Giapponismo
Venti d’Oriente nell’Arte Europea
1860 – 1915
Vicino,
tra le lacche e i netzkè,
rosseggia
sul polito pavimento,
in
un vaso giallastro, una peonia.
Corrado
Govoni, Ventagli giapponesi, in Le Fiale, 1903
Isolato
per più di due secoli, attorno al 1854 il Giappone iniziò ad instaurare
rapporti diplomatici e commerciali con gli Stati Uniti, la Russia, i Paesi
Bassi, l’Inghilterra e la Francia. Le prime merci giapponesi ad essere
commercializzate furono soprattutto la ceramica e la lacca, seppure confluite
nella cosiddetta moda della “cineseria”. Con la diffusione e l’affermazione di
una cultura borghese legata soprattutto agli ambienti artistici e letterari
d’avanguardia la diffusione la diffusione di stampe ed oggetti di arredo
nipponico divennero un fenomeno alla moda più specifico che influenzò i più
svariati settori dell’Arte e della Cultura occidentale in un periodo compreso
tra il 1880 e il 1915, noto col termine <<Japponisme>>.
Il
periodo di maggior diffusione di questa tendenza coincise appieno con lo
sviluppo del modernismo e del gusto Liberty, cui si sovrappose più volte, e che
terminò con l’avvento del Decò, immediatamente dopo il primo grande conflitto
mondiale, quando l’interesse si allargò ulteriormente verso i paesi
dell’estremo oriente in generale.
Tra
secondo Ottocento e primo Novecento, i movimenti delle Art § Crafts in Gran
Bretagna, della Secessione Viennese in Austria, dell’Art Nouveau in Francia e
del Liberty in Italia interpretarono la cultura artistica del Giappone, in
chiave soprattutto decorativa e formale.
La
ceramica giapponese tradizionale si distingueva dalle analoghe forme cinesi ed
orientali per il gusto sintetico della forma e per l’uso delle decorazioni
semplici di natura fitomorfica. Sin dalla loro
prima apparizione sul mercato europeo questi modelli furono
immediatamente copiati, seppure aggiornando lo stile al gusto europeo, da molti
artisti in ragione della loro grande popolarità, ma soprattutto per la
coincidenza con gli sviluppi di una tendenza, il Liberty, che andava
modernizzato e semplificato i barocchismi del periodo precedente. Molti artisti
iniziarono, in quel periodo, a dedicarsi alla produzione di vasi e ceramiche
con asimmetrici pattern floreali proclamando in tutta Europa
la supremazia del design giapponese.
Avvertito
come misterioso e diverso, il Giappone aveva senza dubbio affascinato gli
artisti che, reinterpretando i temi delle stampe Ukiyo-e (mondo fluttuante), erano giunti ad una
sintesi straordinaria tra le esigenze e gli schemi dell’arte occidentale e lo
spirito sintetico ed essenziale dell’arte nipponica. Nella Francia fin de siécle
l’influenza
dell’arte giapponese, sia a livello formale sia contenutistico, aveva coinvolto
oltre alle industrie del bronzo, del giardinaggio e della carta da parati, i
più svariati settori artistici, dalla pittura alla grafica, dalla ceramica
all’architettura influenzando artisti come Manet, Monet, Degas e Van Gogh che, col
dipinto Rami di mandorlo in fiore, mostrava l’equivalente del romanzo-manifesto
del giapponismo Manette Salomon dei fratelli
Goncourt. L’influenza esercitata dalle stampe giapponesi sugli impressionisti e
sui postimpressionisti e del loro peso nel rinnovamento della visione artistica
occidentale fu notato già all’epoca dai più autorevoli critici e letterati, da
Marcel Proust e Edmond de Goncourt che arrivò ad affermare: “Tutto
l’impressionismo è dovuto alla contemplazione e all’imitazione delle stampe
luminose del Giappone”.
Il
focus della mostra è
rigorosamente incentrato sull’influenza del Giappone nelle arti figurative
europee nel periodo compreso tra il 1862 e il 1920.
La
mostra, composta, mirabilmente, a Palazzo Roverella di Rovigo, a cura di
Francesco Parisi (catalogo Silvana Editore) ha quattro principali aeree di
approfondimento, incentrate ciascuna sulle dinamiche di penetrazione del gusto japoniste in Europa.
In
ciascuna delle quattro sezioni ovviamente è stato dedicato ampio spazio ai
manufatti giapponesi (ceramiche, tessuti, xilografie, bronzi) restituendo
altresì un’idea delle grandi esposizioni universali che misero in comunicazione
i due mondi, testimoniando attraverso vari gradi d’influenza, fino alla fedele
trascrizione, il dialogo con le opere degli artisti europei. La mostra presenta
inoltre alcune sezioni esterne, dedicate all’architettura, all’illustrazione
del libro, all’incisione e al manifesto.
La
complessità del fenomeno giapponese è dispiegata attraverso una lettura
parallela, dunque, tra le diverse nazionalità europee: Inghilterra, Francia,
Paesi Bassi, Germania, Austria, Boemia e Moravia, Italia.
