Ferro, Fuoco, Sangue
Vivere la Grande Guerra
La mostra Ferro, Fuoco, Sangue. Vivere la Grande
Guerra promossa e concepita dai Musei Civici di Vicenza di Palazzo
Chiericati, grazie al Museo del Risorgimento diretto da Mauro Passerin, che ne
è l’ideatore e il curatore, aperta fino al 26 febbraio 2017, (catalogo
SilvanaEditoriale), immerge il visitatore dentro quella terribile pagina della
storia mondiale. Nessun intento “celebrativo”, nessuna carrellata di
“memorabilia”. In questa mostra ci sono “solo” potentissime, stranianti
immagini di oggi. Realizzate da Giuliano
Francesconi secondo i più sofisticati canoni dello still life, esplose a grandissime dimensioni. Immagini scabre,
rugginose, vere.
avvolgono e
sovrastano il visitatore, sapientemente inserite da Mario Zucchetta in uno
spazio sotterraneo. Ѐ uno spazio di Palladio e quindi bellissimo. Come erano
bellissime certe giornate in alta quota sulle montagne del vicentino. Uno
spazio protettivo ma aperto, esattamente come lo erano i dedali di trincee che
solcavano le balze dei monti dai nomi tragicamente celebri: Ortigara, Pasubio,
Cimone, Cengio, Grappa…
Certo qui
non c’è il fango, non aleggia il fetore degli escrementi e dei corpi in
putrefazione, non si gela dal freddo, non si crepa di fame e di sete, non
aleggiano nuvole di gas asfissiante. Non si è riparati e costretti da file di
reticolati. Soprattutto qui non si consumano corpo e anima nell’attesa di un
ordine che ogni volta può essere l’ultimo. Qui, nel ventre più segreto del
sontuoso Palazzo Chiericati, nella città Gioiello del Rinascimento, regna il
silenzio. Allora ogni sibilo, ogni boato, poteva significare la fine.
Eppure
questa mostra ha una potenza evocativa che forse nessuna altra del Centenario è
riuscita ad ottenere. Forse perché nessuna mostra come questa è nata dal ventre
– martoriato e rappacificato – della terra, per esplodere nell’arte.
Questa è una
mostra di emozioni, di verità, che – come opportunamente sottolinea il
sottotitolo – fanno realmente “Vivere la Grande Guerra”. Ѐ una mostra che ti sommerge,
inquieta, che non lascia indifferenti perché trasforma una “epopea”, conosciuta
dai più solo attraverso i libri di storia, in quello che la guerra in realtà
fu: “Ferro, Fuoco e Sangue”. E Morte, desolazione, violenza fisica e psicologica.
“Capire
l’Europa del 1914 – ’18 è indispensabile per intendere quella del 2016. Non è
possibile capire se cammini eretto là dove loro sono andati strisciando come
vermi. Non puoi, se porti scarpe asciutte e vestiti puliti" E qui è
evidente la terribile verità dell’affermazione di Paolo Rumiz.
Per questa
mostra molti volontari si sono spinti tra Pasubio, Altipiano e Grappa, là dove
la guerra fu più feroce, per raccogliere ciò che la terra, disgelo dopo
disgelo, continua a restituire.
Per anni
sepolti nella terra intrisa di sangue, queste disiecta membra, così offese e irrimediabilmente segnate dal tempo,
inizialmente prive di una propria fisicità, sono state riunite, guardate,
osservate e studiate dallo storico – Mauro Passarin – e dall’artista – Giuliano
Francesconi – e infine accordate e associate secondo la conoscenza e la
sensibilità di entrambi.
Sono schegge
di quei campi di battaglia, che ancora a distanza di un secolo lasciano
germogliare come stelle alpine, boccioli di granate e di gavette, come una
nuova fioritura dopo il disgelo; come se la guerra fosse definitivamente
entrata nel processo naturale di quei luoghi.
I materiali,
tutti frammenti di oggetti utilizzati durante il primo conflitto mondiale e
raccolti sulle montagne vicentine, sono dal fotografo restituiti al
contemporaneo con straordinaria sensibilità, con un’armonia e una bellezza che
induce a meditazioni
e a
riflessioni profonde sugli errori-orrori della guerra. L’artista, con la sua
macchina fotografica ha riscattato quegli oggetti, prelevando dal loro nullo
potenziale una nuova dimensione, un significato forse inedito che aiuta a
scardinare la storia e a farci entrare nelle viscere delle trincee.
Questi
oggetti dilaniati dalla guerra rompono allora ogni legame con l’uso cui erano
destinati, per essere trasfigurati in qualcosa al di fuori del tempo e dello
spazio convenzionale, impongono qui la loro singolarità offrendo al pensiero
nuovi spunti e informazioni
Questi
frammenti: maschere antigas, matasse di reticolati, spuntoni, tubi esplosi
dalla nitroglicerina, un cucchiaio formato da un proiettile, pinze per tagliare
i reticolati, gli occhialini contro il riverbero della neve, vecchie suole di
scarponi, baionette, elmetti deformati, una fila di piccole bottiglie che il
fuoco nemico non ha rotto ma piegato…oggetti qualunque, esplosi in mostra a
grandissime dimensioni, trascinano il visitatore in un mondo altro, popolati di
potenti, terribili “fantasmi”
Di ferro e
fuoco. Un mondo che ha intriso di sangue le pietre di queste montagne e segnato di rosso i ghiacciai e la neve di
questi luoghi.
Da una frase
scolpita sulla parete all’ingresso di una galleria nel Castelletto della
Tofana: “Tutti avevamo la faccia del Cristo sulla livida aureola dell’elmetto.
Tutti portavano l’insegna del supplizio della croce della baionetta, nelle
tasche il pane dell’ultima cena e nella gola il pianto dell’ultimo addio”.
Maria Paola
Forlani
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