Art Déco
Gli anni ruggenti in Italia
L’Art déco o
arts déco, espressione francese (abbreviazione di arts décoratifs) usata per indicare uno stile affermatosi negli
anni Venti del Novecento in tutto il campo delle arti applicate (dalla grafica
all’arredamento), detto anche
<<stile 1925>> o <<stile anni Venti>>, fu una forma
d’arte colma di vita energica, eclettica, moderna ed internazionale.
Art Déco trasse
il nome e la consacrazione dalla grande Esposizione internazionale del 1925 a
Parigi, dedicata, alle << arti applicate e industriali moderne>>.
Per quanto concerne la grafica e le sue applicazioni, lo stile è caratterizzato
dalla predilezione per la linea circonvoluta ma secca, per gli andamenti
spezzati e angolosi, per i florealismi tendenti alla simmetria stilizzata e,
nella produzione di mobili e arredi come nell’architettura, per le forme
squadrate e geometriche. Determinante fu il contributo offerto alla definizione
dell’Art Déco dall’avanguardia astratta, cubista, futurista e costruttivista.
Se la genesi di molti stilemi Art Déco può essere ricondotta all’art nouveau
(secessione viennese e Wiener Werkstӓtten in particolare), lo stile 1925
se ne distingue sul piano delle motivazioni, abbandonando ogni pretesa di
socializzazione dell’arte e puntando su una produzione di lusso. Destinato alla
borghesia ricca e arricchita del dopoguerra, si afferma nella moda e nel
figurino
(si pensi al
sarto P. Poiret, alle stoffe e ai vestiti <<astratti>> di S.
Delaunay), nella grafica pubblicitaria e d’arte (la cui figura dominante fu
Erté), nell’arredamento, nell’oggetto decorativo, nei gioielli.
Centro di
diffusione ed elaborazione del gusto Art Déco fu la Francia, ma contributi
interessanti vennero anche dai paesi scandinavi e tedeschi, dagli Stati Uniti
(dove il fenomeno assunse vaste proporzioni e interessò anche il campo
dell’architettura come il grattacielo
Chrysler a New York (1928).
Dopo le
grandi rassegne dedicate al Novecento (2013)
e al Liberty in Italia (2014),
la
Fondazione Cassa di Risparmio di Forlì aggiunge un nuovo tassello alla
sistematica rivisitazione che va compiendo sulla produzione artistica italiana
nell’epoca segnata dalle Grandi Esposizioni internazionali e dal vitale ma
problematico rapporto tra arte e industria (Art
Déco. Gli anni ruggenti in Italia, Musei San Domenico, a cura di Valerio
Terraroli, fino al 18 giugno).(catalogo SilvanaEditore)
Un omaggio
ma anche un’immersione totale nelle mode e nei modi dello sfrenato ventennio
tra le due guerre (1919-1939), che riporta in auge un periodo complesso della
nostra storia, quando in Europa nasce una nuova tendenza del gusto che si
diffonde a ogni aspetto delle attività creative. L’Art Déco è uno stile che
fiorisce dalle ceneri delle sinuosità liberty, abbatte la fissità
dell’ideologia simbolista e costruisce un linguaggio razionale, puntato sul
progresso e il cambiamento.
Sebbene
affondi le sue radici nel tessuto internazionale, l’Art Déco viene trattata in
mostra con una declinazione soprattutto italiana.
Ma l’Italia
non è certo seconda nel farsi paladina del nuovo stile nel mondo, basti
ricordare che a Monza, a partire dal 1923, si tengono le prime biennali di arti
decorative aperte non soltanto agli specialisti e ai collezionisti di nicchia,
ma al largo pubblico, desideroso di dedicarsi a nuovi piaceri estetici dopo gli
anni cupi della Grande guerra. Il fenomeno attraversa il decennio 1919-1929 con
una produzione straordinaria di oggetti e forme decorative: dalle ceramiche di
Gio Ponti alle fantasiose oreficerie di Ravasco, gli arredi di Buzzi, Lancia,
Portaluppi e ancora di Venini, Fontana Arte e Martinuzzi. Dalle sete di
Fortuny, Ratti e Ravasi ai magnifici arazzi in panno con cromatismi
geometrizzanti di Depero. Per non parlare delle cosidette arti nobili, pittura
e scultura, che risentono del nuovo gusto espressivo ereditato delle Secessioni
mitteleuropee e dai movimenti d’avanguardia. Chi guarda a Klimt, chi a Picasso,
chi si applica alle invenzioni futuriste come Balla e Severini, chi invece
recupera l’antico attualizzandolo in forme novecentesche, per esempio Casorati,
Martini, Cagnaccio di San Pietro, Bocchi, Bonazza, Oppi e Metlicovitz.
