Modigliani, l’ultimo romantico
Pochi uomini hanno incarnato come Amedeo Modigliani (1884 – 1920), il mito romantico dell’artista geniale e trasgressivo. Storia e leggenda sono così strettamente mescolate nel racconto della sua vita da risultati quasi inestricabili. Anche le testimonianze di coloro che lo conobbero sono contraddittorie. All’impresa di distinguere la storia dalla leggenda si è dedicato con la consueta sensibilità, Corrado Augias, che ricostruisce la vicenda della famiglia Modigliani nella Livorno ottocentesca, la formazione pittorica di Amedeo, la sua vita bohéme a Parigi tra i più grandi artisti del primo Novecento. Fino alla tragedia finale, condivisa dalla compagna Jeanne, e al nascere del mito. Allo stesso tempo traccia l’affresco di un’epoca irripetibile della cultura europea.
Modigliani torna a casa a 100 anni dalla morte (morì a Parigi all’Hopital de Charitè il 24 gennaio 1920) nella città che gli diede i natali. Motivo per cui il Museo della città propone una mostra aperta fino al 16 febbraio 2020 a cura di Marc Restellini, storico dell’arte francese, direttore del museo, fondatore della Pinacothéque de Paris e specialista in Amedeo Modigliani.
Quattordici dipinti e dodici disegni dalla collezione Alexandre e Netter. Opere non esposte molto frequentemente, come il ritratto di grandi dimensioni Fillette en Bleu del 1918 o quello di Chaïm Soutine del 1916, amico del pittore durante gli anni parigini Tutte le opere raccontano gli anni alla Ville Lumiere, gli anni di droga e alcol di Modì, e trasudano la vita dei quartieri parigini di Montmarte e Montparnasse, dove l’irresistibile Amedeo si era legato a Guillaume Apollinaire, al collezionista Paul Guillaume, allo scrittore Blaise Cendrars. Con i suoi colori puri, Modigliani ha voltato le spalle al realismo.
L’isle Joyeuse di Debussy è del 1904. Parigi sta tornando all’âge d’or, al tempo della felicità, sia pure letteraria. Parigi ha ormai deciso di non smontare più la Tour Eiffel, costruita per l’Esposizione mondiale del 1889 e che Lorenzo Viani, più tardi, definirà ‘una mostruosa siringa che buca il cielo’.
Modigliani sfiora tutto ciò, e con drammaticità coglie le complesse componenti culturali, le mille sfaccettature umane e artistiche, la modernità, la trasgressività di questa Parigi dove a tutti i costi ha voluto trasferirsi. Scegliendo dopo solo tre anni dal suo arrivo di passare sulle rive gauche, a Montparnasse, il quartiere più ricco di boites e di pittori, di poeti, di fantasia. Prendendo immediatamente ad esempio le forme pure e dense di materia di Cézanne.
Tenendo sempre ben presenti i suoi riferimenti italiani, da Tino di Camaino a Simone Martini, da Botticelli a Tiziano. Leggendo e traducendo il mistero degli antichi, degli egizi, nella sintesi di un’arte più che erudita intuitiva, calda e ieratica, sensitiva e concreta, vibrante di emozioni. Attento alla dinamica artistica orientale che gli serve per apprendere nuovi modelli espressivi ma soprattutto per proseguire nell’individuazione dei propri pensieri, dei propri sogni, delle proprie suggestioni. Attratto dalla cultura, fruga e indaga nell’arte primitiva, negra in particolare; viene affascinato dalla semplicità primigenia, dalle forme essenziali intagliate nella rozza pietra del rumeno Brancusi. Sono centinaia le opere di Modi tra disegni e gouache, dipinti, sculture.
Ma di queste, ultime, pur tanto amate, ce ne lascia solo poco più di venti, sparse nel mondo in musei e collezioni private, ed eseguite fra il 1911 e il 1913. Resta il mistero di quelle altre sculture in pietra nate e scomparse a Livorno nell’estate del 1909.
Leggenda vuole che dopo aver chiesto agli amici un locale e delle pietre (di quelle usate per lastricare la strada) e aver lavorato per giorni e notti. Dedo finisse, spinto dagli stessi “beceri” compagni livornesi, a buttare le sculture nel canale vicino, il fosso Reale. A sostegno di questa tesi, la figlia di Modigliani Jeanne riporta nella sua ultima biografia sul padre le parole di un testimone livornese: “Da quel giorno ch’ebbe lo stanzone e le pietre ci sparì sotto gli occhi e non lo si rivide per qualche tempo. Cosa poi combinasse in quello stanzone con quelle pietre, nessuno di noi lo seppe mai. Mai ci portò lassù, mai si vide lo stanzone e mai le pietre. Chissà cosa almanaccò in quei giorni. Ma certo qualcosa deve aver combinato. Perché quando decise di tornare a Parigi, ci chiese dove avrebbe potuto sistemare quelle sue sculture che erano rimaste nello stanzone. Esistevano dunque E chi lo sa? Modigliani le portò con sé, oppure seguì il nostro amichevole consiglio. Gli si rispose infatti concordemente: buttale nel fosso”.
Niente di certo insomma, solo unicamente delle supposizioni. Ma da queste supposizioni nasce un’altra leggenda, il mito che dopo più di settant’anni queste fantomatiche sculture, di cui nessuno sa niente di preciso, esistano davvero. Siano ancora lì, dentro il fosso vicino ai mercati generali, ancora intatte, possibili da recuperare. Questa volta la cronaca, “il giallo a tre teste” come è stato intitolato, la beffa, sono di ieri: nel luglio del 1984 si draga il canale e si pescano quelle che forse un po’ con troppa fretta vengono entusiasticamente riconosciute come le sculture eseguite dall’artista nell’estate del 1909. Ben presto però l’amara verità: false tutte e tre, una è opera di tre ragazzi burloni e di un trapano elettrico (“buttiamocela noi, così trovano qualcosa!”, e dopo aver recuperato un sasso, con davanti la fotografia di una testa scolpita da Modigliani, si danno da fare a lavorare per due giorni), le altre due sono opera di un portuale.
Molti errori,
troppa faciloneria, eccessivo sarcasmo. Tanto spettacolo. Chissà come avrebbe
reagito Modigliani vedendosi messo a nudo e in ridicolo dall’irriverenza dei
nostri anni? Probabilmente non avrebbe fatto niente di più di quello che già
era abituato a fare.
Modì sapeva che cosa significa essere provocatori e fragili nello stesso tempo. È sempre stato consapevole di quello a cui andava incontro.
M. P. F.
Modigliani,
l’ultimo romantico
Corrado
Augias
Mondadori
7,99
euro
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