Segni
Prima dell’alfabeto
Prima dell’alfabeto
Viaggio in Mesopotamia
Alle origini della
scrittura
Scripta manent ammonivano gli antichi romani a
conferma dell’autorevolezza e del valore nel tempo di un testo scritto, Maktub “ è scritto”, dicono gli
arabi.
La nascita
della scrittura, avvenuta quasi contemporaneamente in Egitto e in Mesopotamia
verso il 3200 a.C., segna uno dei capitoli più affascinanti e rivoluzionari
della storia della civiltà, fondamentale per le dinamiche di trasmissione del
sapere e per la conoscenza dell’antichità.
A Palazzo
Loredan, Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, si è aperta la mostra
‘Prima dell’alfabeto. Viaggio in
Mesopotamia alle origini della scrittura’ aperta fino il 25 aprile (catalogo Giunti). L’evento è
promosso dalla Fondazione Giancarlo Ligabue presieduta da Inti Ligabue, curata
dal professore Federick Mario Fales (Università degli Studi di Udine, uno tra i
più noti assirologi e studiosi del Vicino Oriente Antico. La mostra conduce il
visitatore quasi 6000 anni or sono, nella Terra dei Due Fiumi, in un universo
di segni, simboli, incisioni ma anche di immagini e racconti visivi che
testimoniano la nascita e la diffusione travolgente della scrittura cuneiforme,
rivelando nel contempo l’ambiente sociale, economico e religioso dell’Antica
Mesopotamia. Bisogna ricordare che il cuneiforme è durato 3500 anni, mentre i
segni alfabetici che noi usiamo, in fondo, ne hanno solo 2500.
Culla di
civiltà straordinaria, oggi martoriata e saccheggiata dalla guerra e dal
terrorismo che hanno reso inaccessibile il suo patrimonio di bellezza e
conoscenza, la terra di Sumeri, Accadi, Assiri e Babilonesi viene raccontata e
svelata grazie all’esposizione, per la prima volta al pubblico, di quasi 200
preziose opere della Collezione Ligabue.
Si tratta soprattutto di tavolette
cuneiformi e di numerosi sigilli cilindrici e a stampo ma anche sculture, plachette, armi, bassorilievi,
vasi e intarsi provenienti da quell’antico mondo.
A questi
oggetti si affiancano importanti prestiti del Museo Archeologico di Venezia e
del Museo di Antichità di Torino: dal primo, bellissimi frammenti di
bassorilievi rinvenuti dallo scopritore dell’antica Ninive, Austen Henry Layard, che nell’ultimo
periodo della sua vita si era ritirato proprio a Venezia, a Palazzo Cappello
Layard (donò i suoi oggetti alla città nel 1875); dal secondo un frammento di
bassorilievo assiro fortemente iconico raffigurante il re Sargon II, scoperto
nel 1842 da Paul Emile Botta –
console di Francia a Mosul – e da lui donato al re Carlo Alberto.
Dai primi
pittogrammi del cosiddetto proto-cuiniforme,
rinvenuti a Uruk – annotazioni a sostegno di un sistema amministrativo e
contabile già strutturato – all’introduzione della fonetizzazione (dai
“segni-parola” ai “segni-sillaba”) la scrittura cuneiforme, con le sue
evoluzioni, si sviluppò e si diffuse con estrema rapidità anche in aree
lontane: dalla città Mari sul medio Eufrate e Elba nella Siria occidentale, a
Tell Beydar e Tell Brak nella steppa siro-mesopotamica settentrionale.
Abili scribi
verranno formati per redigere documenti grazie a segni ormai classificati e
vere e proprie scuole saranno istituite nei diversi centri, per insegnare a
nuovi funzionari a leggere e scrivere.