Come nel
Liberty, anche nel Déco spesso la donna viene identificata come una sirena.
Vittorio Zecchin appare tra i più ispirati: nei suoi mosaici, arazzi e vetri di
Murano domina la donna-sfinge dallo sguardo fiammeggiante ispirata al tema
faraonico, in auge a partire dal 1920 in coincidenza con la scoperta della
tomba di Tutankhamon. Ma la regina del Déco è lei Tamara de Lempicka la
pittrice scappata dalla rivoluzione bolscevica.
La bellezza di Tamara, l’eleganza che l’ha sempre contraddistinta, la
sua vita mondana e romanzesca la rendono ancor oggi l’affascinante simbolo di
un’epoca, una sorta di icona del lusso e dello charme.
Le figure
ritratte da Tamara sono imponenti, monumentali, icone di un preciso momento
storico eppure astratte da ogni riferimento temporale, assolute e possenti come
statue antiche. Soprattutto nei nudi tutti femminili. I suoi ritratti di una solennità
nuova e modernissima che inquadrano personaggi belli e impassibili, lontani
dalla brutalità del reale, sono diventati icone di quel mondo meraviglioso e
affascinante in cui tutto, dall’automobile ai bicchieri, dai mobili ai piatti,
è espressione di uno stile eclettico, internazionale seducente.
Alla mostra
di Forlì, le “femmes fatale” dipinte da Lempicka: elegantissime e con una forte
carica erotica, anche quando sono vestite, o meglio avvolte in abiti
svolazzanti. Se si guarda il Ritratto di
Ira P., si può comprendere il suo modo di trattare la tela: innanzitutto lo
spazio è interamente occupato dal soggetto, che sembra addirittura starci
stretto, come accade in certi quadri tardomanieristici. Non c’è aria, non c’è
vuoto intorno, Tamara schiaccia le sue figure in una scatola che le contiene
appena.
Inoltre la
pittrice utilizza pochissimi colori: qui c’è una vera e propria sinfonia di
grigi e bianchi interrotti solamente dal rosso delle labbra, dalle unghie
laccate e dallo scialle. Tutto sembra fatto di una stessa materia metallica:
dai fiori che Ira P. tiene in mano al drappeggio della veste, fino alla fronte
investita da un fascio di luce.
Tamara è uno
dei capisaldi del Déco, ed è una donna seducente, con il trucco forte,
sfacciato, l’incarnato pallido, le ciglia pesanti, come la si vede nel celebre
autoritratto a bordo di una Bugatti verde, eseguito nel 1929 per la rivista
tedesca di moda “Die Dame”.
Della fatale
bellezza di Wally Toscanini si sapeva nella Milano altolocata degli anni Venti.
Nel ritratto che le fa Alberto Martini nel 1925 è presentata come la regina di
Saba, vestita di veli giallo oro, in pendant con un copricapo “esotico”
ispirato ai balletti russi di Djagilev.
Nei Musei di
San Domenico il dipinto gareggia in bellezza con i ritratti cesellati di Erté,
pseudonimo del designer di origine franco russo Romain de Tirtoff. La sua donna
déco ha l’aria spregiudicata, porta capelli a caschetto, à la garçonne, veste Chanel e Poiret,
s’ingioiella con bellissima bigiotteria, balla il charleston facendo tintinnare
lunghe collane e fuma con sottili bocchini d’avorio.
Maria Paola
Forlani
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