Lino Selvatico
Mondanità e passione quotidiana
Tra i più
richiesti e apprezzati ritrattisti del Novecento italiano, “squisito indagatore
dell’anima attraverso le fattezze del volto umano” come lo definì Pompeo
Molmenti, Lino Selvatico (1872-1924) è stato recentemente riproposto
all’attenzione della critica e del pubblico ed è ora protagonista a Padova
della più ampia retrospettiva mai realizzata sull’artista, destinata – con
oltre cinquanta dipinti e sessanta opere grafiche, esposte queste ultime per la
prima volta – a imporsi come momento cardine nella rivalutazione della sua
figura (catalogo grafiche Turato ).
Prodotta dal
Comune di Padova con il Comitato Celebrazioni Lino Selvatico Pittore, allestita
ai Musei Civici agli Eremitani fino al 10 dicembre 2017, curata da Davide
Banzato, Silvio Fuso, Elisabetta Gastaldi e Federico Millozzi, l’esposizione
mette in luce non solo l’abilità dell’artista nei ritratti di tono mondano, ma
anche le sue note di maggiore intimità, l’attenzione a spunti di verità derivati
dalla vita quotidiana che egli sapeva cogliere con spirito familiare e
affettuoso e rendere con scintillante perizia nella stesura di un colore vivo e
vibrante.
Mondanità e
passione quotidiana dunque: due tratti che connotano il percorso artistico e
umano di Selvatico negli ambienti borghesi e aristocratici lagunari, milanesi o
parigini, così come nelle dimensioni familiari delle sue abitazioni, a Mira e
Biancade (la celebre Villa dell’Orso), nel cruciale passaggio tra Otto e
Novecento.
Figlio del
poeta e commediografo Riccardo – che fu sindaco di Venezia e ideatore della
Biennale internazionale d’Arte – nato incidentalmente a Padova, ove la famiglia
aveva forti interessi commerciali, e laureato in legge all’ateneo patavino,
Lino fin dal suo esordio alla III Mostra Internazionale d’Arte del 1889 aveva
mostrato le grandi potenzialità che lo avrebbero presto condotto al successo.
Come
ritrattista era dotato di mezzi tecnici ed espressivi personali e sicuri, con
un’abilità del tutto inedita nel rendere l’aura e le personalità del
personaggio effigiato. Così – grazie anche a una rete di relazioni di primo
piano – le commissioni da ambienti alto borghesi e nobili divennero sempre più
numerose, giungendo in qualche caso anche da esponenti di case reali, come fu
il ritratto di Alfonso III di Borbone giovane re di Spagna, realizzato nel
1922.
Frequentatore
di intellettuali e artisti, ben introdotto nei circoli di Venezia e Milano,
amico dei Sarfatti, Selvatico raggiunse con la fama anche il riconoscimento da
parte di critici autorevoli come Primo Levi, Pompeo Molmenti, Vittorio Pica e
il potentissimo Ugo Ojetti, partecipando a numerose esposizioni nazionali ed
internazionali.
“Selvatico
era però un artista sensibile e attento anche ad altri aspetti – scrive Davide
Banzato nella sua introduzione al catalogo della mostra – in continua
evoluzione, capace di combinare a una visione sostanzialmente realistica spunti
dal simbolismo e dal liberty e seguire il nuovo vento che spirava sulle arti
durante e dopo gli anni travagliati del primo conflitto mondiale”.
In
particolare è nei nudi che il pittore riesce a trasfondere stati d’animo che
vanno dalla semplice ammirazione formale, all’eleganza della linea e delle
forme, fino a una vera passione per il femminile.
Le donne
rimangono protagoniste dei suoi dipinti, anche descritte nella loro nudità ma
sempre come icone moderne: nelle loro pose, con le loro sigarette e il loro
languore.
Aspetti
emblematici di Selvatico, che emergono anche nella ricca e ancora poco nota
produzione grafica, esposta nella mostra degli Eremitani di Padova per la prima
volta. Nel percorso espositivo ci sono infatti, in dialogo con i dipinti, anche
i disegni e le stampe dell’artista (rinvenuti solo nel 2008): studi preparatori
e interpretazioni grafiche dei soggetti a lui più cari, rivelatori della sua
altissima qualità di disegnatore e incisore, sperimentatore di tecniche
raffinate in particolare, appunto negli stupendi nudi femminili.
Una assoluta
novità per il pubblico e per la critica.
Selvatico si
scopre dunque ricercatore di perfezione tanto nella pittura, con colori
corporei ma allo stesso modo evanescenti, quanto nello studio del segno e
soprattutto nell’opera incisoria, una tecnica che non ammette errori e che egli
aveva appreso da Emanuele Brugnoli, fondatore della libera scuola di incisione.
Nella
grafica sono evidenti richiami all’espressionismo di area tedesca e in
particolare al simbolismo di von Stuck.
Era
certamente difficile, all’epoca in cui in Europa s’imponevano le avanguardie,
essere innovativi, soprattutto in ambito italiano, ma Selvatico nel suo corpus grafico esprime originalità,
sperimentando diverse tecniche – carboncino, graffite, gessetti, pastelli,
sanguigna, acquarelli – e raggiungendo notevoli effetti chiaroscurali e
luministici.
Quella
grafica è comunque una produzione più intima, in cui il pittore ricerca e
libera la fantasia nel fissare i gesti del piccolo Riccardo come nel ritrarre
le sue modelle nude, spesso erotiche ma mai volgari, mantenendo armonia ed
eleganza compositiva: una produzione che egli volle tenere con sé fino alla
morte, giunta prematuramente nel 1924, a soli 52 anni.
Maria Paola
Forlani
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