L’Impressionismo di
Zandomenighi
Pittore
della vita moderna, Federico
Zandomenighi (Venezia 1841 – Parigi 1917)
è stato
sulla scintillante scena parigina tra’800 e ‘900 il cantore della donna
emancipata, rappresentata nei vari momenti della quotidianità, dal rito delle
toilette alla passeggiata al Bois, dalla lettura alle serate mondane a teatro.
Al maestro
veneziano, Palazzo Zabarella di Padova dedica, a cento anni dalla sua scomparsa
una grande antologica, in programma fino al 29 gennaio 2017 dal titolo L’Impressionismo di Zandomenighi
(catalogo Marsilio)
L’esposizione,
curata da Francesca Dini e Fernando Mazzotta, promossa dalla Fondazione Bano,
presenta cento opere tra dipinti a olio e pastelli, provenienti dalle più
importanti e prestigiose istituzioni pubbliche – tra cui la Galleria di Palazzo
Pitti di Firenze, la Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi di Piacenza, il Museo
Civico di Palazzo Te di Mantova, la Galleria Nazionale d’arte Moderna di Roma,
la Galleria internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro a Venezia – e delle più
esclusive raccolte private italiane ed europee, che ripercorrono, fin dai suoi
esordi, la straordinaria carriera di Zandomenighi, testimone e protagonista
principale del passaggio da un realismo impegnato, con quadri di denuncia
sociale, a una pittura che ha saputo interpretare in maniera molto personale le
novità dell’Impressionismo.
Nato a
Venezia nel giugno 1841, Federico Zandomeghi discendeva da una famiglia nella
quale l’arte era professata come un mestiere tramandato di padre e figlio.
Il nonno e
il padre erano mediocri scultori provenienti dall’accademismo neoclassico e
purista.
E furono
appunto gli insegnamenti del padre, che immaginava di fare di Federico il
continuatore della sua bottega di scultore, ad avviarlo all’arte, sebbene il
ragazzo subito preferisse a scalpelli e martelli i colori che con sincera
indipendenza adoperava per trarne effetti di luce e determinare prospettive
nelle sue peregrinazioni per Venezia.
Insofferente
di disciplina, avventuroso d’istinto, nel ’60 Zandomenighi fugge da casa e
prende parte alla Spedizione dei Mille. Un’esperienza certo molto importante
per un ragazzo di diciannove anni appena. Finita la guerra tornato a Venezia
non vi rimane molto, preferisce raggiungere Firenze dove seguendo il
veneto-napoletano Giuseppe Abbati ed il veronese Cabianca entrò subito a far
parte del gruppo macchiaiolo e divenne amico di Diego Martelli.
Solo, nel
giugno del’74, improvvisa la decisione di partire per Parigi…
<<Ho
fatto questa risoluzione – scriveva all’amico Francesco Gioli – e la metto in
atto con la massima velocità perché non avvenga un pentimento che mi faccia
piantar le radici a Firenze…non so quanto mi tratterrò nella grande città
perché parto senza idee preconcette per cui abbandono l’avvenire in mano alla
mia Dea protettrice: la Combinazione >>.
Ed a Parigi
rimase per quarantatrè anni fino alla fine, dapprima mantenendo affettuosi
contatti con gli amici rimasti in Italia, poi, a mano a mano che gli amici
passavano, gradualmente estraniandosi dal vecchio ambiente. Quasi tutti in
Italia lo dimenticarono, fin che Vittorio Pica, nel 1914, non lo indusse a fare
una sua mostra personale alla Biennale veneziana. Le opere più antiche e note,
molte presenti in mostra, di Zandomenighi sono del suo periodo toscano. Esse
lasciano vedere come il pittore subito intendesse risolvere, sia pure con un
moto intuitivo, il suo problema. Quello cioè di combinare la sua vibrante
sensibilità di puro colorista con la stesura tonale della macchia. A Parigi
Zandomenighi, fu tramite Martelli che entrò in buoni rapporti con Degas
convertendosi all’ impressionismo. Conversione nell’anno successivo consacrata
dalla partecipazione del veneziano alla Mostra degli Impressionisti.
