Pinocchio
Dal film di Matteo Garrone
La mostra dei
Costumi di Pinocchio di Massimo Cantini, dal film di Matteo Garrone sfilano,
nella loro bellezza al Museo del Tessuto fino al 25 ottobre 2020 (Catalogo
Silvana Editore).
La mostra
presenta oltre 30 costumi realizzati in collaborazione con la Sartoria Tirelli
di Roma per il film “Pinocchio” di Matteo Garrone, interpretato da un cast di
assoluta eccezione, con Roberto Benigni nei panni di Geppetto, Gigi Proietti di
Mangiafuoco, Rocco Papaleo e Massimo Ceccherini in quelli del Gatto e la Volpe.
Massimo Cantini Parrini – definito più volte dalla critica “l’archeologo della
moda” per la smisurata passione nello scovare e collezionare abiti d’epoca dai
quali spesso trae spunto per realizzare i suoi costumi per il cinema – è
l’unico costumista italiano ad aver vinto tre David di Donatello consecutivi
(2016 – 2018), oltre ad altri numerosi premi e riconoscimenti quali Nastri
d’Argento e Ciak d’oro.
Nel 2018 ha
ricevuto l’E.F.A. l’Oscar europeo come miglior costumista per il film Dogman di
Matteo Garrone.
Il suo curiculum
vanta collaborazioni illustri e internazionali: Il racconto dei racconti di
M. Garrone, The Wolly Family di Terry Gilliam, Opheliia di
Claire McCarty, E’ strano
chiamarsi Federico di Ettore Scola, Ella e John di
Paolo Virzì, Dogman di Matteo Garrone.
Ha collaborato
per oltre 10 anni come braccio destro del premio Oscar Gabriella Pescucci per
la produzione: I Miserabili, La
fabbrica di cioccolato di Tim Burton, I fratelli Grim di
Terry Gilliam. Non mancano al suo attivo importanti collaborazioni anche nel
mondo della moda.
Il percorso della
mostra è articolato in due sezioni: la prima dedicata al costumista, alle sue
fonti d’ispirazioni ed al suo lavoro creativo attraverso video, campioni di
tessuti, capi d’abbigliamento storici provenienti dalla sua straordinaria
collezione personale, utilizzati come fonti di ispirazione diretta per la
creazione degli abiti del film. La seconda parte presenta oltre trenta costumi
dei principali personaggi del film, accompagnati da immagini tratte dal film e
da alcuni, simbolici oggetti di scena.
Un altro elemento
di grande interesse per tutto il distretto del tessile-abbigliamento
rappresentato è nell’uso sapiente degli effetti di invecchiamento dei tessuti e
dei capi, ottenuti con tecniche artigianali di grande efficacia che
interpretano in modo straordinariamente “vero” il gusto vintage, che non cessa
mai di affascinare e ispirare la moda contemporanea.
Vestire una
storia è un’operazione creativa e manuale ad alto rischio. Soprattutto se la
storia ha l’ampiezza, la complessità, le risonanze, i significati nascosti e la
profonda ambiguità di Pinocchio.
Tra tutte le
fiabe Pinocchio è forse quella che nel mondo ha più coinvolto ed entusiasmato
gli adulti
. L’autore Carlo Lorenzini, in arte Collodi dal paese natale di sua madre, era già noto quando uscì il suo racconto a puntate pubblicato dal 7 luglio del 1881 sul Giornale per bambini di Ferdinando Martini. Il titolo fu semplice – Storia di un burattino – come lo furono le prime illustrazioni di Ugo Flores. La decisiva effige di Pinocchio apparve tuttavia nel volume del 1883, stampato presso l’editore Felice Paggi di Firenze, con disegni di Enrico Mazzanti, e su questa edizione si fonda l’iconografia scelta da Massimo Cantini Parrini e le atmosfere di Garrone, e a cui entrambi rimarranno fedeli. Nella storia Pinocchio “nasce” già grande, da un pezzo di legno, per opera di un artefice, suo padre Geppetto, di mestiere falegname Il corpo viene sagomato con l’ascia, strumento rituale per eccellenza, e Massimo Cantini Parrini ha riprodotto questo archetipo efficacemente. Nell’ottavo capitolo l’autore ci descrive l’abito del burattino, poiché vestirlo non sembra essere naturale conseguenza alla sua “venuta al mondo”. L’esigenza di abbigliarsi sorge a Pinocchio dopo che il padre gli ha appena rimesso i piedi bruciati: Per ricompensarvi di quanto avete fatto per me, - disse Pinocchio al suo babbo, - voglio subito andare a scuola.
. L’autore Carlo Lorenzini, in arte Collodi dal paese natale di sua madre, era già noto quando uscì il suo racconto a puntate pubblicato dal 7 luglio del 1881 sul Giornale per bambini di Ferdinando Martini. Il titolo fu semplice – Storia di un burattino – come lo furono le prime illustrazioni di Ugo Flores. La decisiva effige di Pinocchio apparve tuttavia nel volume del 1883, stampato presso l’editore Felice Paggi di Firenze, con disegni di Enrico Mazzanti, e su questa edizione si fonda l’iconografia scelta da Massimo Cantini Parrini e le atmosfere di Garrone, e a cui entrambi rimarranno fedeli. Nella storia Pinocchio “nasce” già grande, da un pezzo di legno, per opera di un artefice, suo padre Geppetto, di mestiere falegname Il corpo viene sagomato con l’ascia, strumento rituale per eccellenza, e Massimo Cantini Parrini ha riprodotto questo archetipo efficacemente. Nell’ottavo capitolo l’autore ci descrive l’abito del burattino, poiché vestirlo non sembra essere naturale conseguenza alla sua “venuta al mondo”. L’esigenza di abbigliarsi sorge a Pinocchio dopo che il padre gli ha appena rimesso i piedi bruciati: Per ricompensarvi di quanto avete fatto per me, - disse Pinocchio al suo babbo, - voglio subito andare a scuola.
-Bravo
ragazzo!
-Ma per
andare a scuola ho bisogno d’un po’ di vestito”.
È
significativo che il protagonista non chieda semplicemente un abito, bensì un vestito ovvero
qualcosa che può essere molto o poco, ma che deve essere consono a presentarsi
a scuola, ovvero a fare il suo ingresso nel sociale. Questo Massimo l’ha
ottenuto con l’’uso di vecchi tessuti trattati, un compromesso rispetto al
vestito di carta che sul set non avrebbe funzionato.
La narrazione
continua:
“Geppetto,
che era povero e non aveva in tasca nemmeno un centesimo, […]
un paio di scarpe di scorza di albero e un berettino di midolla di pane.
Pinocchio
corse subito a specchiarsi in una catinella piena d’acqua e rimase così
contento di sé, che disse pavoneggiandosi:
L’atto
di specchiarsi, e quindi la volontà di prendere coscienza della propria effige,
avviene solo di conseguenza all’abito, prima non v’è traccia della curiosità di
“vedersi”, è quindi la veste a indurlo a considerare la sua apparenza.
A
questo punto giunge il borghese avvertimento: “Davvero”
– replicò Geppetto – “Perchè, tienilo a mente, non è il vestito
bello che fa il signore, ma è piuttosto il vestito pulito”
M.P.F.
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