Sigmar Polke
Si è aperta fino al 6 novembre 2016 a Palazzo Grassi la
prima esposizione retrospettiva dedicata in Italia a Sigmar Polke (1941 –
2010).
La mostra ideata da Elena Geuna e Guy Tosatto, direttore
del musée de Grenoble, in stretta collaborazione con The Estate of Sigmar
Polke, ripercorre tutta la carriera dell’artista, dagli anni sessanta del
Novecento agli anni 2000, illustrando le diverse sfaccettature della sua
pratica artistica attraverso quasi novanta opere provenienti dalla collezione
Pinault e da numerose collezioni europee pubbliche e private.
La manifestazione si inscrive nella programmazione di
Palazzo Grassi, che ospita alternativamente esposizioni tematiche basate sulla
collezione Pinoult e monografie di grandi artisti contemporanei, e celebra nel
2016 una doppia ricorrenza: il decennale della riapertura di Palazzo Grassi a
opera di François
Pinault e il trentesimo anniversario della partecipazione di Sigmar Polke alla
Biennale di Venezia nel 1986, per la quale ricevette il Leone d’Oro.
Sigmar Polke, figura artistica fondamentale degli ultimi
quarant’anni, ha profondamente rinnovato il linguaggio pittorico della fine del
XX secolo.
Ciò che l’opera dell’artista riconosceva, fuori da ogni
percezione e agire della Pop Art, – e a cui di conseguenza rispondeva – era il
fatto che gli spazi e le pareti del “cubo bianco” (in senso percettivo) erano
di fatto che gli spazi e le pareti istituzionali e di interessi economici che
erano stati rimossi dalla neutralità di uno spazio fenomenologico in cui il
soggetto costituirebbe la propria libertà nei suoi atti di pura percezione.
All’inizio della sua ricerca può essere parso difficile riconoscere che la
radicalità enfatica dell’opera fosse rafforzata da un quasi etereo rifiuto di
quelli che potevano tradizionalmente essere visti come i compiti dell’estetica.
Così si poteva sostenere che Polke operava all’interno di una forma altamente
contraddittoria, per non dire aporetica, di modernismo malinconico, che cercava
di redimere l’utopismo radicale dell’astrattismo avanguardista, piangendo sul
luogo della sua devastazione irreversibile. Ma nella stessa misura in cui la
sua opera cede la propria
organizzazione strutturale e formale nel suo
complesso ai principi dominanti dell’amministrazione sociale, nell’apparenza
stessa di un’affermazione della totalità di questi principi come uniche forme
valide che realmente strutturano l’esperienza, l’estetica, nella sua radicale
negazione, raggiunge un’imprevista trascendenza.
L’esposizione inizia presentando per la prima volta nel
patio centrale di Palazzo Grassi Axial
Age (2005 – 2007), ciclo monumentale di sette dipinti (fra cui un trittico)
esposto nel Padiglione centrale della Biennale nel 2007. Questo capolavoro
affascinante, vero proprio testamento
artistico di Polke, evoca l’intreccio originale tra visibile e invisibile e le
differenze tra pensiero e percezione, facendo sempre riferimento alla teoria
dell’amato filosofo tedesco Karl Jaspers (1883-1967) sull’età assiale.
La mostra si sviluppa poi sui due livelli del palazzo
secondo un percorso cronologico a ritroso, dalla fine degli anni 2000
all’inizio degli anni sessanta, disseminato di cicli eccezionali come Strahlen Sehen (2007), serie di cinque
dipinti sulla visione e i suoi ostacoli, Hermes
Trismegistos (1995), magistrale evocazione in quattro parti del fondatore
dell’alchimia, Magische Quadrate (1992),
sette variazioni madreperlate sui quadrati magici e sui pianeti (1988-1992),
composto da sei pannelli dipinti sul recto e sul verso in cui il quadro si fa
vetrata o Negativwerte (1982), tre
dipinti viola intenso tossico. Queste opere permettono di cogliere per intero
l’ambizione della pratica di Sigmar Polke sulla tematica dell’alchimia delle
forme e dei colori a partire dall’inizio degli anni ottanta.
Il suo gusto per la sperimentazione della materia
pittorica si manifesta anche nei piccoli formati con la serie dei Farbprobe, summa di tutte le possibilità
in termine di mescolanza di materiali eterogenei, così come emerge il suo
piacere nel giocare con le immagini secondo modalità diverse: manipolandole
come nelle trasparenze di Picabia (Alice
in Wunderland, 1972) o frammentandole grazie all’ingrandimento della trama
fotografica (Man fütter die Hühner, 2005).
Un piacere del gioco che, nell’artista, è sempre sinonimo di umorismo e
leggerezza.
Insieme a queste opere aperte su ciò che si trova oltre
le apparenze, dove figurazione e astrazione si confondono, l’artista, fedele
all’approccio critico nei confronti della società contemporanea adottato fin
dagli esordi, continua a realizzare dipinti dalla forte connotazione
storico-politica. Il percorso espositivo ne riunisce alcuni fra i più
rappresentativi, come Polizeichwein (1986),
e Amerikanich-Mexikanische Grenze (1984),
incentrati rispettivamente sulle forze dell’ordine e sui campi di
concentramento e Schiesskebab (1994)
sulle guerre fratricide della ex Jugoslavia…
Alcune opere aventi per soggetto la Rivoluzione Francese,
come Jeux d’enfants (1988) o Message de Marie-Antoinette
à la
Conciergerie (1989), evocano il rapporto di Sigmar Polke con la Storia.
Gli anni settanta sono rappresentati da un’importante
selezione di lavori che illustrano sia la frenesia iconoclasta di Polke in
questo periodo – come Cameleonardo da
Willich (1979) con la sua
sovrapposizione di caricatura e fumetto – sia la sua volontà di sperimentare
tecniche pittoriche a 360 gradi: ne sono esempio Untitled (1970-1971) e la
sua fioritura cromatica o indianer mit
Adler (1975), con i dipinti metallizzati realizzati con la vernice spray e
l’utilizzo delle sostanze psicotrope più diverse cui rimandano i funghi di Alice im Wunderland, 1972.
Al termine del percorso espositivo, infine, gli anni
sessanta fanno luce sulla genesi di quest’arte fuori dal comune. In Telepathische Sitzung II (William Blake –
Sigmar Polke, 1968) emerge l’interesse per fenomeni paranormali già
manifestato dall’artista, mentre la celebre Kartoffelhaus
(1967/1990),
un capanno da giardino costellato di patate, attesta in
particolare il suo gusto per l’assurdo e i suoi legami con Fluxus. La sua attenzione si focalizza sulla pittura con la messa a
nudo dei meccanismi dell’immagine fotografica nei dipinti basati sulla trama di
quest’ultima,
Interieur
(1966) o Vase II (1965),
gli ammiccamenti all’estetica del Kitsch, con Reiherbild (1968), o alle manie della modernità con Bohnen (1964) o Lampionblumen, 1966.
A completare la grande esperienza di uno dei più grandi
collezionisti di arte contemporanea, François Pinault (1936), si è aperta a
Punta della Dogana
fino al 20 novembre 2016
“Accrochage”, una mostra
collettiva a cura di Caroline Bourgeois.
Il titolo rispecchia la scelta di presentare una
selezione di lavori appartenenti, appunto, alla Pinault Collection, includendo
artisti contemporanei riconosciuti e talenti emergenti, senza imporre un punto
di vista. Il visitatore è invitato a interpretare ogni opera con la propria
sensibilità, scoprendo, lungo le sale espositive, i rimandi tra le opere.
Maria Paola Forlani
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