Un fatto che
<< non è da considerar poco che “Zando” fu pur l’unico italiano a
attingere relazioni lunghe e cordiali con Manet, Degas, Renoir, Pissaro,
Sisley; l’unico a lavorar con questi ultimi in campagna “sur le motis”; l’unico
ad essere stipendiato non dal solito Grupil ma da Durand-Ruel; e cioè, giova
sperare, per intenti non esclusivamente speculativi>> (Longhi).
Ormai
<<Zando>> s’era fatto parigino, partecipava in pieno alla vita dei
più progrediti ambienti artistici della Capitale. Tanto che nello Square d’Anvers del Museo Ricci Oddi di
Piacenza (1880) <<La singolare meditazione delle forme, calibrate entro
la visione impressionistica sembra quasi anticipare certi pensieri del divisionismo
seuratiano>> (Longhi) come d’altronde nel Moulin de la Galette (1980)
in cui riprendeva, da un’angolazione insolita, l’ingresso di uno dei
locali da ballo parigini più famosi dell’epoca. Mentre in Casetta a Montmartre, Periferia di Parigi e
Paysage si ritrovano angoli più anonimi, ma
anche una sorprendente sensibilità per la pittura en plein air in un genere, come il paesaggio, da lui poco
praticato.
Ma la
rappresentazione della vita moderna si concentra in particolare sugli interni,
con le piccole scene di nudo femminile dove si confrontava con Boldini, Degas e
Renoir, o con la ricerca sulla singola figura come ne La cuisiniére. Questo motivo ripreso dalla realtà quotidiana e
apparentemente privo d’interesse proprio per la sua dimensione ordinaria è
pervaso da un sentimento di intimità domestica resa attraverso una sorta di
pacata solennità e nella lentezza concentrata del gesto.
Ma
Zandomenighi raggiunse la maggiore intensità nella
rappresentazione delle scene
e delle atmosfere della moderna vita parigina come nella serie ambientata al caffè, composta da tre dipinti straordinari come Al caffè, Al caffè Nouvelle Athénes
e
Coppia al caffè, vera espressione della sua massima
adesione alla pittura impressionista e tra gli esiti più originali delle sue
sperimentazioni. In particolare,
Al caffè Nouvelle Athénes il pittore raffigura se stesso di
spalle, ma con il volto che si riflette nello specchio sullo sfondo, mentre
conversa con Suzanne Valadon, musa di molti impressionisti e a sua volta
pittrice e madre di Maurice Utrillo.
Il percorso
della mostra si concentra quindi sul periodo compreso tra l’ultimo decennio
dell’Ottocento e nei primi anni del nuovo secolo, in cui Zandomenighi
consolidava sempre di più la sua posizione originale all’interno del movimento
impressionista, divenendo l’interprete della nuova sensibilità femminile e di
atmosfere mondane, qui testimoniate da opere come La toilette, Il ricciolo e
Il risveglio, in cui le donne protagoniste vengono
audacemente sorprese in pose di un’assorta intimità, o da altre come Allo specchio, L’ultima occhiata, Il
giubbetto rosso e Colloquio a
tavolino.
Uno dei
vertici della sua pittura è La Terasse, dove
restituisce in tutta la sua vivacità una emblematica trance de vie parisien.
La rassegna
si inoltra nella sua stagione più matura, dove Zandomenighi affronta un motivo
particolarmente seducente come quello del rapporto tra figura e la natura morta
di fiori, allora trattato da pittori come Van Gogh, che si trova declinato a
partire da La fête o ne La fioraia di Montmartre, o anche in Deux jeuene filles arrangeant des fleurs, Femme arrangeant des fleurs, e
si chiude con Matinée musicale, forse
il capolavoro finale di Zandomenighi, eseguito per Durand-Ruel,
il mercante
degli impressionisti che è stato il suo grande sostenitore.
Maria Paola
Forlani
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