Il Cosmo magico di Leonardo
L’Adorazione dei Magi restaurata
L’Adorazione dei Magi di Leonardo degli
Uffizi è tornata in Galleria dopo un restauro all’Opificio delle Pietre Dure,
durato cinque anni.
Infatti nel
novembre del 2011 la grande tavola dell’Adorazione dei Magi di Leonardo fu
trasferita al laboratorio di restauro della Fortezza da Basso, dove per molti
mesi fu sottoposta a numerose indagini diagnostiche, prima che nell’ottobre
2012, venisse finalmente presa la decisione congiunta di intraprendere il
restauro.
Nel 1481
Leonardo riceve l’incarico di dipingere un’Adorazione
dei Magi, mai compiuta e perciò mai consegnata ai committenti, forse
perché, appena un anno dopo, il pittore si trasferiva a Milano.
L’elaborazione
leonardesca è sempre lenta. Ogni realizzazione è preceduta da lunghi e accurati
studi, perché Leonardo, come non accetta acriticamente i dogmi prestabiliti,
così non accetta né lo stile, né l’iconografia tradizionale: << dico ai
pittori che mai nessuno deve imitare la maniera dell’altro>>. Da qui la
fama d’incontentabilità e il rimprovero mossogli di aver lasciate incomplete
tutte le sue opere. <<Cominciò molte cose – dice Vasari – e nessuna mai
finì>>.
L’Adorazione ha forma pressochè quadrata,
permettendo a Leonardo di organizzare la pittura, in superficie e profondità,
secondo le direttrici delle diagonali, il cui punto d’incontro cade nella testa
della Madonna, che, arretrata rispetto ai Magi, inginocchiati e adoranti ad
ala, costituisce il vertice di una piramide, alla quale dà movimento rotatorio
orientandosi leggermente con le gambe verso sinistra e volgendosi, come il
Bambino, verso destra. Questo movimento si propaga a tutte le figure, vicine e
lontane. Non è solamente un movimento fisico; è piuttosto l’espressione più
appariscente della varietà psicologica, dell’intensità dei sentimenti dei
personaggi, ciascuno differenziato dall’altro, ma tutti ugualmente fervorosi.
Questo
impeto, questo fervore, quest’ansia di capire è il tema fondamentale, non la
narrazione del fatto; per questo mancano alcune componenti usuali
nell’iconografia dell’Adorazione per esempio il bue e l’asinello e lo snodarsi
del corteo (che appare appena evocato dalla presenza di molte figure e dei
cavalli). Le volte crollano e le grandinate, come quelle di un antico teatro,
vogliono forse significare simbolicamente il mondo pagano in declino con
l’avvento del cristianesimo.
L’opera è
incompiuta, come un grande abbozzo in monocromo. Ma, forse, a parte il viaggio
a Milano, non poteva essere condotta oltre. Leonardo, seguendo la tradizione
fiorentina, ha disegnato per poi colorire. Il disegno a Firenze è limite, è il
confine dell’oggetto rappresentato, cui il chiaroscuro dà volume.
Leonardo non
vuole la linea di confine, che isola, che divide, che impedisce il morbido
inserirsi nello spazio, che toglie la continuità naturale fra le varie cose:
<<Perché il termine d’un colore è principio d’un altro colore, e non ha
da essere però detto linea, perché nessuna cosa s’interpone infra il termine di
un colore che sia anteposto ad un altro colore>>.
In questo
quadro c’è dunque una contraddizione che è superabile soltanto non
completandola; cosicchè la linea non definisce, ma indica, accenna; e il
chiaroscuro, invece che mezzo per esaltare il volume dando vigoria ai corpi è
ombra che attenua i risalti, che ammorbidisce i contrasti.
L’Adorazione
è opera incompiuta, dunque, secondo le norme usuali; ma perfettamente compiuta,
perché totalmente coerente, espressione adeguata del mondo di Leonardo e
dell’interpretazione che egli dà dell’evento: l’atto d’amore, che partendosi
dal gesto del Bambino, si propaga all’umanità in un ampio e lento movimento
circolare.
Dopo il
restauro e la pulitura nell’opera sono leggibili tutte le figure ed i dettagli
ed è anche percepibile l’eccezionale costruzione spaziale interna alla
figurazione, soprattutto nello sfondo che si apre su una visione prospettica ed
atmosferica tipica di Leonardo, sinora addirittura mascherata da una vera e
propria patinatura (cioè uno strato di vernice pigmentata che voleva conferire
all’insieme l’aspetto di un monocromo). Appare anche evidente come, in modo
inconsueto per il suo tempo e unico persino nella sua produzione artistica,
Leonardo abbia elaborato il disegno direttamente sulla tavola anziché su carta,
come è evidente dai numerosissimi cambiamenti in corso d’opera che oggi sono
visibili. L’Adorazione dei Magi costituiva
una novità sconvolgente per il mondo artistico fiorentino e, a ben guardare,
racchiudeva in sé alcune idee pittoriche che l’artista avrebbe sviluppato nelle
sue opere successive, dagli studi per la Battaglia
di Anghiari, al San Gerolamo della
Pinacoteca Vaticana, sino alla Vergine
delle Rocce, nelle sue due versioni.
Suggestiva è la citazione che il direttore degli Uffizi
Erik Schimdt fa della rappresentazione cinematografica dell’opera di Leonardo.
“Nell’ultimo film di Andrej Tarkovskij, Sacrificio,
del 1986, davanti a una riproduzione dell’Adorazione dei Re Magi di Leonardo, il postino Otto – collezionista
di casi strani e non razionalmente spiegabili – esprime all’amico Alexander il
turbamento che prova davanti al quadro. E conclude con un giudizio nettamente
negativo: <<Lo trovo terribilmente sinistro. Ho sempre provato un grande
terrore di fronte a Leonardo>>”.
Le inquietudini non sono mancate nemmeno agli addetti ai lavori, che a lungo si sono trattenuti dall’intervenire su un’opera non finita del genio tecnicamente più indomito e più versatile nella sperimentazione pittorica.
Le inquietudini non sono mancate nemmeno agli addetti ai lavori, che a lungo si sono trattenuti dall’intervenire su un’opera non finita del genio tecnicamente più indomito e più versatile nella sperimentazione pittorica.
Nel lasso di
tempo tra la campagna di indagini del 2002 e la decisione – quasi dieci anni
dopo – di affidare il dipinto di Leonardo all’Opificio delle Pietre Dure, sta
tutto un universo di evoluzione scientifica e tecnologica, e di conseguenza
anche metodologica, che ha permesso agli esperti di affrontare il lavoro con
una consapevolezza diversa e margini d’azione incredibilmente più ampi.
A lavori
ultimati, possiamo ora capire – pur senza mai esaurirle – le sottigliezze
nascoste e sfuggenti dell’opera, che hanno sfidato per anni chi aveva il
compito di curarne la conservazione e comunicarne il messaggio.
I
restauratori dell’Opificio, hanno restituito ora alle Gallerie degli Uffizi non
solo un dipinto, ma una parte dell’anima stessa di Leonardo che su quella
tavola sembra aver seguito con il pennello i suoi pensieri più intimi e
vertiginosi, la sua personale visione della storia divina, tra umanità e
mistero. Nel film di Tarkovskij, in quel mondo parimenti raffigurato tra
distruzione e redenzione, il primo campo indugia sul particolare del dono della pisside
preziosa offerta dall’anziano re magio al Bambino divino: un simbolismo, quello
della rinascita e soprattutto del dono, che ben riassume anche le vicende del
restauro del capolavoro leonardesco, un dono per l’umanità.
Maria Paola
Forlani
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