Carlo Bononi
L’ultimo sognatore
dell’Officina Ferrarese
Certo sarebbe cosa nova e bella
vedere un Cristo in croce
le piaghe, per i sputi, per i scherni
e per il sangue trasformato;
san Biagio dai pettini lacero e
scarnato; Sebastiano pieno di
frezze rassimigliare un istrice;
Lorenzo ne la graticola arso,
incotto, crepato, lacero e difformato.
Giovanni
Andrea Gilio
Il suo nome è stato
accostato a quelli di Tintoretto e Caravaggio. Guido Reni ne ammirava la
<<sapienza grande nel disegno e nella forza del colorito>>. Pochi
sono stati capaci di dipingere nudi maschili più potenti e seducenti di quelli
di Carlo Bononi. Le sue tele sono vere e proprie meraviglie pittoriche create
in tempi tragici, di carestie e pestilenze, nell’Italia di inizio Seicento. A
servizio, ma non troppo, della Controriforma.
La mostra
aperta a Palazzo dei Diamanti di Ferrara sino al 7 gennaio 2018, costituisce
un’occasione imperdibile per accostarsi a un capitolo della storia dell’arte
affascinante anche se poco conosciuto. L’appuntamento espositivo è dedicato,
infatti, a uno dei grandi protagonisti della pittura del Seicento: il ferrarese
Carlo Bononi, il cui nome, non a caso, è stato spesso accostato a quelli di Tintoretto,
dei Carracci o di Caravaggio. La rassegna – la prima monografica a lui dedicata
– è organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte ed è curata da Giovanni Sassu e
da Francesca Cappelletti.
Per secoli
Bononi, come del resto l’intero Seicento ferrarese, è rimasto in ombra,
offuscato dal ricordo della magica stagione rinascimentale degli Este. Una
lenta operazione di recupero critico ha progressivamente messo a fuoco la
figura di un artista unico, che ha saputo interpretare in modo sublime e
intimamente partecipato la tensione religiosa del suo tempo.
Pittore di
grandi cicli decorativi sacri e di pale d’altare, Bononi elabora un linguaggio
pittorico che pone al centro l’emozione, il rapporto intimo e sentimentale tra
le figure dipinte e l’osservatore. Negli anni drammatici dei contrasti
religiosi, dei terremoti e delle pestilenze, il sapiente uso della luce e il
magistrale ricorso alla teatralità fanno di lui uno dei primi pittori barocchi
della penisola, come testimoniano le seducenti decorazioni di Santa Maria in
Vado.
L’impresa
riguardò il soffitto della navata, il transetto e il catino absidale sul tema
principale dell’esaltazione del Sangue di Cristo, uno dei dogmi riconfermati
dalla dottrina tridentina e al centro della predicazione dei canonici
lateranensi, committenti del ciclo. L’apoteosi del programma, che si dipana
nelle zone più rappresentative della chiesa – e forse anche il culmine
dell’invenzione del suo autore – è l’Esaltazione
del Santo Nome, dove un tripudio di ragazzi e ragazzini adagiati su nuvole
argentee, immersi in vapori grigiastri che ne nascondono parte dei corpi acerbi
ma atletici, si indicano l’un l’altro, senza troppa sorpresa, il prodigio o
indirizzano verso lo spettatore sguardi malinconici.
Gesti ampi ma aggraziati,
schiene tornite e senza ali, un variare di posture e di inclinazioni tradiscono
uno studio approfondito dell’anatomia, che spinse alcuni dei biografi ad
immaginare studi accademici a Roma; mentre quegli sguardi sollevati e quelle
teste piegate con dolcezza sembrano cogliere tutta la fragilità e l’incertezza
dell’adolescenza.
Si tratta
invece di angeli, di enigmatiche figure paradisiache, raffiguranti senza ali
come quelli del Giudizio michelangiolesco
e poi di Bastianino nella vicina cattedrale, secondo un’iconografia che non ha
nulla di profano o di volutamente ambiguo, ma si inserisce in una tradizione
che faceva capo a San Tommaso d’Aquino.
Bononi è
stato anche un grande naturalista: nelle sue opere il sacro dialoga con il
quotidiano. Tele come il Miracolo di
Soriano o l’ Angelo custode mostrano
quanto sentita fosse per l’artista la necessità di calare il racconto religioso
nella realtà, incarnando santi e madonne in persone reali e concretamente
riconoscibili. In questa prospettiva,
pochi come lui hanno saputo coniugare il nudo maschile con le esigenze
rappresentative dell’Italia ancora controriformista di inizio Seicento: i suoi
martiri e i suoi santi sono dipinti con perfezione potente e, al contempo,
suadente, ma senza alcun gusto voyeristico.
Bononi non
ha dipinto solo soggetti religiosi, è stato anche il sorprendente interprete di
una classe di committenti colti e attenti alle arti, con preferenze
spiccatamente musicali, inclini a contenuti figurativi un po’ licenziosi, come
provano le varie redazioni del Genio
delle arti, con i quali Bononi dialoga apertamente con Caravaggio e i suoi
seguaci.
Tra le opere
profane di Carlo Bononi un piccolo capolavoro è la tavola Enea fugge da Troia in fiamme con Anchise e Ascanio (1615-18). Nel
dipinto si possono cogliere quegli echi manieristici che furono una costante
nell’opera del Bononi, ma che si concentrano soprattutto tra giovinezza e prima
maturità. Il fare minuziosamente didascalico impiegato nonostante il piccolo
formato è tipico di un ragionare secondo modelli ancora in parte tardo
cinquecenteschi: il vecchio Anchise stringe forte a sé i penati che non ha
voluto abbandonare; la città di Troia è identificata dal cavallo ligneo donatole
dai Greci che, a confronto con le minuscole figurette ai suoi piedi, rivela le
proprie dimensioni colossali, gli ornamenti oscillanti delle vesti di Enea,
così come la sua muscolarità esibita, ricordano le figure possenti della
stagione tardomanierista bolognese di cui furono protagonisti Lorenzo Sabatini
e Prospero Fontana.
Tutto questo
era ben chiaro agli occhi dei contemporanei. Il “divino” Guido Reni, a pochi
mesi di distanza dalla morte di Carlo, avvenuta nel 1632, lo esaltava
descrivendolo <<pittore non ordinario>> dal <<fare grande e
primario>>, dotato di <<una sapienza grande nel disegno e nella
forza del colorito>>.
Un secolo
dopo Bononi attirava l’attenzione dei viaggiatori del Grand Tour, da Charles
Nicolas Coshin a Johann Wolfang Goethe, ma anche quella del grande Giuseppe
Maria Crespi e dell’abate Luigi Lanzi, il quale, nella Storia della pittorica d’Italia lo definisce <<un de’ primi
che l’Italia vedesse dopo i Carracci>>. Rafforza l’idea che i grandi
della storia dell’arte si sono fatti di questo pittore la valutazione di Jakob
Burckhardt che nel Cicerone (1815)
davanti alle decorazioni di Santa Maria in Vado si dichiarava convinto di
trovarsi di fronte al prodotto di una delle menti più brillanti del suo tempo.
Maria Paola
Forlani
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