Meditazione sul Natale di don Franco Patruno attraverso
un’opera d’arte di Rouault dal “Miserere”
La Madonna di Finisterre
E’ una relazione che sembra già avvertire i detti e gli
eventi fondamentali del piano di salvezza: la Vergine e Gesù Bambino sono
stagliati su un paesaggio disteso e palesemente dilatato oltre i limiti del
supporto. Una luce densa e granulosa sale dalle colline della Palestina, fa da
corona al soggetto santo: non è presagio ma lode all’accaduto, alla nascita del
sale della terra e della luce del mondo, silenzioso ed organico canto alla
redenzione.
Georges Rouault
(Parigi, 1871-1958) è considerato non a torto uno dei più originali
espressionisti del Novecento. La sua formazione in un’officina di vetrate segnerà
indelebilmente tutta la sua attività, in modo particolare le splendide 58
grandi incisioni con il tema del “Miserere”, nelle quali, in una lettura
cristologia del Salmo 50, è inserita questa Madonna con il Bambino che ben
esprime, anche se non con la tradizionale scenografia dei presepi, il senso
dell’Incarnazione. Non è un’immagine consolatoria: le acqueforti sono state
definite, secondo una biografia ragionata, nell’ambito di un decennio
particolarmente intenso e per molti aspetti drammatico, cioè tra il 1917 e il
1927. Il primo conflitto mondiale stava per aver termine ma diverse correnti di
pensiero e manifestazioni d’arte avvertivano, come antenne particolarmente
sensibili ai mutamenti epocali, che l’Europa stava percorrendo strade senza via
d’uscita. Rouault affronta soggetti ai margini della vita, come nel caso dei
diseredati di ogni ordine e grado e delle prostitute. Ed è in questa atmosfera
che conosce le intelligenze cattoliche più sensibili di quel periodo non solo
in Francia, in modo particolare i coniugi Maritain e tutta “l’officina”
letteraria, filosofica e artistica che si ritrovava a casa loro.
Un duplice ancoraggio alle modalità dei contorni a vetrata e
al testo biblico sono evidenti nella serie del “Miserere”. La sequenza,
infatti, coniuga l’attualità sociale, spesso graffiante ed accusatoria, con
quella che una simpatica e pedagogica pubblicazione francese degli anni
Settanta ha definito “Giovinezza perenne dell’Antico Testamento”. Va anche
detto che l’artista non segue verso per verso il salmo, ma lo concepisce come
una mirabile sintesi che insieme lega il “De profundis” ai libri profetici.
Tragicamente sublime è il sarcasmo nella rappresentazione dei “signori della
guerra”, mentre l’eco dell’Espressionismo tedesco si fa palese nel soggetto “Il
cieco a volte ha consolato chi vede”.
La Vergine dell’Incarnazione, che corrisponde alla tavola
57, forma con il Figlio un blocco unitario, essenziale, senza accessori inutili
alla resa plastica e luminosa. Rouault concepisce i corpi per sezioni duttili e
tendenti alla curvilinea resa di massa evidenziata in accensione di bianco. In
questo c’è un richiamo alla scultura e alla pittura romanica e gotica,
soprattutto quella dei Crocifissi. Ma diversa, come panico cosmico che sembra
attendere una liberazione, è la messa in scena dell’evento. Si percepisce,
infatti, che l’intenzione e la resa formale intendono assumere la Storia. Pura fantasia
attributiva di significati? Non credo, se si guarda la centralità del blocco
compositivo, l’inclinazione del volto di Maria e le mani del Fanciullo che con
una mano non regge un giocattolo ma l’universo. E’ evidente che l’artista ha
inteso Maria come Madre di Dio redentore, che tutto raccoglie in una semplicità
seriale che solo la fede può afferrare, anche se esclusivamente attraverso
segni e non in chiara escatologica visione. In Rouault è esplicita
l’Incarnazione, che per lui significa autentica assunzione di ogni frammento
disperso. Non c’è niente che faccia pensare alla virtualità o ad una mera
accettazione del solo spirito: ogni gnosticismo è confutato non con la
dialettica delle parole teologiche, ma con la forza espressiva dell’arte. E’
ammirevole poi come il pittore ed incisore francese concepisca la luminosità:
se la crescita del bianco sullo sfondo nasce dalla terra e s’espande con
ineluttabile progressione, quello dei volti e dei corpi, ritagliato e
contornato secondo moduli di vetrata, ha una sua autonomia; per cui lo
scintillio oltre le colline è riverbero della gioia in natura coinvolta, mentre
quello della composizione santa è scritto ed inciso nell’elevazione corposa
della Madre e del Figlio. E’ teologia che è suggerita dall’intensità
dell’ispirazione di tutto il Miserere, che fa confluire molteplici tasselli
della storia verso un punto culminante. Si avverte anche, però, che non è solo
una quantificazione matematica, ma una qualità della Grazia che nasce dallo
Spirito e che raccoglie, inserendo alla carne del Bambino, la realtà del
passato, del presente e già prelude, come redenzione non parziale ma cosmica, a
cieli nuovi e nuova terra. All’interno del contesto di questa ammirevole serie
di incisioni, la Madre dell’Incarnazione custodisce il Figlio del suo grembo,
lo tiene tra le braccia ma quasi porgendolo in offertorio. Nell’attimo stesso
nel quale il Bambino mostra alla Madre il mondo, la Vergine china leggermente
il capo: è Madre e discepola insieme e crescerà nella fede che ha avuto inizio
nel giorno dell’Annunciazione. Che la terra di Palestina sia alla base della
composizione rettangolare non significa che non abbia rilevanza e che solo il
cielo che getta luce crei stupore, perché la densità dell’incontro tra le due
linee curve del morbido paesaggio hanno una concentrata presenza fisica. Non è,
quindi, questione di dimensioni l’importanza di alcuni elementi, ma
l’organicità e l’unitarietà dell’intera composizione.
D’innanzi a quest’opera di Rouault si sperimenta una pietas
non convenzionale ma, come sopra descritto, profondamente teologica.
Nell’ambito di quella che noi chiamiamo, per facilità di comprensione, “arte
sacra”, l’incisione del Miserere si distingue per originalità e per sincerità
di accenti. Certo, ci troviamo di fronte ad una forma che ci libera da proposte
edulcorate e di incerta fascinosità. L’incertezza, comunque, non nasce da possibili
bellezze, perché l’effimero dozzinale non può mai assurgere alla categoria del
bello, indipendentemente dai diversi e filosofici punti di osservazione
estetici. Liberati dall’affanno del piacevole a tutti i costi, l’opera di
Rouault si inserisce nell’area teologica delle parole dell’attuale Pontefice in
riferimento al Natale, perché ogni rumore funzionalistico e consumistico ha da
gioire di fronte all’oleografia proposta anche televisivamente come arte
religiosa. Questa è consumabile come
ogni prodotto destinato al successo rassicurante. Rouault ci rasserena nel
profondo e non nella superficie nella quale anche il Presepio è acquistato
accanto al panettone.
Franco Patruno (Dall’Osservatore Romano 25 Dicembre 2005)
[...]perché l’effimero dozzinale non può mai assurgere alla categoria del bello[...] ho estrapolato questa frase che rimane sempre un grande insegnamento
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