Duchamp, Magritte, Dalì. I
Rivoluzionari del ‘900.
1916. Sui
fronti europei gli uomini ormai cadono a migliaia, falciati dalle
mitragliatrici, dalle granate, dai bombardamenti.
Ed è col
fragore d’una granata che a Zurigo, in quegli anni, scoppia il movimento Dada.
Cos’è Dada?
Una parola trovata a caso inserendo un tagliacarte fra le pagine del Laurousse.
Scrive Jean
Arp, uno dei maggiori scultori di questo movimento: <<…Sono convinto che
questa parola non ha alcuna importanza. Quello che a noi interessava era lo
spirito dadaista, e noi eravamo tutti dadaisti prima dell’esistenza del
Dadaismo>>.
Il
Surrealismo, al contrario, nacque adulto. Gusti e atteggiamenti surrealisti
sono rintracciabili infatti fin nell’arte simbolista. Con Dada, poi, vengono
elaborati del Surrealismo anche gli ingredienti linguistici.
Sulla
poetica surrealista è agevole scoprire l’influsso esercitato dall’intuizionismo
bergsoniano: anche i surrealisti si proposero di esprimere l’essenza originaria
dell’esistenza carpita nel suo flusso libero e inarrestabile, fuori del tempo e
dello spazio.
“L’arte è
plagio o rivoluzione”, diceva già Paul Gaugin sul finire del XIX secolo. Ci
sono voluti 50 anni perché questa fortunata idea dilagasse oltre i limiti della
ricerca sul linguaggio, sfociando con Dada
e Surrealisti in un’esperienza
perturbante e totale.
Fino all’11
febbraio I rivoluzionari del ‘900 mette
in scena a Bologna nella sede di Palazzo Albergati uno dei periodi più
dirompenti di tutta la storia dell’arte, con nomi del calibro di Marcel
Duchamp, Man Ray, Renè Magritte, Max Ernest, Francis Picabia, Kurt Schwitter,
Salvator Dalì: il gotha dei due movimenti, completato dalla presenza del più
“giovane” ma altrettanto eversivo Jackson Pollock.
Un salto
mortale dell’immaginazione, una bomba innescata nel cuore dell’arte occidentale
e pronta ad aprire varchi inattesi su altri mondi: dall’inconscio agli oggetti
più prosaici del quotidiano, fino alle culture di paesi lontani.
In mostra
180 quadri, sculture, fotografie, collage, ready-made, più una serie di
preziosi documenti, tutti provenienti dall’Israel
Museum di Gerusalemme.
Tra i
capolavori: Le Chateau de Pyrenees (1959)
di Magritte, Surrealist Essay (1934)
di Dalì, L.H.O.O.Q. (1919/1964) di
Duchamp e Man Ray (1935) di Man Ray.
L’allestimento
è realizzato dal grande architetto Oscar Tusques Blanca, che in omaggio
all’evento ha ricostruito a Palazzo Albergati la celebre sala di Mae West di Dalì e l’istallazione 1,200 Sacks of Coal ideata da Duchamp
per l’Exposition internationale du
Surréalisme del 1938.
L’esposizione
è a cura di Adina Kamien-Kazhdan.
La mostra Duchamp, Magritte, Dalì. I rivoluzionari del
‘900. Capolavori dall’Israel Museum di Gerusalemme attraverso un percorso
tematico, offre una visione completa di questo patrimonio avanguardistico
passando in rassegna tutte le sue espressioni artistiche e i mezzi utilizzati
tra cui la pittura, la scultura, l’assemblaggio, il fotomontaggio e il collage.
La mostra si
divide in cinque sezioni:
Accostamenti sorprendenti;
Automatismo e subconscio;
desiderio: musa e abuso
desiderio: musa e abuso
Biomorfismo e metamorfosi;
Il paesaggio onirico.
Nella prima
sezione l’uso di materiali e oggetti “trovati” nei collage, nei montaggi e
negli oggetti dadaisti e surrealisti annulla il confine tra arte e vita. I
frammenti del mondo quotidiano diventano parte di accostamenti sorprendenti in
grado di sedurre, scioccare e disorientare l’osservatore. Grazie a questo
processo di “ricollocazione” emerge il potenziale poetico dei materiali usati
nella creazione di oggetti onirici che paiono tratti “dalle più recondite
profondità della mente umana”.
Nella
seconda sezione con il proposito di infondere nuova linfa alla poesia e alle
arti visive attraverso l’uso di una creatività inedita, il surrealismo esplora
gli aspetti più oscuri della mente: il sogno, la malattia mentale, l’inconscio.
Scrittori e artisti sviluppano tecniche “automatiche” per eludere il controllo
cosciente e accedere alla sorgente del subconscio. L’automatismo riflette la
passione dei surrealisti per le nuove scoperte in ambito psichiatrico a cavallo
tra Ottocento e Novecento: per loro l’automatismo costituisce l’equivalente
visivo della libera associazione da Freud nella psicanalisi.
Nella terza
sezione il Biomorfismo riflette la tendenza surrealista a proferire forme ambigue
e organiche. Ѐ a questa predilezione che si deve la nascita di dipinti, sculture e
rilievi ispirati all’acqua come pure a soggetti di anatomia, astronomia e
botanica. Lavorando con stili diversi in un territorio ibrido tra l’arte
figurativa e quella astratta, Jean (Hans) Arp e Yves Tanguy sviluppano un
linguaggio che potremmo definire appunto “biomorfo”.
Negli anni
venti il movimento è influenzato dall’uso che Picasso fa della metamorfosi,
come testimoniano i soggetti e la tecnica dei quadri figurativi e le opere più
astratte e automatiche di André Masson.
Mentre Max Ernest
arriva alla conclusione che l’artista debba recuperare un’armonia mitica e
spirituale con la natura che era andata perduta a causa del cristianesimo, del
razionalismo e della tecnologia occidentale.
Nella Quarta
sezione il tema del desiderio rappresenta per gli artisti e i poeti surrealisti
un vasto territorio in cui sondare fantasie, paure e inibizioni inconsce.
L’intento di
liberare il desiderio attraverso l’arte è legato all’ascesa dei regimi
totalitari e allo scoppio delle due guerre mondiali: è infatti in questo
contesto che la libido si trasforma in una forza rivoluzionaria, in uno
strumento di ribellione contro la censura politica e sociale.
Il corpo
femminile diviene protagonista di dipinti, manufatti, foto e collage
surrealisti: idealizzato e mistificato o distrutto e frammentato è l’oggetto
passivo di un atto di violenza.
Collage e
montaggi diventano così i mezzi con cui dissezionare, ricomporre o sfigurare
l’immagine femminile. Usando la donna come un oggetto per la proiezione di
ansie e conflitti irrisolti, gli artisti – in particolare Hans Bellmer –
analizzano gli aspetti oscuri del desiderio.
Nella quinta
sezione, è messo a fuoco il potere inebriante e liberatorio dell’immaginazione
e del sogno come concetto chiave per i surrealisti.
I loro
paesaggi onirici evocano una sensazione di mistero, sfidando la nostra
percezione della realtà attraverso l’accostamento di oggetti scollegati tra
loro, spesso inseriti in paesaggi in cui tempo e spazio sono distorti. Come nei
sogni, la memoria e lo spazio viaggiano su binari paralleli, permettendo alla
realtà di mescolarsi con la fantasia.
Maria Paola
Forlani
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