sabato 1 ottobre 2016

ZANDOMENIGHI

L’Impressionismo di
Zandomenighi
Pittore della vita moderna, Federico Zandomenighi (Venezia 1841 – Parigi 1917)
è stato sulla scintillante scena parigina tra’800 e ‘900 il cantore della donna emancipata, rappresentata nei vari momenti della quotidianità, dal rito delle toilette alla passeggiata al Bois, dalla lettura alle serate mondane a teatro.

Al maestro veneziano, Palazzo Zabarella di Padova dedica, a cento anni dalla sua scomparsa una grande antologica, in programma fino al 29 gennaio 2017 dal titolo L’Impressionismo di Zandomenighi (catalogo Marsilio)

L’esposizione, curata da Francesca Dini e Fernando Mazzotta, promossa dalla Fondazione Bano, presenta cento opere tra dipinti a olio e pastelli, provenienti dalle più importanti e prestigiose istituzioni pubbliche – tra cui la Galleria di Palazzo Pitti di Firenze, la Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi di Piacenza, il Museo Civico di Palazzo Te di Mantova, la Galleria Nazionale d’arte Moderna di Roma, la Galleria internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro a Venezia – e delle più esclusive raccolte private italiane ed europee, che ripercorrono, fin dai suoi esordi, la straordinaria carriera di Zandomenighi, testimone e protagonista principale del passaggio da un realismo impegnato, con quadri di denuncia sociale, a una pittura che ha saputo interpretare in maniera molto personale le novità dell’Impressionismo.

Nato a Venezia nel giugno 1841, Federico Zandomeghi discendeva da una famiglia nella quale l’arte era professata come un mestiere tramandato di padre e figlio.
Il nonno e il padre erano mediocri scultori provenienti dall’accademismo neoclassico e purista.
E furono appunto gli insegnamenti del padre, che immaginava di fare di Federico il continuatore della sua bottega di scultore, ad avviarlo all’arte, sebbene il ragazzo subito preferisse a scalpelli e martelli i colori che con sincera indipendenza adoperava per trarne effetti di luce e determinare prospettive nelle sue peregrinazioni per Venezia.
Insofferente di disciplina, avventuroso d’istinto, nel ’60 Zandomenighi fugge da casa e prende parte alla Spedizione dei Mille. Un’esperienza certo molto importante per un ragazzo di diciannove anni appena. Finita la guerra tornato a Venezia non vi rimane molto, preferisce raggiungere Firenze dove seguendo il veneto-napoletano Giuseppe Abbati ed il veronese Cabianca entrò subito a far parte del gruppo macchiaiolo e divenne amico di Diego Martelli.
Solo, nel giugno del’74, improvvisa la decisione di partire per Parigi…
<<Ho fatto questa risoluzione – scriveva all’amico Francesco Gioli – e la metto in atto con la massima velocità perché non avvenga un pentimento che mi faccia piantar le radici a Firenze…non so quanto mi tratterrò nella grande città perché parto senza idee preconcette per cui abbandono l’avvenire in mano alla mia Dea protettrice: la Combinazione >>.

Ed a Parigi rimase per quarantatrè anni fino alla fine, dapprima mantenendo affettuosi contatti con gli amici rimasti in Italia, poi, a mano a mano che gli amici passavano, gradualmente estraniandosi dal vecchio ambiente. Quasi tutti in Italia lo dimenticarono, fin che Vittorio Pica, nel 1914, non lo indusse a fare una sua mostra personale alla Biennale veneziana. Le opere più antiche e note, molte presenti in mostra, di Zandomenighi sono del suo periodo toscano. Esse lasciano vedere come il pittore subito intendesse risolvere, sia pure con un moto intuitivo, il suo problema. Quello cioè di combinare la sua vibrante sensibilità di puro colorista con la stesura tonale della macchia. A Parigi Zandomenighi, fu tramite Martelli che entrò in buoni rapporti con Degas convertendosi all’ impressionismo. Conversione nell’anno successivo consacrata dalla partecipazione del veneziano alla Mostra degli Impressionisti.

