Viaggio
verso l’immortalità
Mummie
Si è aperta la mostra “Mummie. Viaggio verso l’immortalità”, negli
spazi per mostre temporanee del Museo Archeologico Nazionale di Firenze fino al
2 febbraio 2020.
Il progetto della mostra è nato nel 2000, da un’idea di Maria
Cristina Guidotti, che ne è anche la curatrice scientifica, in occasione di uno
studio sulle mummie della sezione “Museo Egizio” del Museo Archeologico
Nazionale di Firenze eseguito dall’università di Pisa. La mostra, il cui
allestimento è stato curato da Contemporanea Progetti, grazie all’apporto di
Expona-museum exibition network ha viaggiato a lungo in diversi musei d’ Europa
e dal 2018 in molte città della Cina.
Gli oltre cento oggetti esposti, appartenenti tutti alle
collezioni della sezione “Museo Egizio” di Firenze, sono tornati ora nella loro
sede, dove il pubblico può ammirare i reperti che erano in gran parte
conservati nei magazzini del museo. Le opere in mostra, selezionate e
organizzate per illustrare sotto vari aspetti il rapporto degli antichi Egizi
con l’aldilà, annoverano dei pezzi di grande importanza. Tra di essi il
sarcofago di Padimut, caratterizzato da una ricchissima decorazione che
contraddistingue i sarcofagi della XXI e XXII dinastia (1069-656 a.C.), mai
esposto e mai studiato prima della mostra, la statua del sacerdote Henat, uno
dei pochi esempi di statua di un dignitario che indossa una veste persiana,
testimonianza del periodo in cui l’Egitto fu assoggettato al potente impero
persiano (525 – 404 a.C.), e ancora la testa mummificata recentemente
sottoposta a indagini radiografiche e TAC che hanno consentito la ricostruzione
del volto del defunto ( 656 -332 a.C. ) e la cassetta per ushabi (Piccole
statue del corredo funebre) di Nekhtamontu (1550-1070 a.C.).
L’esposizione illustra il concetto egizio della vita dell’anima
nell’aldilà e il significato di tutti quegli oggetti che nell’antico Egitto
venivano abitualmente deposti nelle tombe insieme al defunto. Per gli antichi
egiziani, infatti, la morte non determinava la fine della vita, ma costruiva un
momento di passaggio a un’altra forma di esistenza, che continuava nell’aldilà.
L’anima però per continuare a vivere aveva bisogno di tutta una serie di
accorgimenti e di oggetti che dovevano magicamente consentire la sopravvivenza
oltre la morte e, soprattutto, doveva reincarnarsi nel proprio corpo che, per
questo motivo, era conservato al meglio tramite pratiche di imbalsamazione del
cadavere che diventava così una mummia. L’argomento, di indubbio fascino, è
spesso trattato facendo leva sull’idea di mistero e sugli aspetti più macabri,
diffondendo delle idee inesatte sulle mummie egizie: nella mostra invece viene
presentato il procedimento dell’imbalsamazione dei corpi dal punto di vista
scientifico, in maniera chiara e comprensibile ma non per questo meno
interessante.
L’esposizione è organizzata in due parti: la prima dedicata al
concetto di sopravvivenza dell’anima e alla “mummificazione” del corpo del
defunto, la seconda parte dedicata agli oggetti che accompagnavano il morto
nella tomba. Quest’ultima è articolata in due sezioni, nelle quali si
presentano gli oggetti del corredo che avevano esclusivamente una funzione
funeraria (stele, ushabti, tavole d’offerta), e gli oggetti di vita quotidiana
che dovevano ricreare nella tomba la perduta esistenza del defunto
(abbigliamento, gioielli, mobilio di vario tipo).
La collezione del “Museo Egizio” di Firenze è la seconda in Italia
dopo quella del Museo Egizio di Torino. Si è formata soprattutto nel corso del
XIX secolo, in seguito alla famosa spedizione franco-toscana di Ippolito
Rossellini e di Jean Francçois
Champollion.
Nel 1828 partì, infatti, per l’Egitto la prima spedizione
scientifica, il cui scopo principale era la documentazione dei monumenti egizi,
e che riportò un notevole quantitativo di reperti molto importante distribuiti
tra il Louvre e il Museo di Firenze, cui spettò in particolare il famoso carro
rinvenuto in una tomba tebana della XVII dinastia (1550-1291 a.C.), un
esemplare unico al mondo appartenuto a un ricco privato, e i bassorilievi della
tomba di Sety I, una delle più belle e riccamente decorate della Valle dei Re.
Il Museo Egizio di Firenze nacque trent’anni dopo il 1856, presso
il convento delle Monache di Foligno, in via Faenza. Nel 1880 il Museo fu
trasferito nella sede attuale, insieme al Museo Etrusco: l’incarico del nuovo
allestimento fu dato al giovane egittologo Ernesto Schiapparelli, che lo decorò
in stile egizio. Nel 1894 Schiapparelli fu trasferito al Museo Egizio di Torino
e il Museo di Firenze non ebbe più un direttore per molti anni.
Nel 1939 il Museo ricevette in dono dall’Istituto Papirologico di
Firenze numerosi reperti provenienti dagli scavi nelle città di El Hibeh
(soprattutto sarcofagi) e di Antinoe (fra cui la importante collezione di
tessuti copti).