La London World Fair del 1862
Una
grande quantità di prodotti giapponesi fu esposta a Londra nel 1862, per la
cura del Ministero britannico plenipotenziario di Cina e Giappone Sr Ruthford
Alcock che per l’occasione prestò la sua intera collezione. Grazie a questa
incredibile esposizione, molti artisti vittoriani – o quelli della successiva
generazione confluiti nel cosidetto Aesthetic Moviment – iniziarono ad inserire
elementi del Paese del Sol Levante, spesso in maniera decontestualizzata,
attratti dalla loro qualità decorativa (Albert Moore, James Tissot, James
Guthrie, etc…)
James
McNeill Whistler occupò fondamentalmente all’interno di questa ‘vague’
costruendo il dipinto attorno ad un singolo colore e ritraendo le sue modelle
in Kimono e ventaglio sullo sfondo di paraventi giapponesi presi dalla sua
preziosa collezione. Mostrando interesse per la struttura compositiva delle
stampe giapponesi fu il primo ad utilizzare gli schemi.
Il
principale designer giapponese inglese fu senza dubbio William Goodwin il cui
stile fu ribattezzato <<anglojapanese>>. Dopo l’uscita nel 18877
del catalogo della sua intera opera, Art and forniture by Edward
Goodwin, lo
stile sintetico dei suoi lavori interessò i principali fautori del modernismo.
Le Esposizioni Universali di Parigi del 1867 e del 1878 e
Siegfried Bing
All’Esposizione
di Parigi del 1867 il padiglione giapponese presentava principalmente arti
decorative, porcellane, abbigliamento, armature, lacche, calligrafie, paraventi
e una vastissima collezione di stampe ukiyro-e, mentre l’Esposition del 1878 fece
diventare popolare il ventaglio, tanto che numerosi artisti italiani, francesi
e inglesi si dedicarono alla decorazione di questo oggetto (Degas, Caillbotte,
Jean Louis Forain, Camille Pissaro, Paul Gauguin. L’imitazione delle stampe
luminose giapponesi ebbe, notoriamente, un peso notevole nel passaggio del
naturalismo all’impressionismo, sia per la scelta dei soggetti sia per
l’abbandono dell’uso di colori bituminosi.
Nel
1888 in un articolo pubblicato su “L’art indépendante” il critico Edouard
Djardin scrisse a proposito della mostra del Gruppo del XX che alcune tele
evocavano indiscutibilmente “ L’imagerie et le japonisme”.
Nel
1890, inoltre, Siegfried Bing, proprietario della galleria l’Art Nouveau, da
cui prese il nome il corrispettivo indirizzo estetico organizzò L’Exposition
de la gravure japonaise all’E’cole National des Beaux Arts di Parigi iniziando al
contempo la pubblicazione trilingue (inglese, francese e tedesco) della rivista
“Le Japon Aetistique” (1888 1891); presente in mostra nella sua edizione di
lusso). Considerata come un perfetto esempio di arte decorativa, l’arte
giapponese rispondeva perfettamente anche alle aspirazioni dei pittori. Nelle
arti decorative il maggior rappresentante del gusto giapponese fu senza dubbio
Galileo Chini che seppe miscelare abilmente forme e modelli orientali con uno
stile assolutamente personale.
Fondamentale
per conoscenza dell’arte giapponese in Italia fu anche la grande Esposizione
internazionale di Roma del 1911. Il padiglione realizzato dal governo
giapponese a Villa Giulia, un edificio in stile giapponese classico, presentava
per la prima volta al pubblico più di cento opere d’arte tra sculture e
pitture, soprattutto contemporanee, di artisti ormai pienamente
“occidentalizzati” e altri ancora saldamente legati alla tradizione (come, tra
gli altri, Kikuhi Hobun e Kawabata Goyusho).
Illustrazione e icisione
Fu
soprattutto la grafica europea, nei decenni di passaggio tra Ottocento e
Novecento, a far tesoro del ricchissimo serbatoio di idee contenute nelle
stampe giapponesi come testimoniano numerosi esempi che vanno dall’evocazione
delle scene di intimità domestica di Utamaro alle composizioni in diagonale di
Hiroshige interpretate in maniera quasi palmare dagli incisori europei.
Completa
la sezione una ricca esposizione di libri illustrati tra il 1880 e il 1924.
I Manifesti
La
complicata tecnica delle stampe giapponesi venne tradotta in Europa attraverso
l’uso della litografia policroma più adatta ad essere riprodotta su scala
industriale. Jules Chéret fu tra i pionieri del manifesto artistico e, avendo
studiato a Londra, ebbe notevole familiarità con le stampe giapponesi e con il
loro tipico uso delle tinte piatte. A raccogliere la sua eredità fu
Tolouse-Lautrec che divenne in breve uno degli autori di manifesti più
apprezzati. La sua grande passione per le stampe giapponesi è testimoniata sia
dal suo monogramma, derivato da una stampa smunga, sia dalla passione di
abbigliamento di abbigliarsi in Kimono, ma soprattutto per il tributo alle
incisioni di Utmaro con la realizzazione
del manifesto per la ditta Divan Japonais (1893).
Nell’arte
del manifesto l’influenza del Giappone giunge anche nella mitteleuropa: ne sono
un esempio i motivi decorativi utilizzati dai maggiori esponenti della
Secessione viennese; ugualmente in Italia, complice la produzione pubblicitaria
legata ai melodrammi d’ispirazione orientale (si pensi a Iris di Mascagni o
alla Madame Butterfly e alla Turandot di Puccini), favorì la produzione di
manifesti di chiara ispirazione giapponese.
M.P.F.