Silencio
Vivo
Artiste
dall’America Latina
Una delle forme dell’ingiustizia verso le donne è il
servirsi dell’attivazione di esclusione dalla vita artistica e politica senza
riguardi, e cioè riportare le donne alla loro identità di genere in un contesto
artistico, filosofico, politico, dove è decisamente e direttamente in gioco, la
comune appartenenza alla specie umana.
L’esclusione delle donne nei luoghi e momenti in cui sono
in questione “le ultime cose” (domande sui destini del mondo e i rischi vitali,
su principi metafisici, fedi religiose, ricerca artistica). C’è, però, un
ultimo aspetto da considerare, lo sperimentalismo metafisico fa dell’arte (al
di là delle sue vicende istituzionali) il luogo ideale per precisare
ulteriormente i contenuti di quella struttura regolativa o idealtipica che è il
predicato “essere una donna”. Se è
vero che si diventa donne in situazioni in cui sono in gioco (in positivo o in
negativo) la differenza sessuale e/o quella culturale, resta ancora da vedere
quale sia lo specifico contenuto di questa attivazione. Che cosa sono le donne
quando cercano di fare arte, filosofia, politica, letteratura, musica, sapendo
di doversi misurare con le specifiche difficoltà (pregiudiziali o effettive)
che riguardano ogni donna, appunto, nell’arte, in filosofia, in politica…?
Credo che la risposta sia fondamentalmente una sola: una
donna è quel che sarebbe in un mondo in cui le donne non sarebbero
discriminate, assoggettate, offese.
Il “femminile” si realizza nel momento in cui cerchiamo
di immaginare un mondo in cui le donne, in ogni campo e luogo, avrebbero il
normale diritto di essere ascoltate. Solo in relazione a questo mondo possibile
esistono politicamente soggetti femminili; solo questo mondo, che l’arte può
già costruire immaginativamente, e che ha già in parte iniziato a costruire, è
il termine di confronto ideale.
Fino al 12 giugno 2016, è tornato al Padiglione d’Arte
Contemporanea di Ferrara la
Biennale
Donna, con la presentazione della collettiva Silencio Vivo. Artiste dell’America Latina,
curata da Lola Bonora e Silvia Cirelli.
Organizzata dall’UDI – Unione Donne in Italia di Ferrara
e dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara, la rassegna si
conferma come uno degli appuntamenti più attesi del calendario artistico e dopo
la forzata interruzione del 2014, a causa del terremoto che ha colpito Ferrara
e i suoi spazi espositivi, può ora riprendere il percorso di ricerca ed
esplorazione della creatività femminile internazionale.
Da sempre attenta al rapporto fra arte e la società
contemporanea, la Biennale Donna vuole concentrarsi sulle questioni
socioculturali, identitarie e geopolitiche che influenzano i contributi
estetici dell’odierno panorama delle donne artiste. In tale direzione, la
rassegna di quest’anno ha scelto di spostare il proprio baricentro sulla
multiforme creatività latinoamericana, portando a Ferrara alcune delle voci che
meglio rappresentano questo eccezionale pluralità espressiva: Anna Maria Molino
(italia-Brasile, 1942), Teresa Margolles (Messico, 1963), Anna Mendieta (Cuba 1948 – Stati Uniti 1985) e Amalia Pica (Argentina, 1978).
Silencio
Vivo riscopre le contaminazioni nell’arte di temi di grande
attualità, interrogandosi sulla realtà latinoamericana e individuandone le
tematiche ricorrenti, come l’esperienza dell’emigrazione, le dinamiche
conseguenti alle dittature militari, la censura, la criminalità, gli equilibri
sociali fra individuo e collettività, il valore dell’identità o la fragilità
delle relazioni umane.
L’esposizione si apre con l’eclettico contributo di Ana Mendieta, una delle più incisive
figure di questo vasto panorama artistico. Nonostante il suo breve percorso
(muore prematuramente a 36 anni, cadendo dal 34simo piano del suo appartamento
di New York), Ana Medieta si conferma ancora oggi, a 30 anni dalla sua
scomparsa, come un’indiscussa fonte di ispirazione della scena internazionale.
La Biennale Donna le rende omaggio con un nucleo di opere che ne esaltano
l’inconfondibile impronta sperimentale, dalle note Siluetas alla documentazione fotografica delle potenti azioni
performative risalenti agli anni’70 e primi ’80. Al centro, l’intreccio di temi
a lei sempre cari, quali la costante ricerca del contatto e il dialogo con la
natura, il rimando a pratiche rituali cubane, l’utilizzo del sangue – al
contempo denuncia della violenza, ma anche allegoria del perenne binomio
vita/morte – o l’utilizzo del corpo come contenitore dell’energia universale.
Il corpo come veicolo espressivo è una caratteristica riconducibile
anche ai primi lavori della poliedrica Anna
Maria Maiolino, di origine italiana ma trasferitasi in Brasile nel 1960,
agli albori della dittatura. L’esperienza del regime dittatoriale in Brasile e
la conseguente situazione di tensione l’hanno influenzata profondamente,
spingendola a riflettere su concetti quali la percezione di pericolo, il senso
di alienazione, l’identità di emigrante e l’immaginario quotidiano femminile.
In mostra è presente una selezione di lavori che ne
confermano la grande versatilità, dalle sue celebri opere degli anni ’70 e ’80
– documentazioni fotografiche che lei definisce “photopoemaction”, di chiara
matrice performativa – alle recenti sculture e installazioni in ceramica, dove
emerge la stretta connessione con il quotidiano, in aggiunta, però,
all’esplorazione dei processi di creazione e distruzione ai quali l’individuo è
inevitabilmente legato.
Di simile potenza suggestiva, ma con una particolare
attitudine al crudo realismo, la poetica di Teresa Margolles testimonia le complessità della società messicana,
ormai sgretolata dalle allarmanti proporzioni di un crimine organizzato che sta
lacerando l’intero paese e soprattutto Ciudad Juàrez, considerata uno dei
luoghi più pericolosi al
mondo. Con una grammatica stilistica minimalista, ma d’impatto quasi prepotente sul piano concettuale, i lavori della Margolles affrontano i tabù della morte e della violenza, indagati anche in relazione alle disuguaglianze sociali ed economiche presenti attualmente in Messico. Le installazioni che l’artista propone alla rassegna ferrarese – fra cui Pesquisas, realizzata appositamente per la Biennale Donna – svelano un evidente potere immersivo, che forza lo spettatore ad assorbire e partecipare al dolore di una situazione ormai fuori controllo, troppo spesso taciuta e negata dalle autorità locali.
Il percorso della mostra si chiude poi con la ricerca di Amalia Pica, grande protagonista
dell’emergente scena argentina. Utilizzando un ampio spettro di media – il
disegno, la scultura, la performance, la fotografia e il video – l’artista si
sofferma sui limiti e le varie declinazioni del linguaggio, esaltando il valore
della comunicazione, come fondamentale esperienza collettiva. Le sue opere si
fanno metafora visiva di una società segnata dall’ipertrofia della
comunicazione, un fenomeno diffuso che sempre più di frequente conduce
all’equivoco e all’alienazione, invece che alla condivisione.
Maria Paola Forlani
Nessun commento:
Posta un commento