domenica 15 gennaio 2017

Francesco Lavezzi racconta don Franco Patruno a dieci anni della sua scomparsa

A dieci anni esatti dalla morte di don Franco Patruno (2007), martedì 17 gennaio nella chiesa di Santa
Maria Nuova San Biagio, alle 18, una santa messa ricorderà la figura di un uomo e prete che, come ha scritto Franco Cardini, “è stato un'epoca della città di Ferrara e della Chiesa ferrarese”.
Non poteva scegliere esordio migliore Maria Paola Forlani (che don Franco in una lettera che le scrisse nel 1973 chiama la sua “sorella minore dalle chiome rosse”), per inaugurare una serie di appuntamenti che nel corso del 2017 vogliono rendere testimonianza a un'eredità di pensiero e cultura che merita, giustamente, attenzione, riflessione e approfondimento, per la sua perdurante attualità. Sarebbe contento don Franco di vedere che questa riflessione parte dal momento liturgico, per uno come lui, prete, intimamente convinto che la liturgia fosse fonte e culmine della vita, come sta scritto nella “Sacrosanctum concilium”, la costituzione del concilio Vaticano II che riformò la liturgia cattolica.

Un ciclo di momenti e occasioni che vedranno nella mostra dedicata alle opere di don Franco Patruno, dal 12 febbraio al 12 marzo prossimi a Casa dell'Ariosto in città, una sorta di evento centrale.

Esposizione a cura di Maria Paola Forlani, Massimo Marchetti, Patrizia Fiorillo e Gianni Cerioli, con la collaborazione del Comune di Ferrara. Un'antologica di disegni, quadri e collages, che don Franco realizzò a partire dagli anni '60 fino a poco prima della sua morte. Una produzione artistica che durante tutto il proprio arco narrativo ha proceduto per “vampate”, come egli stesso le definì in quella stessa lettera scritta nel 1973 da Ponte di Legno alla sua “sorella minore dalle chiome rosse” e che è stata più volte definita “Scritture cromatiche”.
Un altro passo di questo percorso è la tappa finale, quest'anno, della biennale che porta il nome di don Patruno. Un concorso per giovani artisti partito con un bando ideato, tra gli altri, da Gianni Cerioli e finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Cento. Dopo l'esposizione delle opere dei partecipanti al concorso nelle sale della galleria d'arte moderna a Cento, dal 20 gennaio fino al 5 febbraio prossimi saranno esposte le creazioni dei due vincitori, Gianfranco Mazza e Luca Serio, a palazzo Turchi di Bagno a Ferrara, col titolo “Opere recenti”.
In concomitanza del decennale dalla morte di don Patruno è poi intenzione della Fondazione centese promuovere un secondo bando, questa volta di rilievo nazionale.
Se le soluzioni estetiche, a bilancio della geniale produzione artistica di don Patruno, sono state l'eco originale di autori e correnti (dal futurismo all'informale, scrive Claudio Spadoni), inesausta sperimentazione e contaminazione di tecniche espressive (dal collage, alla scrittura, al ritratto), nonché uso creativo di materiali (dalla tela, ai ritagli di giornale fino alla carta da computer), non pare tuttavia forzato ricondurre quel complessivo incedere per “vampate” a due temi in fondo ricorrenti: la parola e il volto.
Qui probabilmente giunge a sintesi la sua ricerca, perché entrambi – la parola (umana e biblica) e il volto (umano e del crocifisso) – sono espressione, immagine, segno (il segno) che sempre rimanda a qualcos'altro e, nel suo caso, a  qualcun altro: il trascendente, Dio.
Entusiasticamente consapevole della svolta conciliare, secondo la cui ecclesiologia la chiesa si comprende meno trionfalmente, o poveramente come avrebbero detto Lercaro e Dossetti, come segno e sacramento, don Franco ha voluto rappresentare questa intuizione teologica (frutto esplicito della “svolta antropologica” della teologia del Novecento), nel proprio itinerario umano, di fede, artistico ed estetico.
Lo ha fatto con alto senso pedagogico nella sua attività pastorale, nelle aule di scuola come insegnante, nella sua attività di critico, nella sua irrefrenabile ironia e come artista.
Un filo conduttore che, al riparo di ogni apologetica convenzionale dell'arte sacra, lo ha portato nelle opere che saranno esposte anche a Casa Ariosto –  nei cicli degli Angeli, gli Appunti per una Via Crucis e Essenze – alla consapevolezza di un punto di sintesi tra spiritualità, teologia, arte ed estetica (come discorso sull'arte), espresso nella molteplicità formale del suo segno.
Una molteplicità che è segno a sua volta di contaminazioni culturali e artistiche, perché tutte autorevoli ricerche di senso. Perché la ricerca dell'uomo in quanto tale è antropologicamente aperta all'ulteriore.
Ha ragione ancora Franco Cardini a scrivere che don Patruno “era un venduto alla Verità e alla Libertà: e non esiste prezzo che avrebbe potuto mai riscattarlo dal servizio di quelle due potentissime ed esigentissime signore”.
Non si può non ravvisare in queste parole una singolare assonanza con la lettura che Andrea Emiliani dà, in uno sguardo d'insieme, dell'arte di don Franco.
C'è un'indubbia valenza morale in tutto il suo gesto creativo, ha scritto anche Patrizia Fiorillo, nel senso che nel suo mai staccare nemmeno per un attimo lo sguardo dalla figura dell'uomo “c'è – scrive Emiliani nel catalogo della mostra di palazzo Massari del 2006 Percorsi – l'ostinata ricerca di umana pacificazione” e tutta la sua opera in fondo è “una meditazione sull'uomo”.
“Un tutto mentale ed unitario”, prosegue in quello stesso catalogo Franco Farina suo amico fraterno, riscontrabile persino nei suoi fluviali e irresistibili giochi di parole.
La sua è stata una sempre libera ricerca della verità in un segno - di parola e di volto - che diventa nel momento in cui esce come segno dal suo gesto creativo e che, nello steso tempo, mentre si fa segno rimanda a un continuo diventare. Qui risiedono molto probabilmente le sue passioni febbrili per la semiotica di Umberto Eco e per il principio di polarità di Romano Guardini.
Il tutto sentito e presagito nella trama della bellezza del creato per lui ontologicamente uscito buono dalle mani i Dio, sia che fosse rappresentato nel suo tratto drammaticamente forte, spigoloso e talvolta nero come la notte di certi carboncini, sia nei toni più lirici di certi cromatismi dei suoi tenerissimi pastelli e grafie.
Bisogna onestamente dire grazie alla sua “sorella minore dalle chiome rosse”, se la sua tenacia ci costringe a fare i conti con un pensiero che continua a parlare e a porre interrogativi e motivi di riflessione tuttora di grande attualità.


Francesco Lavezzi



Ferrara, 15 gennaio 2017

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