle
venivano spesso dipinte come bambine, e in genere lo erano, questa ragazzina europea
di nove anni è stata ritratta con un’espressione pessimista da adulta che, nel
contesto di Gauguin, si potrebbe pensare rappresenti un ritratto della
malvagità europea. Ha un pallore quasi caricaturale, spezzato solo dalla
fessura rossa della bocca, e il viso – che sembra una maschera di porcellana –
manca di espressività. Solo i fiori sulla borsa di paglia e su una spalla, e lo
sfondo astratto del quadro, indicano un legame con l’ambiente esotico della sua
infanzia.
Maria Paola
Forlani
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