Ambrogio
Lorenzetti
A Siena
presso Santa Maria della Scala, fino il 21 gennaio 2018, è visibile la mostra
dal titolo Ambrogio Lorenzetti (Siena, notizie dal 1319 al 1347), a
cura di Alessandro Bagnoli, Roberto Bartalini e Max Seidel (catalogo Silvana).
L’esposizione
rappresenta in realtà il culmine di un progetto scandito “in tappe”, avviato
nel 2015 con l’iniziativa Dentro il
restauro e mirato ad una profonda conoscenza dell’attività dell’artista, ad
una migliore conservazione delle sue opere e a favorire l’avvicinamento da
parte del pubblico. Con Dentro il
restauro, realizzato grazie al contributo del MiBACT per Siena Capitale
italiana della Cultura 2015, sono state trasferite al Santa Maria della Scala
alcune importanti opere dell’artista che necessitavano di indagini conoscitive
di interventi conservativi e di veri e propri restauri: il ciclo di affreschi
staccati della cappella di San Galgano a Montesiepi e il polittico della chiesa
di San Pietro di Castelvecchio a Siena (nell’occasione più correttamente
ricomposto e riunito con l’originaria cimasa raffigurante il Redentore
benedicente) sono stati allestiti in un cantiere di restauro ‘aperto’, fruibile
dalla cittadinanza e dai turisti. I restauri sono proseguiti con l’apertura di
altri due cantieri, il primo nella chiesa di San Francesco, volto al recupero
degli affreschi dell’antica sala capitolare dei frati francescani senesi, e
l’altro nella chiesa di Sant’Agostino, nel cui capitolo Ambrogio Lorenzetti
dipinse un ciclo di storie di Santa Caterina e gli articoli del Credo.
In mostra
tornano a vivere idealmente i cicli di affreschi del capitolo e del chiostro
della chiesa francescana senese, che tra l’altro contenevano la prima
rappresentazione di una tempesta nella storia della pittura occidentale nella
quale, come scrive Ghiberti, spiccava la “grandine folta in su e’ palvesi”; il
ciclo di dipinti della chiesa agostiniana senese, modello esemplare ancora agli
occhi di Giorgio Vasari, quando si approntò l’armadio delle reliquie della
cattedrale; quello della cappella di San Galgano a Montesiepi, a tal punto
fuori dai canoni della consolidata iconografia sacra che i committenti
pretesero delle sostanziali modifiche poco dopo la conclusione.
La prima
opera datata (1319) di Ambrogio Lorenzetti, è una Madonna col Bambino dipinta per la chiesa di Vico l’Abate, una
piccola località nei pressi di Firenze, dove la sua presenza è documentata e
dove, per un certo periodo, deve avere addirittura vissuto, se nel 1327 viene
immatricolato (insieme ad artisti locali, fra cui Giotto) nell’Arte dei Medici
e Speziali che, a partire da quell’anno includeva i pittori.
La Madonna di Vico l’Abate ha un impianto
monumentale che l’ha fatta mettere in rapporto con la pittura fiorentina. Ma,
più che volumetria, più che impostazione della Vergine in profondità, vi è
larghezza di superfici, delineate nettamente e rivestite dai colori, e vi è una
ieratica frontalità che sembra riallacciarsi piuttosto alle icone bizantine.
Questo
arcaismo, più che a un presunto tradizionalismo dell’autore, va attribuito
all’arretratezza culturale del committente, che viveva in una zona rurale, dove
le novità cittadine dovevano giungere con qualche ritardo.
Contrasta
infatti con la rigidezza della madre e con la fissità dei suoi occhi, la
vivacità del figlio che, se non fosse per l’aureola, sembrerebbe un qualsiasi
bambino, non il Dio incarnato in atto di benedire, conscio della sua alta
missione.
La scena è
vivacizzata anche dalla mobilità della linea che disegna Gesù e dalle tarsie
dei colori brillanti, sia quelli delle vesti sia quelli degli ornamenti del
trono.
Fra le molte
opere del pittore, la più vasta e impegnativa è costituita dagli affreschi
dipinti nella Sala dei Nove del Palazzo
Pubblico di Siena, con le Allegorie
del buono e del cattivo governo.
Gli
affreschi hanno contenuto politico. Da un lato la tirannia, guercia e cornuta,
che, circondata dai vizi, calpesta la giustizia. Dall’altro lato il governo
senese, giusto e pacifico, sostenuto dalla volontà unanime dei cittadini.
Il tema,
voluto dai <<Nove>>, il partito al potere, è un’esaltazione della
loro ideologia: non più illustrazione di idee religiose ma idee civiche.
La
complessità allegorica, la nobiltà degli intenti suscitarono ammirazione: forse
per questo il Lorenzetti appare al Ghiberti (che lo preferiva allo stesso
Simone Martini) <<altrimenti dotto che alcuno degli altri>> e al
Vasari <<gentiluomo e filosofo>>; ma proprio per questo è sembrato
invece ad alcuni critici moderni che la sapienza dottrinale prendesse il
sopravvento sul significato artistico, inquinandone la purezza. La tesi più
antica tende ad esaltare i contenuti, l’altra il linguaggio.
Ma Ambrogio
Lorenzetti ha lasciato altre testimonianze paesistiche, Una città vicino al mare e Un
castello in riva al lago, ambedue visti dall’alto, considerati il più
antico esempio di paesaggio dell’arte occidentale, databili probabilmente negli
stessi anni dell’affresco senese
.
Fra le
ultime opere del pittore sono due tavole, importanti per l’impostazione
prospettica: la Presentazione al tempio, del
1342 (Firenze, Galleria degli Uffizi) e
l’Annunciazione, del 1344. Soprattutto in
quest’ultima è stata notata la convergenza di tutte le linee di profondità del
pavimento in unico punto di fuga, come un’anticipazione delle teorie
rinascimentali
.
La mostra,
preceduta da un’intensa attività di ricerca e dalle importanti campagne di
restauro, rappresenta l’occasione per provare a ricostruire la straordinaria
attività di Ambrogio Lorenzetti. Una tale iniziativa è possibile soltanto nella
città di Siena, che conserva all’incirca il settanta per cento delle opere oggi
conosciute del pittore.
Ma la mostra
– grazie a una serie di richieste di prestiti – con opere provenienti dal Musée
du Louvre, dalla National Gallery di Londra, dalle Gallerie degli Uffizi, dai
Musei Vaticani, dallo Städel Museum di Francoforte, dalla Yale University Art Gallery
– ambisce a reintegrare pressochè internamente la vicenda artistica di Ambrogio
Lorenzetti, facendo nuovamente convergere a Siena dei dipinti che in
larghissima parte furono prodotti proprio per cittadini senesi e per chiese
della città.
Maria Paola
Forlani
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