Guido Reni
e i Carracci
Un atteso ritorno
Capolavori Bolognesi dai Musei
Capitolini
…Se i saggi ti chiedono perché quest’incanto sia
effuso
invano sulla terra e il cielo, di’loro cara, che se
gli occhi
furono creati per vedere, allora la bellezza trova in
se stessa
la propria ragion d’essere ( R. W. Emerson)
Sono oltre trenta opere – in
larga maggioranza realizzate su tela – tutte provenienti dalla Sala bolognese
della Pinacoteca Capitolina, all’interno dei Musei Capitolini
di Roma. Un patrimonio di indicibile valore
che ha segnato una svolta
fondamentale nella ricerca
pittorica italiana ed europea che compongono una mostra d’eccezione, quella che la Fondazione della Cassa di Risparmio in
Bologna,
Genus Bononiae, Musei nella
Città e l’Assessorato
Culturale e Sport di Roma-Sovrintendenza
Capitolina ai beni Culturali presentano
a Palazzo Fava con il Patrocinio del
Pontificio consiglio della Cultura, nell’occasione dell’Anno Santo
Straordinario, aperta fino al 13 marzo 2016, dal titolo:
‘Guido Reni e i Carracci. Un atteso ritorno.
Capolavori Bolognesi dai musei Capitolini’ ( catalogo Bonomia University Press).
La circostanza – di fatto
irripetibile – della disponibilità di un nucleo di dipinti bolognesi dei Musei
Capitolini, è offerta da un intervento di restauro della sala che normalmente
li ospita. Grazie al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
– si potrà procedere al ripristino del pavimento ligneo dell’ambiente
espositivo e a interventi finalizzati a una migliore fruizione delle opere da
parte del pubblico.
L’eccezionale prestito
dell’intero nucleo dei dipinti della Sala bolognese che per la durata dei
lavori di restauro della sala sarebbero stati sottratti al pubblico dei Musei
Capitolini, consente di esporre a Bologna, negli ambienti caracceshi di Palazzo
Fava, una selezione di quadri della scuola felsinea acquisiti a Bologna dal
cardinale Giulio Sacchetti: “un atteso ritorno”.
Annibale e Ludovico Carracci, Giovan Andrea Sirani, Alessandro Tiarini, Domenichino, Denys Calvaert, Sisto Badalocchio, Francesco Albani sono solo alcuni degli autori dei capolavori che sono esposti a Palazzo Fava. Palazzo delle Esposizioni. Maestri protagonisti di una stagione particolare – la fine del XVI e la prima metà del XVII secolo – che vide consolidarsi legami storici, politici, artistici tra Bologna e Roma con la fioritura della scuola del capoluogo emiliano che, nell’Urbe, trovò il favore di mecenati e committenti di assoluto livello.
Il folto gruppo dei dipinti
bolognesi della Pinacoteca Capitolina – fondata alla metà del Settecento da
papa Benedetto XIV Lambertini – originario della città emiliana – deriva
principalmente, come già detto, dalla acquisizione della collezione del
cardinale Guido Sacchetti, presente a Bologna nel triennio 1637-1640 in qualità di Legato
pontificio e quella dei Pio di Savoia. Opere mai ritornate tutte insieme nella
città dove erano state realizzate. Si rende così possibile, in questa
circostanza, la possibilità di ammirare e di apprezzare a Bologna capolavori
dei maestri emiliani visibili esclusivamente in riva al Tevere, tra cui alcuni
mirabili esempi della produzione estrema di Guido Reni.
Decisamente unico e irripetibile e anche l’abbinamento fra le opere esposte e gli affreschi di Annibale, Agostino e Ludovico Carracci, ela loro Accademia che
corrono lungo le pareti di Palazzo Fava luogo simbolo per Bologna. La mostra curata da
Sergio Guarino, Curatore Storico dell’arte della Pinacoteca Capitolina, e la
collaborazione di grandi studiosi come: Andrea Emiliani, Patrizia Masini,
Angelo Mazza e Claudio Strinati, è il primo frutto di un vasto progetto di
ricerca in cui convergono sia le vicende di un accorto mecenatismo sia gli
sviluppi del dibattito pittorico bolognese dei primi decenni del secolo XVII.
Decisamente unico e irripetibile e anche l’abbinamento fra le opere esposte e gli affreschi di Annibale, Agostino e Ludovico Carracci, e
Il più antico dei capolavori
è un bozzetto di Prospero
Fontana , la Disputa di
Santa Caterina d’Alessandria, e da esso prende avvio l’itinerario di
visita. Di Annibale, il più estroso, il più libero, il più dotato
pittoricamente dei Carracci, sono esposte due versioni di San Francesco in adorazione del crocefisso.