Centinaia di
migliaia di tavolette di argilla – La materia prima della terra mesopotamica –
hanno dato vita ad autentici archivi e biblioteche, in un mondo che aveva
compreso il valore e il potere della scrittura: tavolette con funzioni
contabili-amministrative, tavolette giuridiche, storiografiche, religiose e
celebrative, o addirittura letterarie, racchiudono le storie, i lavori, i
pensieri e i ritratti di uomini e re vissuti tremila anni prima di Cristo: miti
e leggende di dei ed eroi.
Fino ad
allora – fino alle decifrazioni di Grotefend (1775 – 1853) e all’impresa di Rawlinson (1810 – 1895), che sospeso a
70 metri dal suolo copiò l’iscrizione trilingue di Dario I sulla parete
rocciosa di Bisuntun – furono soprattutto la Bibbia, debitrice di tanti
racconti e suggestioni dell’antica Mesopotamia, e gli storici greci, Latini e
bizantini a trasformare in una luce più o meno leggendaria i nomi di luoghi
come “Il Giardino dell’Eden” o le
maestose città di Ninive e Babilonia e quelli di personaggi come Nabucodonosor II, che distrusse
Gerusalemme, o la regina di Semiramide.
In mostra le
preziose tavolette raccontano di commerci di legname o di animali (pecore,
capre, montoni o buoi), di coltivazioni di datteri e di orzo per la birra, di
traffici carovanieri tra Assur e l’Anatolia, di acquisti di terreni e di case
con relativi contratti e le cause giuridiche; celebrano Gudea signore possente, principe di Lagash, promotore di grandi
imprese urbanistiche e architettoniche; prescrivono cure per una partoriente
afflitta da colite, con incluso l’incantesimo da recitare al momento del parto,
o testimoniano l’adozione di un bimbo ittita da parte di una coppia o, ancora,
le missive tra prefetti di diverse città – stato.
Accanto alle
tavolette, placchette e intarsi, in osso, in conchiglia, in osso o in avorio,
bassorilievi e piccole figure, raffinati oggetti artistici e d’uso comune, ma
soprattutto – straordinari per le figurazioni e le narrazioni, per il pregio
artistico delle incisioni realizzate da abili sfragisti (bur-gul) e i diversi materiali usati – tanti, importanti sigilli creati per registrare diritti di proprietà e
apposti fin dal periodo Neolitico sulle cerule – sorta di ceramica a garanzia
della chiusura di merci e stoccaggi – i sigilli, con l’avvento della scrittura,
vengono apposti sulle tavolette o sulle buste di argilla (utilizzata fino al millennio)
per autenticare il documento, garantendo la proprietà di un individuo, il suo
coinvolgimento in una transazione, la legalità della stessa.
Ma il valore
intrinseco dei sigilli cilindrici, già sostitutivi di quelli a stampo intorno
alla metà del IV millennio, è dato dal fatto che essi erano generalmente
realizzati in pietre semipreziose provenienti da luoghi molto lontani.
Nei sigilli
cilindrici, in pochi centimetri, accanto alle iscrizioni venivano realizzati
motivi iconografici sempre più raffinati, differenziati per periodi e aree
geografiche.
Esposti
negli ambienti particolarmente suggestivi dell’antica biblioteca dell’Istituto
Veneto di Scienze lettere ed Arti – perfetto scenario di questa mostra – si
trovano nella Collezione Ligabue, sigilli di inestimabile valore storico e
artistico, raffiguranti uomini, eroi e animali, ma anche divinità come il dio
solare Samash, quello della tempesta Adad, il dio delle acque dolci Ea, oppure Entil, che assegnava la regalità,
massima autorità del pantheon mesopotamico, definito dio del cielo e degli
inferi e soppiantato con l’affermarsi della dinastia babilonese da Marduk, ma anche la complessa Ianna (in sumerico) Isthar (in semitico), “costantemente a cavallo della barriera tra
donna e uomo, adulto e bambino, tra bene e male, tra vergine e prostituta”: dea
della fertilità dell’amore e della guerra ad un tempo.
Maria Paola
Forlani
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