Franco Cardini ricorda don Franco
Patruno
(dal volume “Sugerio e San Bernardo…)
di don Franco Patruno
(gennaio 2010)
Non sapevo
tutte queste cose, o non ne sapevo abbastanza, o le sapevo male, quando una
trentina d’anni fa e forse qualcosa di più, nella “mia” Ferrara – che amavo da
quando l’avevo scoperta adolescente visitando il Castello e Schifanoia; da
quando l’avevo visitata studente universitario amando e leggendo i versi
dell’Ariosto e del Tasso e le storie di Bacchelli e di Bassani: e infine da quando,
nel ’67, vi avevo risieduto lunghi mesi espletando il mio servizio militare
come sottotenente d’aeronautica – conobbi don Franco e da allora spesso tornai
a visitarlo in Casa Cini o indugiai a suo fianco, per le belle strade volute da
Ercole d’Este e qualche volta in auto con amici, per la campagna circostante,
magari in cerca di qualche salama da sugo da gustare insieme. Dovrei e vorrei
ricordare insieme con Franco, accanto a Franco, tanti amici ferraresi che hanno
condiviso quei momenti che ormai cominciano ad avvicinarsi nel tempo ma che
restano vivi e presenti nella memoria. Si discuteva di tutto: di storia e di
cinema, di arte e di letteratura, di Girolamo Savonarola e di Italo Balbo,
magari incontrando talvolta personaggi come Vittorio Sgarbi o Roberto Pazzi e
talvolta i tanti amici valorosissimi dell'Università ferrarese alla quale,
senza avervi mai insegnato, sono peraltro legatissimo da anni di ricerche
comuni e di una serrata attività congressuale. Dovrei elencare molti nomi,
alcuni dei quali anche illustri: e certamente ne dimenticherei qualcuno.
Preferisco quindi accumunarli tutti in un grazie profondo e sincero: sono tutti
parte di quella che davvero è stata, per me e per molti anni, una bella
stagione.
Ma stati di
grazie del genere sono molto rari: e, quando si presentano, ciò accade perché
v’è sempre un fulcro, un centro propulsore e animatore, una presenza che
qualifica e che fornisce un senso preciso a esperienze che, altrimenti,
resterebbero volatili e disorganiche.
Don Franco
credeva nell’arte e nella cultura: credeva nella possibilità di coltivarle,
d’incentivarle, di farle amare. Ma soprattutto credeva nella libertà. Una
libertà sinceramente e rigorosamente vissuta, nel nome della quale nulla e
nessuno doveva mai, secondo lui, venir disprezzato o messo in disparte. Don
Franco era coltissimo e sapeva di esserlo, ma proprio per questo non si
comportava mai come chi ritiene di aver la verità in tasca o chi vuol far
trionfare a tutti i costi il suo punto di vista.
Ѐ per tale motivo che questo prete sempre allegro e sorridente anche nella
lunga e pesante malattia, questo critico d’arte che non riteneva alcuna forma
d’arte estranea, aliena o indegna d’attenzione, quest’uomo che credeva sempre
anzitutto l’umanità in chiunque lo avvicinasse o fosse da lui avvicinato senza
badar al sesso,
all’età,
alla confessione religiosa, alle convenzioni politiche, finiva col far paura e
col suscitare anche inimicizie. Era opinion
maker ascoltato e rispettato, scriveva articoli e saggi su organi di stampa
prestigiosi: eppure dava sempre l’impressione di restar un marginale non sempre
valorizzato e – soprattutto – tollerato a fatica.
Era un uomo
pericoloso, uno che faceva paura.
Sì, perché
ogni uomo ha un prezzo: e quello di don Franco era vertiginoso. C’è chi si
vende per denaro, chi per vanità, chi per amore d’un uomo o d’una donna, chi
per vendicarsi di qualcosa. Don Franco Patruno era un venduto alla Verità e
alla Libertà: e non esiste prezzo che avrebbe potuto mai riscattarlo dal
servizio di quelle due potentissime ed esigentissime signore.
Ѐ difficile rimpiangerlo, perché è quasi impossibile non sentirlo ancora
fra noi.
Ma ora che
fisicamente non c’è più la sua e “mia” città, d’inverno, mi sembra più
nebbiosa, il suo sole d’estate più rovente, le sue zanzare notturne più
crudeli, la salama meno saporita, il panpepato meno dolce, gli affreschi
astrologici di Schifanoia meno luminosi. Don Franco è stato un’epoca della
città di Ferrara e della chiesa di Ferrara. Non sempre, lui vivente, esse hanno
dato prova di esser consce del tesoro che egli rappresentava per loro. Ora ch’è
sopravvenuto il tempo del ricordo, auguriamoci ch’esso non venga meno.
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