Il primo restaurato per accompagnare papa Francesco a Rio de Janeiro è uno degli esempi più alti della nuova formulazione dell’iconografia del santo all’indomani della Controriforma, quando la codificazione dottrinale portò a una generale riflessione sulle raffigurazioni religiose del canonico Discorso sopra le immagini sacre e profane (1582) del cardinale Gabriele Paleotti, vescovo di Bologna. La pulitura del dipinto del 2013 consente di leggere l’ardita scala cromatica, mettendo in luce brani di modulazione pittorica assai vivi nel teschio in primo piano e il breve e delicato accenno paesistico di gusto veneziano.
Il secondo San Francesco, si presenta con le braccia aperte verso il crocifisso, di grande forza espressiva avvolto da un paesaggio assai vibrante nel plastico comporsi chiaroscurale. Di Ludovico, che a differenza dei cugini non lasciò Bologna, è quila grande Allegoria della Providenza, e la Santa
Cecilia
Il primo restaurato per accompagnare papa Francesco a Rio de Janeiro è uno degli esempi più alti della nuova formulazione dell’iconografia del santo all’indomani della Controriforma, quando la codificazione dottrinale portò a una generale riflessione sulle raffigurazioni religiose del canonico Discorso sopra le immagini sacre e profane (1582) del cardinale Gabriele Paleotti, vescovo di Bologna. La pulitura del dipinto del 2013 consente di leggere l’ardita scala cromatica, mettendo in luce brani di modulazione pittorica assai vivi nel teschio in primo piano e il breve e delicato accenno paesistico di gusto veneziano.
Il secondo San Francesco, si presenta con le braccia aperte verso il crocifisso, di grande forza espressiva avvolto da un paesaggio assai vibrante nel plastico comporsi chiaroscurale. Di Ludovico, che a differenza dei cugini non lasciò Bologna, è qui
“ Si può lasciare alla fantasia dei musicologi il
pensare se [Cecilia] starà
‘toccando’
un Cavazzoni o un Merulo, o qualche più semplice
canto” così scriveva Francesco
Arcangeli, che del piccolo quadro aveva colto l’atmosfera di poesia “venata di pensieri quotidiani”, nel catalogo
della mostra bolognese del 1956 dedicata ai Carracci. Segue un Ritratto
di giovane e un tondo, Madonna con il
Bambino, pochissimo visto, per il fatto che sostava negli uffici della
Soprintendenza.
Ma è nella sala dedicata a
Guido Reni che la mostra acquista il suo
accento più coinvolgente e di scoperta verso i dipinti degli ultimi anni,
quelli della “seconda maniera” del maestro bolognese. Non è più il “divino”
Guido ma un Guido umanissimo. L’artista indugia verso il mistero di figure
femminili – Fanciulla con corona,
Cleopatra, Lucrezia, Donna con vaso – incompiute, enigmatiche, rarefatte.
Cleopatra, Lucrezia, Donna con vaso – incompiute, enigmatiche, rarefatte.
Il San Girolamo presenta un vivido naturalismo, che con gli occhi
fissi su una semplice croce di legno si batte il petto con un sasso: i
tradizionali attributi, con l’aggiunta dell’accenno al manto rosso della
dignità cardinalizia (che in realtà il santo non ebbe mai), fanno da contorno
all’intenso volto, reso ancora più ascetico dagli occhi profondamente scavati.
Le rughe accentuate, la chioma spettinata, la bocca aperta in preghiera, la
stessa ondulazione della barba sono tutti segni di una pittura che vuole
indagare i meandri del pentimento interiore e della conversione del cuore.
L’opera rappresenta in piedi
sul globo, un giovane alato che innalza lo sguardo verso il cielo, dove alcuni
puttini affiancano la luce divina che si irradia verso il basso, le braccia
sono spalancate, in un canonico gesto di preghiera e di fiducioso abbandono: il
corpo perfetto nudo, è solo in parte coperto da un drappo rosa che dal braccio
destro gira dietro la figura per chiudersi pudicamente davanti a lei.
In questo suo ultimo quadro
Guido Reni riassume la poetica di un’intera carriera, senza rinnegare se stesso
ma nello stesso tempo senza nessun nostalgico compiacimento. La circostanza
della morte avvenuta a non molta distanza della conclusione della tela può
creare eccessive suggestioni sul tema del presentimento della fine, ma è
indubbio che l’Anima beata sia
davvero una sintesi della forte religiosità personale dell’artista e di una
idea finale di una pittura ristretta all’essenziale, di un’arte vera e
autentica in quanto “svelata”, privata dall’obbligo del
Maria Paola Forlani
Nessun commento:
Posta un commento