Cartoni. Disegni smisurati del ‘900
italiano
Poter
ammirare una simile raccolta di “cartoni” dei grandi maestri del Novecento
italiano è occasione davvero rara, se non unica. Per questo la mostra che Marco
Fabio Apolloni e Monica Cardarelli hanno proposto a Bologna, allo spazio Sympò,
nell’ex Chiesa di Santa Maria di Buon Pastore, durante lo svolgimento di Arte
Fiera, ma che continuerà nella loro Galleria del Laocoonte a Roma, si configura come uno degli eventi di
punta di questa stagione culturale.
“Cartoni.
Disegni smisurati del ‘900 italiano” inanella ben 20 cartoni di maestri
come Adolfo De Carolis, Mario Sironi, Duilio Cambellotti, Giulio Bargellini,
Achille Funi, Gino Severini, Galileo Chini, Publio Morbiducci, Achille
Capizzano, Ottone Rosai (catalogo De Luca).
La scelta di
questo spazio espositivo bolognese è legato proprio alla dimensione di questa
mostra. Il cartone, come è noto, è un disegno grande quanto l’opera o la parte
di opera che l’artista intende realizzare. Debba essere questa un quadro, un
affresco, una vetrata, un mosaico o un arazzo, il cartone è una realizzazione
necessaria affinchè l’opera sia portata a termine dall’artista stesso o dalle
maestranze specializzate che devono materialmente compierla. E poiché questi
cartoni spesso si riferiscono a realizzazioni di grandi e grandissime
dimensioni, richiedono uno spazio espositivo altrettanto ragguardevole.
Ad essere
qui svelata è la preziosissima Raccolta – vera e propria collezione da grande
museo – che la Galleria Laocoonte di Roma ha riunito, ricercando queste opere o
sul mercato dell’arte o dagli eredi degli artisti. Per costruire una sorta di
pinacoteca di “disegni smisurati” che evidenzi l’alto livello dell’esercizio
del disegnare nella prima metà del secolo scorso.
Si va dal
dannunziano Adolfo De Carolis di cui sono esposte il grande foglio preparatorio
del dipinto Primavera (1903) ad una
monumentale figura di Mario Sironi che pare scolpita nella roccia a colpi di
graffite. Del poliedrico Duilio Cambellotti è esposto il cartone per il rosone
realizzato in vetri colorati per la Cattedrale di Teramo, oltre a due disegni
preparatori per i manifesti del film Fabiola, peplum cristiano che fu uno dei
primi kolossal italiani dell’immediato dopoguerra.
Due maestosi
cartoni per gli affreschi dello scalone del palazzo dell’INA a Roma – ora
proprietà dell’Ambasciata Americana – sono opera del quasi dimenticato Giulio
Bargellini (Firenze 1875 – Roma 1936), frescante instancabile di terme, banche
e ministeri dove andò traducendo in italiano le archeologie viventi di Alma
Tadema e le bellezze femminili che Klimt aveva trasformato in sontuose carte da
parati.
Di questo artista la Galleria del Laocoonte
sta preparando una grande mostra e il catalogo ragionato delle opere di Achille
Funi (Ferrara 1890 – Appiano Gentile, Como 1972) non è stato solo un
formidabile frescante ma un restauratore in chiave moderna dell’arte di Giotto
e Piero della Francesca con l’intento di ridar vita nell’Italia contemporanea
alla storia antica, al medioevo e al rinascimento, raccontandola ai
contemporanei come una favola mitologica.
Naturale che egli qui abbia la parte
del leone, con due schiere di soldati romani disegnati per il Martirio di S. Giorgio per la chiesa
omonima a Milano in via Torino, le figure di Didone e della sorella Anna per la
sala dell’Eneide, affresco effimero eseguito per la Triennale di Monza del
1930, una Zuffa di cavalieri nella “Battaglia”
di Legnano per la Sala Consigliare del Municipio di Bergamo ed infine la Vergine Annunciata, cartone colorato a
pastello per la pittura della chiesa di San Francesco a Tripoli, in cui ha
raffigurato la propria allieva e amante Felicita Fraj.
Di Gino
Severini è presente una Madonna con Bambino per la Cattedrale di Losanna.
Di Galileo
Chini una delle virtù,
che ornavano il Padiglione delle Esposizioni della Biennale di Venezia. Il
cartone di carta lucida, perforato per il trasferimento a spolvero, ha assunto
con il tempo l’aspetto di un’antica pergamena, mentre la figura, i cui contorni
sono definiti dalla polvere di carboncino rimasta nei fori, ha l’aspetto di
un’apparizione irreale.
Publio
Morbiducci (1889-1963), l’autore del Monumento al Bersagliere a Porta Pia, è
l’autore di
una serie di disegni con trionfi di spoglie militari in cui le armi
dell’antichità classica sono commiste con quelle moderne dell’ultima guerra.
Erano per
grandi pannelli in vetro smerigliato, ma la sconfitta di quelle armi stesse
venne prima della realizzazione finale.
Del calabrese Achille Capizzano, autore
tra l’altro di alcuni mosaici del Foro Italico, sono presentate due scene della
Divina Commedia ispirate ad antiche xilografie.
Infine di
Ottone Rosai è un Giovinetto Crocifisso sospeso
quasi a grandezza naturale su un vasto foglio, in cui il rovello del disegno
per rendere l’anatomia del corpo si traduce in un’apparenza espressionista di
grande pathos, in cui l’immagine sacra è anche sacra rappresentazione della
propria tormentata omosessualità.
Non deve
stupire che nel ‘900 italiano, legato al ritorno delle tecniche di decorazione
antiche e tradizionali, sopravvivano questi grandi fogli su cui l’ispirazione
dell’artista, già spesa in studi, schizzi, modelli e bozzetti, ha saputo
trovare finalmente la vera misura e le linee definitive della forma del proprio
lavoro.
Certo
tracciare sull’intonaco o la tela il disegno è solo il principio dell’opera
quando essa è pittura, mentre il cartone per mosaico o arazzo è spesso già
colorato dal pittore e dunque “finito” per ciò che lo riguarda.
In ogni caso
dopo il cartone è raro che l’artista abbia pentimenti e che dunque vi siano
grandi differenze rispetto al risultato definitivo. Ѐ dunque il cartone l’ultimo luogo
delle incertezze, dei ripensamenti, dei cambiamenti improvvisi in corso d’opera.
Sono le cancellature, le correzioni, ciò che rendono il cartone una sorta di
sindone di carta di tutta la passione e le sofferenze di un artista nel corso
della creazione del proprio capolavoro. Ѐ questa qualità del cartone in cui
l’opera d’arte e il documento di lavoro si confondono in un intreccio di
espressiva operosità.
Se imperturbabile nella sua durevolezza è il
buon fresco, brillante il mosaico, splendente la vetrata, il cartone invece non
mostra solo gli accidenti occorsi durante la lavorazione, ma il tempo anche lo
rende fragile come un antico documento autografo. Da qui la sua preziosità, la
reverenza con cui va trattato e mostrato.
Maria Paola
Forlani
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