Longobardi
Un popolo che cambia la
storia
Pavia torna
capitale del regno longobardo, ospitando la prima tappa di una importante
mostra che fa il punto sulla grande stagione vissuta dall’Italia tra VI e
l’VIII secolo, quando il popolo di Alboino acquisì il controllo di un’ampia
porzione dei suoi territori. Una stagione cruciale, che ebbe significativi
riflessi politici, economici e culturali e che l’esposizione documenta alla
luce delle più recenti acquisizioni.
Il titolo
dell’importante mostra (catalogo Skira) aperta fino al prossimo 3 dicembre
nelle Scuderie del Castello Visconteo di Pavia è Longobardi. Un popolo che cambia
la storia. Si tratta di un evento culturale di grande rilievo, per il
quale quasi 100 musei hanno prestato le loro opere. I manufatti esposti sono
300 e ci sono voluti 2 anni di lavoro.
Le otto sezioni della mostra raccontano
(in un allestimento accattivante curato da Angelo Figus) due secoli di storia
durante i quali Pavia fu capitale del Regno. Sono 32 i siti e i centri
longobardi rappresentati, 17 video originali e le installazioni multimediali,
58 i corredi funebri esposti. Tra le opere più interessanti in esposizione, il
più antico dei codici contenente l’Editto di Rotari,
le monete coniate dai singoli ducati, gli scheletri di cavallo e due cani dalla necropoli di Polignano Veronese, i corni potori di vetro da Cividale e Castel Trosino e la spada longobarda simbolo della mostra.
Scelta dagli
Ostrogoti come seconda capitale dopo Ravenna e allora dotata di architetture
pubbliche eccellenti, Pavia viene espugnata nel 572 da Alboino, dopo un assedio
lungo tre anni; seguono due secoli (cederà all’assedio dei Franchi di Carlo
Magno nel 774) nei quali la città è baricentro delle vicende politiche,
economiche e amministrative più rivelanti del regno, che la narrazione di Paolo
Diacono, le pur scarse testimonianze materiali, ma anche – e soprattutto – la tradizione,
le leggende e le memorie locali, i toponimi tuttora ricordano: dell’emanazione
dell’Editto di Rotari al recupero e traslazione di sant’Agostino minacciate dai
Saraceni, alle cospicue fondazioni religiose destinate a cenotofi di re e
regine.
All’eccezionale
fortunata ricchezza dell’immagine di Pavia capitale del regno longobardo
corrisponde, oggi, un avvilente povertà di sussistenze monumentali – tale da
aver precluso l’inserimento della città nella– rete UNESCO dei siti longobardi
– così che ben si può attribuire a Pavia quell’appellativo di
<<straordinaria Atlantide sommersa>> da riferirsi a un prezioso
tesoro d’arte sopravvissuto solo a livello sotterraneo nelle cripte, oppure
tuttora celato da substrati, inglobato in murature, o reimpiegato in nuove
architetture, in attesa di essere riscoperto e disvelato.
Non solo le
devastazioni belliche e gli incendi, ma la splendida fioritura romanica dopo il
Mille – con la necessità di recuperare spazi e materiali pregiati per le
costruzioni – e poi la crescente insofferenza estetica per espressioni d’arte
<<barbariche>>, almeno sino al romanticismo, avevano determinato il
progressivo svanire delle testimonianze materiali di Pavia longobarda.
Così, solo
per ritrovamenti fortuiti e rarefatti nei secoli e per episodiche campagne
recenti di scavo archeologico, sono stati riportati alla luce elementi
architettonici, monili, lapidi ed epigrafi funerarie, nelle raccolte civiche e
allestiti nelle sale museali del castello visconteo. Sono reperti di
straordinaria qualità – tali da ripagare in parte per la loro unicità ed
eleganza, pur nelle ridotte dimensioni, la perdita di strutture monumentali –
che per l’appunto sono pervenute ai musei o dall’occasionale riemersione
durante interventi urbanistici o dal privato collezionismo antiquario: si
tratta, perlopiù, di manufatti da riferire alla celebrazione regia,
encomiastica e legati ad ambienti aulici e di corte, che devono la loro
sopravvivenza al reimpiego in contesti successivi, in qualità di stipiti, di
soglie, di chiusure di pozzi.
Era stato il
marchese Luigi Malaspina, colto e illuminato raccoglitore non solo di pittura
italiana dal Medioevo al neoclassicismo ma anche di testimonianze artistiche locali,
munifico fondatore dei musei pavesi, a voler salvare dall’oblio e
dall’incipiente distruzione alcune lapidi tombali di re e regine longobardi
tumulate in chiese sconsacrate e soppresse in età giuseppina.
Sotto il
portico della sua residenza pavese, il nobile aveva allestito un’ampia raccolta
epigrafica di varie età, tra cui l’epitafio ritmico che celebra Cuniperto, <<re prospero e prestante che l’Italia
piange>>, acquistato entro il 1819 e proveniente dal monastero di S. Salvatore
dove – come recita l’epitafio -<<quiescunt
in ordine reges>>. Ma il <<colpo>> collezionistico di
Malaspina fu nell’acquisizione, nel 1832, di pezzi scultorei dal monastero
femminile di Teodote (o della Pusteria): l’iscrizione funebre di Teodote e
quelli che – per interpretazione dei cugini Defendente e Giuseppe Sacchi –
erano stati riconosciuti come i due lati lunghi e quello corto del sarcofago a
cassa della giovinetta concupita e violata dal re Cuniperto, cioè i due celebri
plutei con i draghi, con i pavoni e con l’agnello.
Oggi la
mostra <<Longobardi. Un popolo che cambia la storia>> è ancora
l’occasione per ripensare in parte l’esposizione e ulteriormente valorizzare il
patrimonio museale, nel senso sia di esaltare attraverso la luce la preziosità
e la raffinatezza di ciascuno dei pezzi esemplari di scultura decorativa e di
oreficeria, sia di comunicare in modo più efficace e consapevole con il
visitatore, favorendo – grazie anche alla strumentalizzazione informatica e
alle ricostruzioni virtuali – la conoscenza dei contesti architettonici di
provenienza e inducendo a immaginare, suggestivamente, la forma urbana di Pavia
tra la metà del VI secolo e la fine dell’VIII secolo.
Maria Paola
Forlani
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