Facciamo presto!
Marche 2015 – 2017
Tesori salvati, tesori da salvare
La mostra Facciamo presto. Marche 2016 – 2017: tesori
da salvare: aperta al pubblico fino al 30 luglio nell’Aula Magliabechiana
degli Uffizi (catalogo Giunti) presenta una selezione di capolavori provenienti
dalle cittadine e dai paesi dell’entroterra appenninico delle Marche
meridionali, colpiti dal terribile terremoto che ha quasi distrutto o reso
inagibili le chiese, i palazzi e i musei dove questi oggetti d’arte erano
custoditi, spesso fin dalla loro origine. Le opere esposte sono tra le gemme
più preziose di un territorio che sorprende per la ricchezza straordinaria e
inattesa del suo patrimonio d’arte e di storia: una raffinata raccolta di
dipinti su tavola e su tela, di sculture lignee, tessuti e oreficerie.
Si tratta di
un’opportunità molto importante oltre che eccezionale per far conoscere al
pubblico alcuni tesori dei territori dell’entroterra marchigiano meridionale,
spesso tuttavia trascurati e negletti dai resoconti relativi agli eventi
sismici che hanno martoriato il Centro Italia. La mostra ha infatti come
intento primario quello di rammentare perentoriamente a tutti l’estrema urgenza
di salvare dalla distruzione e dalla disperazione questo patrimonio.
Le splendide
opere d’arte esposte sono state scelte con il criterio di rappresentare tutto
il territorio marchigiano colpito dal sisma, molto vasto e comprendente parte
delle province di Ascoli Piceno, Fermo e Macerata, nonché gli enti coinvolti
nella tragedia in quanto proprietari di questi stessi beni, vale a dire le
Diocesi, i Comuni, gli Ordini religiosi regolari maschili e femminili. Quelle
in mostra e le tantissime altre opere rimosse e portate nei vari depositi
temporanei allestiti dopo i crolli e sommovimenti tellurici di agosto e ottobre
del 2016 erano per lo più custodite sino alla loro creazione nelle chiese, nei
palazzi e in seguito nei musei di una vasta area dell’entroterra appenninico
delle Marche meridionali.
Questi edifici per lunghi anni saranno una vera giungla di tubi innocenti e di impalcature e occorreranno decenni per far tornare nella loro sede originaria tutte le opere d’arte che sono state portate via in fretta per sottrarle alla distruzione. Un’operazione che stanno ancora compiendo con tanta fatica e coraggio per il pericolo di possibili e ulteriori crolli degli edifici, persone generose e competenti: i vigili del fuoco, i carabinieri, l’esercito, il personale delle soprintendenze e i volontari della protezione civile.
La scelta
delle opere da esporre è stata fatta con l’intenzione di mettere in luce alcuni
aspetti cruciali della cultura figurativa di questi territori a partire dal
Medioevo fino al XVIII secolo.
Ad
accogliere i visitatori della mostra è il capolavoro della pittura marchigiana
del Quattrocento, la pala raffigurante nella tavola principale L’Annunciazione e nella lunetta
sovrastante il Cristo in pietà del
Museo di Camerino, che si può considerare l’opera manifesto del Quattrocento
camerte realizzata dal riscoperto Giovanni Angelo d’Antonio da Bolognola,
protagonista principale di questa scuola.
Quella di
Camerino è una delle numerose scuole pittoriche marchigiane del Quattrocento,
ognuna con i suoi artisti e con una precisa fisionomia di stile e di cultura. A
rappresentare in mostra la scuola di San Severino Marche, è la preziosa
tavoletta cuspidata con la Madonna e il
Bambino, realizzata intorno al 1480 da Lorenzo D’Alessandro per la chiesa
delle Clarisse di San Ginesio, in cui si riconoscono i termini essenziali della
formazione artistica e del primo svolgimento stilistico del pittore
settempedano, vale a dire il riferimento privilegiato al folignate Nicolò
Alunno e i contatti con Carlo Crivelli.
La personalità di quest’ultimo, un
grande pittore veneziano errante passato da Venezia a Padova, da Padova a Zara,
da Zara alle Marche – dove risulta documentato a Porto San Giorgio e Massa
Fermana e quindi Ascoli e Camerino per poi finire i suoi giorni forse a
Fabriano – ebbe una importanza fondamentale per la cultura figurativa delle
Marche, perché a lui si deve, insieme al fratello minore Vittore, la diffusione
di una corrente pittorica le cui radici sono nel mondo padovano, che si
sviluppa tra Dalmazia e Marche definita come “Rinascimento Adriatico”. A
rappresentare in mostra i due fratelli veneziani sono la Madonna di Poggio di Bretta di Carlo, oggi al Museo diocesano di
Ascoli Piceno, e la Madonna adorante il
Bambino di Vittore nella chiesa di san Fortunato di Falerone.
Nel 1501
arrivò a Matelica nella chiesa dei Francescani, dove tuttora si conserva, uno
dei capolavori assoluti della pittura del primo Cinquecento italiano, la
grandiosa ancona con la Madonna in trono
e i santi Francesco e Caterina d’Alessandria del romagnolo Marco
Palmezzano, ancora completa della sua magnifica cornice lignea intagliata e
dorata.
La pittura
del Sei e del Settecento nei territori marchigiani colpiti dal terremoto è
rappresentata in mostra da quattro tele di grande fascino la prima raffigura La Vergine col Bambino appare a Santa
Francesca Romana. La seconda tela raffigura la
Conversione di san Paolo ed è un’opera cardine di Giovan
Battista Gaulli, detto il Baciccio, databile agli anni tardi della sua attività
intorno al 1700, quando il pittore genovese si apre verso la nuova sensibilità
settecentesca.
La tela di
Pier Leone Ghezzi, discendente da una famiglia originaria di Comunanza ma
attivo a Roma nella prima metà del Settecento, è una realistica testimonianza
figurativa delle conseguenze di un rovinoso terremoto ed è pertanto un
interessantissimo esempio delle nuove istanze della pittura settecentesca nella
regione, precocemente orientata verso la rappresentazione di cronaca, e non
solo di storia.
L’arrivo nel
1740 a Camerino nella chiesa dei Filippini della grandiosa pala d’altare con la
Visione di san Filippo Neri, capolavoro
di Giambattista Tiepolo, chiude il tradizionale e secolare interscambio
culturale tra le Marche e Venezia.
Maria Paola
Forlani
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