lunedì 23 gennaio 2017

FRANCO CARDINI RICORDA DON FRANCO PATRUNO


Franco Cardini ricorda don Franco Patruno
(dal volume “Sugerio e San Bernardo…) di don Franco Patruno
 (gennaio 2010)


Non sapevo tutte queste cose, o non ne sapevo abbastanza, o le sapevo male, quando una trentina d’anni fa e forse qualcosa di più, nella “mia” Ferrara – che amavo da quando l’avevo scoperta adolescente visitando il Castello e Schifanoia; da quando l’avevo visitata studente universitario amando e leggendo i versi dell’Ariosto e del Tasso e le storie di Bacchelli e di Bassani: e infine da quando, nel ’67, vi avevo risieduto lunghi mesi espletando il mio servizio militare come sottotenente d’aeronautica – conobbi don Franco e da allora spesso tornai a visitarlo in Casa Cini o indugiai a suo fianco, per le belle strade volute da Ercole d’Este e qualche volta in auto con amici, per la campagna circostante, magari in cerca di qualche salama da sugo da gustare insieme. Dovrei e vorrei ricordare insieme con Franco, accanto a Franco, tanti amici ferraresi che hanno condiviso quei momenti che ormai cominciano ad avvicinarsi nel tempo ma che restano vivi e presenti nella memoria. Si discuteva di tutto: di storia e di cinema, di arte e di letteratura, di Girolamo Savonarola e di Italo Balbo, magari incontrando talvolta personaggi come Vittorio Sgarbi o Roberto Pazzi e talvolta i tanti amici valorosissimi dell'Università ferrarese alla quale, senza avervi mai insegnato, sono peraltro legatissimo da anni di ricerche comuni e di una serrata attività congressuale. Dovrei elencare molti nomi, alcuni dei quali anche illustri: e certamente ne dimenticherei qualcuno. Preferisco quindi accumunarli tutti in un grazie profondo e sincero: sono tutti parte di quella che davvero è stata, per me e per molti anni, una bella stagione.
Ma stati di grazie del genere sono molto rari: e, quando si presentano, ciò accade perché v’è sempre un fulcro, un centro propulsore e animatore, una presenza che qualifica e che fornisce un senso preciso a esperienze che, altrimenti, resterebbero volatili e disorganiche.
Don Franco credeva nell’arte e nella cultura: credeva nella possibilità di coltivarle, d’incentivarle, di farle amare. Ma soprattutto credeva nella libertà. Una libertà sinceramente e rigorosamente vissuta, nel nome della quale nulla e nessuno doveva mai, secondo lui, venir disprezzato o messo in disparte. Don Franco era coltissimo e sapeva di esserlo, ma proprio per questo non si comportava mai come chi ritiene di aver la verità in tasca o chi vuol far trionfare a tutti i costi il suo punto di vista.
Ѐ per tale motivo che questo prete sempre allegro e sorridente anche nella lunga e pesante malattia, questo critico d’arte che non riteneva alcuna forma d’arte estranea, aliena o indegna d’attenzione, quest’uomo che credeva sempre anzitutto l’umanità in chiunque lo avvicinasse o fosse da lui avvicinato senza badar al sesso,
all’età, alla confessione religiosa, alle convenzioni politiche, finiva col far paura e col suscitare anche inimicizie. Era opinion maker ascoltato e rispettato, scriveva articoli e saggi su organi di stampa prestigiosi: eppure dava sempre l’impressione di restar un marginale non sempre valorizzato e – soprattutto – tollerato a fatica.
Era un uomo pericoloso, uno che faceva paura.
Sì, perché ogni uomo ha un prezzo: e quello di don Franco era vertiginoso. C’è chi si vende per denaro, chi per vanità, chi per amore d’un uomo o d’una donna, chi per vendicarsi di qualcosa. Don Franco Patruno era un venduto alla Verità e alla Libertà: e non esiste prezzo che avrebbe potuto mai riscattarlo dal servizio di quelle due potentissime ed esigentissime signore.
Ѐ difficile rimpiangerlo, perché è quasi impossibile non sentirlo ancora fra noi.
Ma ora che fisicamente non c’è più la sua e “mia” città, d’inverno, mi sembra più nebbiosa, il suo sole d’estate più rovente, le sue zanzare notturne più crudeli, la salama meno saporita, il panpepato meno dolce, gli affreschi astrologici di Schifanoia meno luminosi. Don Franco è stato un’epoca della città di Ferrara e della chiesa di Ferrara. Non sempre, lui vivente, esse hanno dato prova di esser consce del tesoro che egli rappresentava per loro. Ora ch’è sopravvenuto il tempo del ricordo, auguriamoci ch’esso non venga meno.











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