Attualmente le sue collezioni annoverano oltre 15.700 oggetti, che
vanno dall’epoca preistorica all’epoca copta, e da 11 sale che sono state
rinnovate quattro anni fa, quando a Firenze
Il progetto della mostra è nato nel 2000, da un’idea di Maria
Cristina Guidotti, che ne è anche la curatrice scientifica, in occasione di uno
studio sulle mummie della sezione “Museo Egizio” del Museo Archeologico
Nazionale di Firenze eseguito dall’università di Pisa. La mostra, il cui
allestimento è stato curato da Contemporanea Progetti, grazie all’apporto di
Expona-museum exibition network ha viaggiato a lungo in diversi musei d’ Europa
e dal 2018 in molte città della Cina.
Gli oltre cento oggetti esposti, appartenenti tutti alle
collezioni della sezione “Museo Egizio” di Firenze, sono tornati ora nella loro
sede, dove il pubblico può ammirare i reperti che erano in gran parte
conservati nei magazzini del museo. Le opere in mostra, selezionate e
organizzate per illustrare sotto vari aspetti il rapporto degli antichi Egizi
con l’aldilà, annoverano dei pezzi di grande importanza. Tra di essi il
sarcofago di Padimut, caratterizzato da una ricchissima decorazione che
contraddistingue i sarcofagi della XXI e XXII dinastia (1069-656 a.C.), mai
esposto e mai studiato prima della mostra, la statua del sacerdote Henat, uno
dei pochi esempi di statua di un dignitario che indossa una veste persiana,
testimonianza del periodo in cui l’Egitto fu assoggettato al potente impero
persiano (525 – 404 a.C.), e ancora la testa mummificata recentemente
sottoposta a indagini radiografiche e TAC che hanno consentito la ricostruzione
del volto del defunto ( 656 -332 a.C. ) e la cassetta per ushabi (Piccole
statue del corredo funebre) di Nekhtamontu (1550-1070 a.C.).
L’esposizione illustra il concetto egizio della vita dell’anima
nell’aldilà e il significato di tutti quegli oggetti che nell’antico Egitto
venivano abitualmente deposti nelle tombe insieme al defunto. Per gli antichi
egiziani, infatti, la morte non determinava la fine della vita, ma costruiva un
momento di passaggio a un’altra forma di esistenza, che continuava nell’aldilà.
L’anima però per continuare a vivere aveva bisogno di tutta una serie di
accorgimenti e di oggetti che dovevano magicamente consentire la sopravvivenza
oltre la morte e, soprattutto, doveva reincarnarsi nel proprio corpo che, per questo
motivo, era conservato al meglio tramite pratiche di imbalsamazione del
cadavere che diventava così una mummia. L’argomento, di indubbio fascino, è
spesso trattato facendo leva sull’idea di mistero e sugli aspetti più macabri,
diffondendo delle idee inesatte sulle mummie egizie: nella mostra invece viene
presentato il procedimento dell’imbalsamazione dei corpi dal punto di vista
scientifico, in maniera chiara e comprensibile ma non per questo meno
interessante.
L’esposizione è organizzata in due parti: la prima dedicata al
concetto di sopravvivenza dell’anima e alla “mummificazione” del corpo del
defunto, la seconda parte dedicata agli oggetti che accompagnavano il morto
nella tomba. Quest’ultima è articolata in due sezioni, nelle quali si presentano
gli oggetti del corredo che avevano esclusivamente una funzione funeraria
(stele, ushabti, tavole d’offerta), e gli oggetti di vita quotidiana che
dovevano ricreare nella tomba la perduta esistenza del defunto (abbigliamento,
gioielli, mobilio di vario tipo).
La collezione del “Museo Egizio” di Firenze è la seconda in Italia
dopo quella del Museo Egizio di Torino. Si è formata soprattutto nel corso del
XIX secolo, in seguito alla famosa spedizione franco-toscana di Ippolito
Rossellini e di Jean Francçois Champollion.
Nel 1828 partì, infatti, per l’Egitto la prima spedizione
scientifica, il cui scopo principale era la documentazione dei monumenti egizi,
e che riportò un notevole quantitativo di reperti molto importante distribuiti
tra il Louvre e il Museo di Firenze, cui spettò in particolare il famoso carro
rinvenuto in una tomba tebana della XVII dinastia (1550-1291 a.C.), un
esemplare unico al mondo appartenuto a un ricco privato, e i bassorilievi della
tomba di Sety I, una delle più belle e riccamente decorate della Valle dei Re.
Il Museo Egizio di Firenze nacque trent’anni dopo il 1856, presso
il convento delle Monache di Foligno, in via Faenza. Nel 1880 il Museo fu
trasferito nella sede attuale, insieme al Museo Etrusco: l’incarico del nuovo
allestimento fu dato al giovane egittologo Ernesto Schiapparelli, che lo decorò
in stile egizio. Nel 1894 Schiapparelli fu trasferito al Museo Egizio di Torino
e il Museo di Firenze non ebbe più un direttore per molti anni.
Nel 1939 il Museo ricevette in dono dall’Istituto Papirologico di
Firenze numerosi reperti provenienti dagli scavi nelle città di El Hibeh
(soprattutto sarcofagi) e di Antinoe (fra cui la importante collezione di
tessuti copti).
Attualmente le sue collezioni annoverano oltre 15.700 oggetti, che
vanno dall’epoca preistorica all’epoca copta, e da 11 sale che sono state
rinnovate quattro anni fa, quando a Firenze è stato ospitato l’XI Congresso
degli Egittologi.
M.P.F.
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