Bellini e i belliniani
Dall’Accademia dei
Concordi di Rovigo
Promossa dal
Comune di Conegliano e da Civita Tre Venezie, la mostra
Bellini e belliniani. Dall’Accademia
dei concordi di Rovigo a cura di Giandomenico Romanelli (catalogo Marsilio) prosegue le
esplorazioni sulle trasformazioni dei linguaggi della pittura veneziana e
veneta negli anni magici tra Quattro e Cinquecento.
Il più grande
rinnovatore della pittura veneziana di cui ricorre il quinto centenario della
morte è, certamente, Giovanni Bellini
(Venezia, 1425 – 30 – ivi, 1516), talvolta detto <<Giambellino >>.
Educatosi nella bottega paterna, egli sente
però il bisogno di più ampie
conoscenze, di
studi approfonditi sui maggiori artisti
apportatori di novità rinascimentali, sia su quelli che hanno lasciato tracce a
Venezia, come Andrea del Castagno nella Cappella
di San Tarasio in San Zaccaria, sia su quelli che operano fuori, da Piero
della Francesca e di Roger Van der Weyden (che può aver visti a Ferrara) al
Mantegna, i rapporti col quale si fanno poi più stretti per il matrimonio di
quest’ultimo con la sorella di Bellini, Nicolosia.
Dunque il
ceppo da cui proviene e prende le mosse è quello di Jacopo. Da lui, disegnatore
sublime e pittore di vaglia con incarichi ufficiali, nascono Gentile e
Giovanni. Ma già il fratello, egli pure Giovanni, è pittore, seppur di non
chiarissima sostanza. Anche il figlio di una sorella di Jacopo esercita la
professione, si tratta di quel Leonardo che si afferma come miniaturista di
gran classe.
Famiglia -
laboratorio, quindi anzi due. Se infatti Gentile, che sale a chiara fama
per le sue scene “storiche”, cioè i grandi teleri con le vite dei santi e gli
episodi di storia veneziana oltre che per la sua attività di ritrattista,
erediterà la bottega paterna. Giovanni ne apre una in proprio.
La
definizione di atelier, o laboratorio o bottega nasce proprio dal fatto che
quella dei Bellini dovette essere un’azienda ben strutturata, ricca di presenze
come aiuti, collaboratori, discepoli, allievi e garzoni, il cui ruolo e le
modalità di esercizio della comune professione si viene di recente illuminando
anche se ancora persistono incertezze e zone d’ombra che non sempre risulta
agevole dissipare. Chi faceva e cosa? Con quale grado di autonomia, con una
divisione del lavoro orizzontale o verticale?
Ѐ quello che i curatori e gli
studiosi si sono chiesti affrontando la questione proprio dei belliniani,
quindi l’insieme del mondo composito formatosi, da dentro o da vicino, attorno
al capo bottega, riprendendone, di certo con la sua approvazione e forse
collaborazione, moduli, tipologie, strutture compositive, linguaggio,
tematiche.
Per la
mostra di Conegliano i curatori lo hanno fatto partendo dalle collezioni della
pinacoteca annessa all’Accademia dei
concordi di Rovigo che formatasi per generosa donazione soprattutto dei conti
Casilini nel primo Ottocento, riflette con fedeltà il gusto e le mode
dell’epoca, anche nella riscoperta dei cosiddetti primitivi oltre che agli
artisti quattrocenteschi, una moda che ebbe proprio a Venezia, tra i suoi più
ascoltati seguaci, personalità tra loro agli antipodi sociali e culturali ma
convergendo in questo gusto collezionistico, quali Carlo Lodoli e Leopoldo
Cicognara.
Ecco allora
alle prese con personalità che escono dalla bottega di Bellini, ovvero che
questa bottega frequentano per poi affrancarsi, ovvero ancora che utilizzano
materiali di laboratorio (schizzi, disegni, modelli, cartoni, spolveri…) per
trarre copie o rielaborazioni dai prototipi belliniani.
I nomi sono
più o meno celebri oggi, ma non sono nomi da poco, non sono insomma, dei
dilettanti che si rivolgono alla pittura, ma personaggi ben inseriti in un
mercato che fu florido, articolato e con solidi legami con una committenza di
differente composizione e possibilità economiche. Lo si riscontra nei prodotti
finiti, con eccellenze e magari qualche caduta qualitativa.
I nomi:
Girolamo da Santacroce, Marco Bello, Nicolò Rondinelli, Pasqualino Veneto,
Francesco Bissolo, Bernardino Licino…Ma anche personalità della statura di
Andrea Previtali o, seppur di certo non belliniano in senso proprio, il grande
Palma il Vecchio, fino a Tiziano, che per quella bottega passò traendone tutto
il succo che ne poteva spremere. E forse non si può dimenticare che anche Cima
da Conegliano e Giorgione e Sebastiano del Piombo rappresentano altri possibili
esiti del magistero belliniano.
Nella
collezione rodigina spicca la raffinata tavoletta della Madonna con il Bambino, opera firmata dal maestro <<IOANNES BELLI /
NVS>>.
Giovanni
Bellini è considerato a ragione, l’inventore di immagini per la devozione
privata (Andachtsbilder), un genere
pittorico intimo che avrà enorme risonanza nella pittura veneta tra fine del
Quattrocento e la prima metà del secolo successivo. In particolare le sue Madonne con il bambino, così innovative
nello stile, anche se tradizionali nel soggetto e nel significato, diverranno i
soggetti più replicati da scolari ed epigoni. Dal sapore familiare e
coinvolgenti emotivamente, le Madonne belliniane si caricano di una valenza
simbolica allusiva al destino del Salvatore: il parapetto marmoreo sul quale il
Bambin Gesù viene adagiato anticipa sia il sepolcro che l’altare, evidenziando
così metaforicamente la funzione salvica ed eucaristica di Cristo.
Anche l’ Imago Christi, tra i modelli belliniani
per la devozione privata ebbe una particolare fortuna compositiva, soprattutto,
nel Cristo portacroce, documentata da
una serie di esemplari autografi e dalla ricca produzione degli artisti
operanti nell’orbita belliniana. L’esemplare rodigino appartiene alla
produzione tarda di Giovanni: la resa morbida della materia pittorica e la
trattazione atmosferica della luce sono il risultato delle contaminazioni con i
pittori della nuova generazione, in particolare con il tonalismo giorgionesco.
Il ritratto di straordinaria umanità che ci restituisce l’artista è teso a
concentrare la nostra riflessione sul volto sofferente di Cristo. Lo sguardo
intenso, magnetico, con gli occhi arrossati, esprime un dolore interiorizzato e
portato con estrema dignità. Superba è la resa della veste candida e luminosa
aperta sul collo e increspata sulle braccia.
Maria Paola
Forlani
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