Un fatto che << non è da considerar poco che “Zando” fu pur l’unico italiano a attingere relazioni lunghe e cordiali con Manet, Degas, Renoir, Pissaro, Sisley; l’unico a lavorar con questi ultimi in campagna “sur le motis”; l’unico ad essere stipendiato non dal solito Grupil ma da Durand-Ruel; e cioè, giova sperare, per intenti non esclusivamente speculativi>> (Longhi).

Ormai <<Zando>> s’era fatto parigino, partecipava in pieno alla vita dei più progrediti ambienti artistici della Capitale. Tanto che nello Square d’Anvers del Museo Ricci Oddi di Piacenza (1880) <<La singolare meditazione delle forme, calibrate entro la visione impressionistica sembra quasi anticipare certi pensieri del divisionismo seuratiano>> (Longhi) come d’altronde nel Moulin de la Galette  (1980)  in cui riprendeva, da un’angolazione insolita, l’ingresso di uno dei locali da ballo parigini più famosi dell’epoca. Mentre in Casetta a Montmartre, Periferia di Parigi e
Paysage si ritrovano angoli più anonimi, ma anche una sorprendente sensibilità per la pittura en plein air in un genere, come il paesaggio, da lui poco praticato.

Ma la rappresentazione della vita moderna si concentra in particolare sugli interni, con le piccole scene di nudo femminile dove si confrontava con Boldini, Degas e Renoir, o con la ricerca sulla singola figura come ne La cuisiniére. Questo motivo ripreso dalla realtà quotidiana e apparentemente privo d’interesse proprio per la sua dimensione ordinaria è pervaso da un sentimento di intimità domestica resa attraverso una sorta di pacata solennità e nella lentezza concentrata del gesto.
Ma Zandomenighi raggiunse la maggiore intensità nella 
rappresentazione delle scene e delle atmosfere della moderna vita parigina come nella serie
ambientata al caffè, composta da tre dipinti straordinari come Al caffè, Al caffè Nouvelle Athénes
e
Coppia al caffè, vera espressione della sua massima adesione alla pittura impressionista e tra gli esiti più originali delle sue sperimentazioni. In particolare,

Al caffè Nouvelle Athénes il pittore raffigura se stesso di spalle, ma con il volto che si riflette nello specchio sullo sfondo, mentre conversa con Suzanne Valadon, musa di molti impressionisti e a sua volta pittrice e madre di Maurice Utrillo.
Il percorso della mostra si concentra quindi sul periodo compreso tra l’ultimo decennio dell’Ottocento e nei primi anni del nuovo secolo, in cui Zandomenighi consolidava sempre di più la sua posizione originale all’interno del movimento impressionista, divenendo l’interprete della nuova sensibilità femminile e di atmosfere mondane, qui testimoniate da opere come La toilette, Il ricciolo e

Il risveglio, in cui le donne protagoniste vengono audacemente sorprese in pose di un’assorta intimità, o da altre come Allo specchio, L’ultima occhiata, Il giubbetto rosso e Colloquio a tavolino.
Uno dei vertici della sua pittura è La Terasse, dove restituisce in tutta la sua vivacità una emblematica trance de vie parisien.
La rassegna si inoltra nella sua stagione più matura, dove Zandomenighi affronta un motivo particolarmente seducente come quello del rapporto tra figura e la natura morta di fiori, allora trattato da pittori come Van Gogh, che si trova declinato a partire da La fête o ne La fioraia di Montmartre, o anche in Deux jeuene filles arrangeant des fleurs, Femme arrangeant des fleurs, e si chiude con Matinée musicale, forse il capolavoro finale di Zandomenighi, eseguito per Durand-Ruel,
il mercante degli impressionisti che è stato il suo grande sostenitore.

Maria Paola Forlani




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