Maria Lassnig
Woman
Power
Le Gallerie
degli Uffizi, in collaborazione con l’Albertina di Vienna, hanno dedicato, a
Palazzo Pitti – Andito degli Angiolini, una mostra all’austriaca Maria Lassnig
(1919-2014), considerata, insieme a Louis Bourgeois e Joan Mitchell, una delle
più importanti artiste della seconda metà del XX secolo, a cura di Wolfang
Drechsler, aperta fino al 25 giugno 2017 (catalogo Sillabe).
Negli ultimi
anni alla Lassnig è stato sempre più spesso riconosciuto un ruolo di pioniera del
movimento femminista nelle arti visive, un riconoscimento che è stato
consacrato quasi al termine della sua vita, nel 2013, con l’assegnazione del
Leone d’oro alla carriera dalla Biennale di Venezia.
Nel 2014,
anno della sua scomparsa, il MoMA di New York dedicò a Maria Lassnig una grande
retrospettiva conferendole così un riconoscimento artistico universale; nel
2016 è stata la volta della Tate Modern di Londra a celebrare l’artista con una
mostra.
L’esposizione
fiorentina, che presenta venticinque opere, scelte nel vasto arco temporale di
produzione dagli anni Sessanta del secolo scorso al primo decennio del nuovo
millennio, offre uno spaccato significativo dell’evoluzione formale di Maria
Lassnig.
Essa evidenzia quanto il tema ricorrente sia stato se stessa, la sua
persona intesa in senso strettamente fisico, il suo corpo. <<La sua
arte>>, come afferma il curatore della mostra << è autoriferita,
egocentrica, con opere costruite in stragrande maggioranza da autoritratti,
spesso anche quando portano titoli diversi. Si tratta tuttavia di autoritratti
in cui la fisionomia svolge un ruolo marginale. In queste opere il mondo
esterno, visitabile, funge per lo più da mero involucro per il mondo delle
sensazioni interiori, e lo stesso vale anche per le opere, decisamente
realistiche, degli anni newyorkesi>>.
Il rapporto
tra esteriorità e interiorità permea in maniera quasi totale il vasto corpus artistico della Lassnig. Un
ossessione su se stessa che, parallelamente alla variabilità dei mezzi formali
adottati, rappresenta la particolare cifra dell’artista austriaca, assegnandole
una posizione di unicità e specificità nel panorama artistico nazionale e
internazionale.
Nonostante
l’estremismo del confronto con se stessa, costante con la sua arte, Maria
Lassnig era tutt’altro che vanitosa: era onesta, onesta fino alla soglia del
dolore, e talvolta, anche oltre, esibendo apertamente i suoi sentimenti, la sua
sensibilità. La sua auto-rappresentazione è, come dichiarò lei stessa,
“solitudine della critica, incapacità di sfruttare gli altri, meditazione e
applicazione di un bisturi chirurgico su un oggetto volontario, l’Io”.
Il concetto
chiave che più di ogni altro caratterizza l’opera di Lassnig, è quello di Körpergefühl o “consapevolezza corporea”; infatti analizzando introspettivamente la vera natura della
propria condizione, seppe usare il mezzo artistico per esprimere sensazioni
corporee. Sono numerosi gli autoritratti che danno prova della particolarissima
forma di autoanalisi cui l’artista dalla profonda sensibilità, si sottoponeva
costantemente.
Nel corso
degli anni Settanta durante il suo soggiorno in America, la Lassnig scoprì un
ulteriore mezzo espressivo nei film di animazione e trovò tra l’altro un
impiego alla Walt Disney Production. Realizzò cortometraggi con mezzi
rudimentali, disegnati e scritti da sola, oltre che filmati e doppiati
personalmente.
Queste opere, che risultavano molto più narrative e più facilmente comprensibili rispetto alla pittura interiorizzata e sublimata, oltre a portarle riconoscimenti in rassegne e festival di cinema di avanguardia avvicinarono l’artista ai movimenti femministi dei primi anni Settanta. Il loro contenuto ironico e facilmente comprensibile li rese utilizzabili anche come strumento di lotta.
Manifesto
dell’impegno della Lassnig per l’emancipazione femminile, in particolare
nell’ambiente artistico dominato dagli uomini, in mostra il dipinto Woman Power,
il cui
titolo emblematico è stato ripreso anche per la mostra.
Nella
maturità, a partire dal 1999, dopo la seconda grande retrospettiva su Lassnig a
Vienna, si moltiplicano le produzioni caratterizzate come opere della maturità.
I Pescatori
di idee del 2001 succhiano i pensieri e qualità pittoriche dell’artista, i Cappelli dei contadini del 2002
raccontano esperienze rurali e Il dolore del
2003 sembra un’esperienza ricorrente.
Tralasciando la “ concezione drammatica del mondo”, una frase scritta nel 1956 da Werner Hofmann sull’allora settantenne Oskar Kokoshka può illustrare anche alcuni aspetti delle ultime opere di Maria Lassnig: “Questo lavoro della maturità non rappresenta un’appendice, ma pieno compimento e ramificazione, e al contempo approfondimento e sublimazione di una concezione drammatica del mondo in una semantica universale”. E qui si può aggiungere: in Maria Lassnig non solo pieno compimento e ramificazione, non solo approfondimento e sublimazione, ma anche la prosecuzione e il completamento di una visione pittorica unica.
Non esiste probabilmente altro artista – non solo nel XX e all’inizio di questo XXI secolo – che sia riuscito a dar vita a una tale ricchezza di composizioni formali pur mantenendo un nucleo tematico relativamente costante ed ampio. Un’ultima riflessione: una produzione matura di rilievo è qualcosa che, ad oggi, si riscontra solo nella cerchia dei grandissimi della storia dell’arte. Una cerchia in cui finora, come si sa, non è mai entrata nessuna donna.
Maria Paola
Forlani
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