RESTAURO
2016
La “Rivoluzione del Museo” Tra Eclissi e
Rinascita della Cultura?
La religione dell’arte ha i suoi proseliti e i suoi
luoghi di culto: i musei. Destinati a ospitare la bellezza, essi stessi
divengono spesso belli ancor più delle opere che ospitano, non solo per
l’insieme delle collezioni, ma per il connubio delle stesse con l’architettura,
la luce, lo spazio, la decorazione e l’atmosfera dell’ambiente.
Questa capacità dominante dell’architettura o comunque
del luogo è stata particolarmente percepita nell’epoca contemporanea, dando
luogo alla costruzione di edifici nei quali il progetto architettonico prevale
sulle opere che contiene.
L’esempio culminante tra molti è il Museo Guggenhem di
Bilbao di Frank Gehry.
Ma tra i musei del passato (la cui qualità architettonica
peraltro è sempre rilevante)
Ve ne sono alcuni, non pochi, il cui fascino non proviene
solo dall’architettura o solo dalle opere, bensì dal felice rapporto del
contenitore e del contenuto. L’importanza delle modalità espositive è sempre
stata sentita e lo è sempre di più.
Sta anzi divenendo una disciplina a sé stante e nel
visitare una esposizione non si giudica più soltanto le opere esposte, ma
anche, talvolta soprattutto, il modo in cui sono esposte. Autore (o autori),
regia (o sceneggiatura) e scenografia assumono quindi pesi quasi equivalenti,
in una esposizione o un museo come in uno spettacolo teatrale.
Luoghi di contemplazione, i musei risentono dell’aura
mistica di luoghi in qualche modo sacri: cattedrali dell’arte, monasteri di
bellezza.
E nei casi frequenti in cui essi furono dapprima abitazioni di collezionisti o di artisti riescono a documentarci anche una condizione di vita perduta, assumendo uno straordinario significato storico ed
E nei casi frequenti in cui essi furono dapprima abitazioni di collezionisti o di artisti riescono a documentarci anche una condizione di vita perduta, assumendo uno straordinario significato storico ed
evocativo che sarebbe pressochè impossibile ricostruire.
Il museo spesso, è stato detto, è l’orfanotrofio delle opere d’arte, nate per
altre destinazioni, ed esse sopravvissute e quindi <<ricoverate>>
per la loro protezione e visibilità. Malgrado questo traumatico cambiamento di
vita, talora esse riescono a ristabilire nel nuovo ambiente collettivo e
onnivalente un armonioso quanto miracoloso rapporto e a ricostruire l’aura del
luogo d’origine palazzo, chiesa, casa, atelier e così via. Non a caso, spesso
erano e sono edifici storici a venire adibiti a musei.
Il convegno, nell’ambito del progetto internazionale “La
città dei musei” (a cura di Letizia Caselli). Pone il problema come il museo
dinamico possa essere proteso alla ricerca.
La città della ricerca presentato nel 2015, si propone di
affrontare in modo costruttivo e propositivo l’argomento della ricerca nei
musei con alcuni puntuali riflessioni. Il recente decreto dei musei ha
riorganizzato il sistema museale italiano dal punto di vista amministrativo e
giuridico con la costituzione di venti musei autonomi e di una rete di
diciassette Poli regionali che dovrà favorire il dialogo continuo fra le
diverse realtà museali pubbliche e private del territorio, ma ha affondato le
radici in problemi complessi e di lunga data.
Una riforma che ha suscitato non poche reazioni di
perplessità, quando non di aperta contrarietà sia da parte di esperti della
cultura italiana sia di alcune componenti degli stessi apparati ministeriali.
Le “antiche” e diverse questioni riguardano innanzitutto
il ruolo, la funzione e lo status effettivo dell’istituto museale, la sua
autonomia scientifica e formativa, in un momento di debolezza e cambiamento del
concetto tradizionale di cultura e delle categorie culturali. Nonché in un
contesto di risorse drasticamente ridotte, personale scientifico insufficiente,
terziarizzazione spinta non solo dei servizi ma anche della produzione
culturale.
Ѐ
necessaria una nuova visione. Visione in cui istituzioni, università e musei
dovranno innanzi tutto formarsi e formare per poter affrontare una realtà in
cui sono richieste figure diversamente formate da quelle di oggi, in cui vanno
declinati e focalizzati modi specifici di ricerca poi condivisi tra Paesi
diversi, in allineamento con le tendenze che si stanno affermando nelle
principali città europee anche in funzione di finanziamenti e progetti
concreti.
Ma il convegno di “La città dei musei. Le città della
ricerca” ha risentito, nel dibattito e nelle relazioni, di tutte le ambiguità
della nuova riforma e della pesante alleanza con il privato per il recupero di
nuove risorse, auspicate dal ministro come ‘unica salvezza’ del patrimonio
artistico. In realtà le sedicenti verità sui privati, spesso privi di finalità
umane e di vera crescita, si scontrano con il metro della Costituzione. Visto
l’articolo 9, e i suoi nessi con gli altri principi sui quali è stata fondata
la Repubblica, ha spaccato in due la storia dell’arte, rivoluzionando il senso
del patrimonio culturale.
La Repubblica tutela il patrimonio per promuovere lo
sviluppo della cultura attraverso la ricerca (art.9): e questo serve al pieno
sviluppo della persona umana, e alla realizzazione di una uguaglianza
sostanziale (art.3).
Oltre al significato universale del patrimonio, questo
sistema di valori ne ha creato uno tipicamente nostro: il patrimonio appartiene
a ogni cittadino – di oggi e di domani, nato o immigrato in Italia – a titolo
di sovranità, una sovranità che proprio il patrimonio rende visibile ed
esercitabile. Il patrimonio ci fa nazione
non per via di sangue, ma per via di cultura e, per così dire, iure soli: cioè attraverso
l’appartenenza reciproca tra cittadini e territorio antropizzato. Perché questo
altissimo progetto si attui è necessario, però, che il patrimonio culturale
rimanga un luogo terzo, cioè un luogo sottratto alle leggi del mercato. Il patrimonio culturale non può essere messo
al servizio del denaro perché è un luogo dei diritti fondamentali della
persona. E perché deve produrre cittadini: non clienti, spettatori o sudditi.
La conoscenza è l’unica medicina capace di curare, fermare, forse vincere
questa epidemia di disumanizzazione. Nella nuova riforma Franceschini, il
dominio dei privati è destabilizzante, i nuovi direttori come reali ‘dittatori’
senza nessun approccio reale con le sovrintendenze (ormai sparite), creano
fantasmi nei collaboratori silenziosi, il più giovani privi di possibilità di entrare come
veri protagonisti di una vera collaborazione o “ricerca” retribuita, ma restano sudditi senza
possibilità di uno spiraglio di un lavoro in prospettiva.
I privati hanno creato, spesso, vere dispersioni di
capitali e oltraggi architettonici ormai incurabili. Mi riferisco alle violenze
strutturali della dimora del conte Vittorio Cini, in via Santo Stefano a
Ferrara, che ha perduto i suoi contorni medioevali per la bramosia di
‘ipotetici’ acquirenti della diocesi che hanno trasformato un luogo di cultura
e d’arte in un ambiguo ‘condominio’, mentre le biblioteche e la collezione d’arte sono scomparse….
Maria Paola Forlani
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