Dentro Caravaggio
Si è aperta
a Milano a Palazzo Reale la mostra Dento Caravaggio a cura di Rossella
Vodret, fino al 29 gennaio 2018.
Il 29
settembre 1571 nasce a Milano Michelangelo Merisi detto Caravaggio, autore che
produsse le sue opere in meno di quindici anni – morirà nel 1610 dopo una vita
burrascosa finita tragicamente – artista
di un profondo rinnovamento della tecnica pittorica caratterizzata dal
naturalismo dei suoi soggetti, dall’ambientazione realistica e dall’uso
personalissimo della luce e dell’ombra.
Caravaggio
sarà preso a modello da molti artisti del Seicento in Italia e in tutta Europa,
al punto da far nascere il termine caravaggismo per definire la sua influenza
che si protrarrà, con alterne vicende, sino all’Ottocento, anche se, alla
grande fama in vita, era seguito un oblio di due secoli. L’opera di Caravaggio
è stata riscoperta e consacrate nel Novecento grazie agli studi di Roberto
Longhi che nel 1951 gli dedicò una mostra epocale nel Palazzo Reale di Milano.
E Milano torna
a omaggiare il grande Caravaggio con diciotto capolavori del Maestro riuniti
per la prima volta tutti insieme. Un’esposizione unica non solo perché presenta
al pubblico opere provenienti dai maggiori musei italiani e da altrettanto
importanti musei esteri ma perché, per la prima volta le tele di Caravaggio
sono affiancate dalle rispettive immagini radiografiche che consentono al
pubblico di seguire e scoprire, attraverso un uso innovativo degli apparati
multimediali, il percorso dell’artista dal suo pensiero iniziale fino alla
realizzazione finale dell’opera.
La mostra è
promossa e prodotta da Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale e MondoMostre
Skira, in collaborazione con il MIBACT Ministero dei Beni e delle Attività
Culturali e del Turismo.
La curatrice
Rossella Vodret, coadiuvata da un prestigioso comitato scientifico presieduto
da Keith Christiansen, vuole raccontare da una prospettiva nuova gli anni della
straordinaria produzione artistica del Merisi, attraverso due fondamentali
chiavi di lettura: le indagini diagnostiche e le nuove ricerche documentarie
che hanno portato a una revisione della cronologia delle opere giovanili,
grazie appunto sia alle nuove date emerse dai documenti, sia ai risultati delle
analisi scientifiche, da diversi anni frontiera della ricerca per la storia
dell’arte come per il restauro.
Sono così in
mostra anche alcuni selezionati documenti, provenienti dall’Archivio di Stato
di Roma e di Siena relativi alla vicenda umana e artistica di Caravaggio, che
hanno cambiato profondamente la cronologia dei primi anni romani e creato
misteriosi vuoti nella sua attività. Mancano, infatti, notizie tra la fine del
suo apprendistato presso Simone Peterzano nel 1588 e il 1592 quando compare a
Milano in un atto notarile. Così come l’arrivo a Roma è documentato solo
all’inizio del 1596 e dunque rimane misteriosa la sua vicenda in questi otto
anni, non pochi per un pittore che ha lavorato in tutto meno di quindici anni.
Tra i
prestiti più prestigiosi dall’estero: Sacra
Famiglia con San Giuseppe (1604-1605) dal Metropolitan Museum of Art, New
York; Salomè con la testa del Battista (
1607 o 1610) dalla National Gallery, Londra; San Francesco in estasi (c.1597) da Wadsworth Atheneum of Art di
Hartford; Marta e Maddalena (1598)
dal Detroit Institute of Arts; San
Girolamo (1605-1606) dal Museo Montserrat, Barcellona.
La tecnica
di Caravaggio è stata oggetto di uno studio approfondito del MIABACT che, a
partire dal 2009, in collaborazione, con la Soprintendenza Speciale per il Polo
Museale Romano e con l’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro,
ha analizzato attraverso una importante campagna di indagini diagnostiche le
ventidue opere autografe presenti a Roma “ Sono emerse così – afferma la
curatrice Rossella Vodret – alcune costanti nelle modalità esecutive di
Caravaggio, ma sono venuti anche alla luce elementi esecutivi inaspettati e
finora del tutto sconosciuti: dagli strati di pittura sono affiorate una serie
di immagini nascoste. Inoltre è stato sfatato il mito che Caravaggio non abbia
mai disegnato, dacchè sono apparsi tratti di disegno sulla preparazione chiara
utilizzata nelle opere giovanili”.
Il
cambiamento cruciale nella sua tecnica avviene nel 1600 quando Caravaggio viene
chiamato a dipingere la Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi: primo
incarico pubblico e su tele di grandi dimensioni. Gli viene dato solo un anno
di tempo per completare l’opera e un compenso all’epoca straordinario: 400
scudi. Abituato a dipingere “tre teste” al giorno per appena un grosso l’una, come
ci dicono le fonti documentarie, si può comprendere come questa commessa
rappresenti una svolta fondamentale per la carriera e la vita dell’artista.
Nelle tele
Contarelli la preparazione è scura, sempre in doppio strato, composta da terre
di diverso tipo, pigmenti e olio. In sostanza, Caravaggio parte dalla
preparazione scura e aggiunge soltanto i chiari e i mezzi toni, dipingendo solo
le parti in luce. Di fatto non dipinge le figure nella loro interezza, ma solo
una parte. In tutto il resto del quadro non c’è nulla: il fondo scuro e le
parti in ombra sono resi con la preparazione, non c’è pittura. Nella Vocazione di san Matteo la luce costituisce
un espediente simbolico e stilistico utile a evidenziare l’apparente discromia
degli abiti moderni di Matteo e dei suoi compagni e pochi attributi “divini” dell’apostolo
scalzo e avvolto in un largo mantello di ispirazione antica, e di Cristo, la
cui testa è sovrastata dal luccichio di un sottile filo d’oro.
Attraverso
le riflettografie e le radiografie, che penetrano in diversa misura sotto la
superficie pittorica, si è potuto seguire il procedimento creativo di Caravaggio,
i suoi pentimenti, rifacimenti, aggiustamenti nell’elaborazione della
composizione. A tale proposito opera emblematica è il San Giovannino di Palazzo Corsini, dove le analisi ci permettono di
leggere l’aggiunta di un agnello, simbolo iconografico poi eliminato.
Nel
susseguirsi delle opere e della rivisitazione delle loro date di esecuzione
appare il tragico Scudo della Medusa degli
Uffizi, sicuramente del 1598 e da sempre considerato il punto di svolta della
poetica caravaggesca.
Lo sguardo
mostruoso della Medusa che mutava gli uomini in pietra: quale migliore ausilio
per affrontare il nemico, se la raffigurazione di una testa di Medusa su uno
scudo da combattimento? Ciò che rendeva tanto prezioso questo pezzo da essere
donato nel 1598 dal cardinal Del Monte al granduca Ferdinando I de’Medici, per
il quale svolgeva il compito di ambasciatore a Roma, poteva essere il realismo
della testa mozza urlante riconducibile alle maschere classiche, oltre il fatto
che l’autore dell’opera stava rapidamente conquistando sempre maggiore
attenzione nella città papale.
Grazie a un
perfetto espediente illusionistico basato sull’accorto uso della luce,
dell’ombra e dei controluce, Caravaggio trasforma la convessità dello scudo in
apparente concavità utile ad accogliere la testa. La vivacità e il phatos
dell’espressione sono enfatizzati dal movimento disordinato e ondulatorio delle
serpi che circonda l’espressione estrema dello sguardo fissato su di un unico
punto.
Maria Paola
Forlani
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