Pietro Paolo
Rubens
E la nascita
Del Barocco
A
Milano nei saloni nobili di Palazzo
Reale si è aperta, fino al 26 febbraio 2017, la mostra Pietro Paolo Rubens e la nascita del Barocco, a cura di Anna Lo
Bianco (catalogo Marsilio).
Per Rubens
(Siegen 1577 – Anversa 1640) l’arte è la forma visibile di una struttura
unitaria che stringe l’uomo e il mondo, la storia collettiva e l’esistenza
degli individui. Una struttura governata da due autorità entrambe legittime e
necessarie, l’autorità del sovrano e quella della Chiesa. Due poteri al
servizio dei quali egli lavorò e produsse per tutta la vita, in questo tanto
simile a Bernini e a Velàzquez e sideralmente distante da grandi suoi
contemporanei come Rembrandt o Vermeer.
Con Bernini
e Rubens il barocco riceve la sua consacrazione, con loro giunge al culmine.
Soltanto Rubens e Bernini, in un momento della storia lacerato e convulso quale
fu quel secolo, riescono a fondere la tradizione religiosa del Medio Evo, la
cultura figurativa dell’Umanesimo, l’idealizzazione allegorica del potere.
Se per
Bernini questo appare quasi naturale, nel contesto del secolare rapporto fra
arte e Chiesa a Roma, per Rubens si tratta di una scelta fra diverse, possibili
opzioni.
I Paesi Bassi erano infatti lontani dalla sede del Papato, la
borghesia finanziaria e mercantile vi occupava un ruolo ben più elevato che a
Roma e nell’Italia tutta, e la pittura cominciava a rivolgersi al consumo
privato, a diversificarsi in generi, a specializzarsi e a rimpicciolirsi nelle
dimensioni e nelle intenzioni. Rubens avrebbe potuto diventare un ritrattista,
un paesaggista, un pittore di storia o di nature morte o il cronista arguto
della vita fiamminga. Sceglie invece la strada della totalità e decide di
essere tutto: decoratore e ritrattista, pittore di storia e di fede, creatore
di un universo visivo e concettuale che non ammette fratture, gerarchie di
valore e di manifestazioni. Questa la sua grandezza, questa la radice della sua
straordinaria personalità, anche umana, nel contesto dell’arte fiamminga, che
con Rubens esce dai propri confini e dilaga per tutta Europa, ponendo semi
della stagione decorativa che troverà in Giambattista Tiepolo l’estremo,
sublime interprete.
Per rendere
chiaro e lineare questo tema complesso la curatrice della mostra, ha
selezionato un gruppo di opere assolutamente esemplari, con confronti il più
possibile evidenti tra dipinti di Rubens, sculture antiche, opere di alcuni
grandi protagonisti del Cinquecento e di artisti barocchi: un corpus di oltre 70
opere, di cui 40 del grande maestro fiammingo, riunito grazie a prestiti
provenienti da alcune delle più grandi collezioni italiane ed internazionali.
Il viaggio
in Italia per Rubens costituisce non tanto un’esperienza tecnica quanto l’occasione
per immagazzinare i dati e le suggestioni di un patrimonio cui attingere per
tutta la vita, un deposito di memorie e di pensieri ai quali ritornare e dai
quali ripartire, sempre dagli anni giovanili fino alla gloriosa vecchiaia.
Michelangelo a Roma, Tiziano a Venezia e nelle collezioni spagnole, Correggio a
Parma, Giulio Romano a Mantova. Ma non solo: anche i portati rivoluzionari di
Caravaggio, il classicismo eroico di Annibale Carracci e l’orchestrazione delle
superfici di Veronese entrato nel suo bagaglio.
La mostra
divisa i quattro sezioni tematiche: Nel
mondo di Rubens; Santi come eroi,
Pittura sacra e Barocco; La furia del
pennello; la forza del mito, dove le opere del maestro sono accostate a quelle degli
artisti italiani – per scorgerne le affinità e i debiti – e a esemplari di
statuaria classica, noti a Rubens, che vi si ispira liberamente.
Quando il
maestro lascia l’Italia e si accinge al ritorno in Anversa, nel 1608, Rubens ha accumulato una cultura vastissima,
che sa scegliere il meglio ovunque si trovi.
Per questo
appare subito come l’artista deputato, predestinato quasi, alla riedificazione
della pittura nei Paesi Bassi meridionali, dove la Chiesa e il potere intendono
riaffermare di fronte al laicismo borghese e all’iconoclastia protestante il valore
educativo delle immagini.
IL prestigio
acquisito negli anni italiani, la vastità della cultura e la sovrana maestria
esecutiva permettono a Rubens di dialogare da pari a pari con i potenti che
richiedono il suo lavoro. Ne è prova la libertà di movimento accordatagli, a
cominciare da quella di risiedere ad Anversa pur essendo il pittore di una
corte stabilita a Bruxelles. Ne è prova la sua attività diplomatica, che lo
vede inviato degli arciduchi in tutta Europa a trattare mediazioni, alleanze,
finanziamenti, acquisti di opere d’arte. Proprio nel momento in cui a Roma la
colonia degli artisti fiamminghi e tedeschi – per i quali l’esempio di
Caravaggio è soverchiante – inizia a delineare la figura dell’artista come
individuo slegato da ogni responsabilità pubblica e ideologica, nelle Fiandre
Rubens assume con piena coscienza il ruolo pubblico, e il conseguente peso
morale, del grande funzionario, del rappresentante ufficiale.
Ma Rubens è
uomo libero, integro e pienamente consapevole di quanto fa, scrive, dice,
dipinge. Un’armonia psicologica che sostiene e sostanzia in primo luogo la sua
arte, ma anche la sua serena esistenza.
Come afferma
Jacques Lassaigne “Quale privilegio è riservato ai grandi artisti! La magia dei
pennelli di Velàzquez è sufficiente a far dimenticare le ombre nelle quali si
immerge la monarchia spagnola. Del pari, la vita generosa che sgorga dalle
creazioni di Rubens dà una promessa di rinnovamento al secolo più fosco della
storia delle Fiandre….e gli conferisce nella memoria lo splendore dell’età
dell’oro…”
Maria Paola
Forlani
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