In occasione del Children’s book
fair alla Fiera di Bologna
PINOCCHIO: STORIA DI
UN’INIZIAZIONE, TRA NOIR, AVVENTURE,
INCANTI E MERAVIGLIOSE FANTASIE
La cinquantaquattresima edizione della fiera del
libro per ragazzi, aperta a Bologna, ci sollecita a molte riflessioni sul
libro, e ci richiama in particolare a riflettere su un’opera tra le più
originali e coinvolgenti scritte nel tempo, cioè Pinocchio, e sul suo autore
Carlo Lorenzini detto Collodi. Riportiamoci dunque col pensiero al 1890.
La sera del 26 ottobre di quell’anno lo scrittore
suonava disperatamente al portone di via Rondinelli 7, a Firenze. stramazzando
poco dopo a terra. La morte, avvertita con disperazione poco prima, avvenne,
per la rottura di un aneurisma, quasi subito, sulla soglia di casa sua, dove
viveva spesso barricandosi dietro la porta, per un timore quasi nevrotico dei
ladri. Da pochi anni aveva concluso il suo capolavoro: l’incredibile storia di
un burattino di nome Pinocchio, che sarebbe diventato uno dei libri più
importanti per i ragazzi e che pure gli adulti, in seguito, leggeranno con
interesse critico e stupita ammirazione.
E fu proprio quella storia, iniziata quasi di malavoglia (si disse per
soddisfare debiti di gioco) che gli diede fama e lo collocò tra gli scrittori
in prosa più originali del nostro Ottocento.
Poiché il Lorenzini era già abbastanza noto come
autore di libri per ragazzi, Ferdinando Martini, che dirigeva il ‘Giornale per
i bambini’ gli chiese di scrivere un racconto a puntate. Così, il 7 luglio
1881, cominciò ad uscire la storia di Pinocchio, una specie di ‘antifiaba’ che
inizia con un dialogo tra l’autore e i lettori, e che non comincia nel solito
modo di “C’era una volta un re”, bensì “C’era una volta un pezzo di legno”. E
da qui prende corpo un racconto dove l’avventura, il mistero, l’ironia, la
spigliatezza birichina e corsara del linguaggio e la felicità dell’espressione
realistica rendono incalzante un itinerario denso di eventi e di straordinarie
vicissitudini.
Pinocchio comincia da subito un percorso di
iniziazione e si avventura spregiudicatamente in rischiose disubbidienze, nel
furore di una liberà che non accetta controlli, e che poi i fatti e gli eventi
modereranno via via fino al raggiungimento di una saggezza conquistata e
consapevole.
Il racconto si interruppe con la puntata uscita il
27 ottobre 1881, o meglio, doveva essere concluso lì, poiché Pinocchio,
inseguito dagli assassini, viene poi raggiunto ed impiccato ad un albero, dopo
una corsa affannosa che dura quasi l’intera notte. E’ un rapido racconto del
terrore, con cui il noir tipico dei
romanzi d’appendice viene applicato alla storia: la notte è tempestosa, soffia
un vento violento, gemono i rami folti del bosco. Pinocchio vede in lontananza
una casina bianca, spera la salvezza, ma la bambina dai capelli turchini, che
finalmente dopo molto affannoso picchiare alla porta, appare dietro una
finestra, non vuole o non fa in tempo ad aprire e a salvarlo, Sembrerebbe così
concludersi, in modo drammatico, la storia del burattino. Invece riprende dopo
pochi mesi, dal 16 febbraio al giugno 1882, poi dal 3 novembre al 25 gennaio
1883. La ripresa del racconto è un’esplosione del fiabesco, un’immersione
grandiosa nell’immaginario: mentre nella prima parte le storie erano
vivacizzate entro una realtà domestica e quotidiana (la casa di Geppetto, il
borgo, l’Osteria del Gambero Rosso, la campagna toscana con piovaschi e le
nevicate dell’inverno…) ora la fantasia si dilata al massimo: appare una
carrozza “color dell’aria”, entrano in scena picchi, corvi, una lumaca bianca,
una Civetta, un Grillo Parlante e, nella sua giovanile bellezza, la Fata dai
Capelli Turchini, figura emblematica della Grande Madre terrena e celeste,
espressa nel romanzo con le molte forme e figure possibili: l’industriosa
donnina dell’Isola delle Api, la capretta dal pelo turchino, la malata nel
letto d’ospedale, la signora col medaglione, la bambina della piccola casa
bianca, la donna severa e dolce che cura Pinocchio malato…quasi a voler
esprimere, attraverso i molti volti salvifici e amorevoli, la figura materna
che Lorenzini amò con affetto quasi edipico, in una forma che psicologicamente
potrebbe definirsi non priva di nevrotica morbosità; tanto che assunse poi come
pseudonimo il nome di Collodi, il paese toscano in cui la madre era nata.
Tuttavia lo scrittore aggiunge, a questo aspetto che
coinvolge particolarmente il bambino, anche un altro elemento, che prefigura la
realtà adulta, la vita sociale non soltanto nella sua epoca, ma in tutti i
tempi: l’egoismo e la sordida avarizia, l’ingiustizia prevalente anche la dove
si dovrebbe amministrare la legge (emblematico il processo in cui Pinocchio,
che è vittima, viene condannato mentre i colpevoli la fanno franca), i viscidi
e malvagi comportamenti di certi personaggi, come l’Omino di Burro, che conduce
i bambini nel Paese dei Balocchi, e che richiama altre tenebrose e orrende
figure del feuilleton francese, come
ad esempio il ‘maestro di scuola’ ne I
misteri di Parigi di Sue, che Collodi tentò anche di riprendere in chiave
italiana, nel mediocre romanzo I misteri
di Firenze del 1857. Ed in questo, cioè nel calare con graffiante ironia la
storia nella quotidiana contradditorietà dell’uomo e della società, sta anche
l’importanza di questo libro, e di un autore che ha saputo giocare a tutto campo
con la vita affrontandone gli aspetti, senza però farli uscire da quell’ambito
incantato e lieve in cui l’avventura e la fantasia riuscirono e riescono a
sedurre i ragazzi di ogni parte del mondo.
La conclusione, che sembrerebbe troppo edulcorata e
improntata ad un ‘lieto fine’ molto conformistico e tipicamente ‘borghese’, a
ben riflettere non è propriamente così: mi pare che, analizzando bene, l’autore
abbia voluto dimostrare che la vita, nel suo evolversi, travolge
necessariamente la fantasia rapinosa dell’infanzia, e che la storia di
un’iniziazione, quale che essa sia, deve poi concludersi con un adeguamento
alla realtà. Così scompare la fiaba e il benefico regno in cui essa sopravvive
alla storia ed entra definitivamente nel mito, in un tempo che non esiste ma è
eterno, in un luogo sempre immaginato e irraggiungibile, una specie di Nirvana,
come la casina bianca della bella bambina dai capelli turchini, o come la fata,
che nel racconto scompare definitivamente e non si sa più dove sia andata, o se
esista ancora oppure no.
È certo però che nella vita di Pinocchio, come in
quella di tutti, dopo l’iniziazione, dopo l’infanzia, essa non apparirà mai più
se non nel sogno o, come dice il Pascoli, nel recondito mondo del
‘fanciullino’, dentro di noi.
Gian
Luigi Zucchini
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