Le trame di
Giorgione
Si è aperta
a Castelfranco Veneto, fino al 4 marzo 2018, una mostra dal suggestivo titolo Le
trame del Giorgione a cura di Danila Dal Pos (catalogo Duck Edizioni),
che presenta
capolavori della storia dell’arte e del tessuto riuniti in Casa Giorgione con
il compito di svelare una innovativa storia del costume.
La “Pala di
Castelfranco”, capolavoro primo di Giorgione, offre il naturale punto di
partenza per una sontuosa esposizione che trova negli ambienti del Museo Casa
Giorgione il suo fulcro. Per espandersi poi in diversi siti della Città Murata,
destinati ad accogliere l’attualità della grande tradizione di tessoria della
Serenissima di cinque secoli fa.
“Le trame
del Giorgione” si presenta come una mostra affascinante e coinvolgente,
ricchissima di capolavori e ancora più di storie e di nuove proposte
interpretative.
Si muove nel
doppio binario della storia dell’arte e della storia del tessuto, a comporre
una originale storia del costume.
Una delle
chiavi di lettura scelta dalla curatrice Dal Pos è quella allegorica, visione
che consente anche di illustrare diversamente l’opera e la figura del
Giorgione. Proprio a partire dalla Pala, opera di devozione certo, ma anche
potente messaggio politico e allegorico.
La tavola è
apparentemente tradizionale, sia per il tema della <<sacra
conversazione>>, sia per la posizione simmetrica dei santi ai lati della
Vergine. Anche l’altezza del trono ha dei precedenti: per esempio nella Pala di San Cassiano di Antonello da
Messina, dipinta a Venezia nel 1475-1476, oltre che in opere di ambienti
diversi, ma forse ugualmente note a Giorgione, come la Pala di Santa Maria in Porto dipinta da Ercole de’ Roberti nel 1481
a Ravenna.
Ma la
posizione elevata della Madonna serve a Giorgione per darle il ruolo di tramite
fra sacro e profano, fra l’intimità raccolta della zona anteriore dove sono i
santi e l’apertura verso il mondo.
Anche il
convergere delle linee prospettiche, apparentemente legato alla tradizione
fiorentina, contribuisce a questo scopo, perché il punto di fuga, estremamente
rialzato, si trova al di sopra del pannello che separa la zona anteriore da
quella retrostante, in modo che il nostro sguardo va al di là del divisorio
partecipando alla vastità spaziale.
Non vi è
dunque nessuno scarto prospettico dovuto a inesperienza giovanile, come
qualcuno ha sostenuto adducendo a prova che il basamento del trono è visto
dall’alto e i braccioli dal basso, senza rendersi conto che ciò dimostra
esattamente il contrario, perché la linea d’orizzonte si trova in un punto
intermedio fra l’uno e gli altri.
Si è poi
presunto di vedere in questa tavola un altro errore nelle misure della Madonna
e del Bambino che sono sembrate troppo piccole rispetto ai santi.
Ma anche in
questo caso non vi è errore. Semmai Giorgione ne ha aumentato le grandezze per
evitare che l’applicazione scrupolosa e meccanica della legge prospettica le
diminuisse al punto da far perdere loro il ruolo di protagonisti.
Si è anche
creduto che le figurazioni fossero prima disegnate e poi colorate seguendo
l’indirizzo rinascimentale fiorentino. Neppure questo è vero, o per lo meno lo
è parzialmente. Perché solo l’impianto prospettico-architettonico è disegnato,
o, meglio, è stato inciso con una punta sul gesso della preparazione secondo la
tecnica usuale nel ‘400. Per il resto non esiste disegno: tutto è realizzato
con strati di colori sovrapposti; il colore crea forme, gli spazi, le luci con
i vari toni che assume.
Se la
prospettiva lineare serve per realizzare lo spazio nell’ambiente al di qua del
divisorio, al di là la distanza è indicata dalla disposizione dei colori, i
quali non degradano, come in Leonardo, ma variano passando dalle tonalità più
calde dei primi piani a quelle fredde dello sfondo. Certo, come già si è
avvertito, il senso atmosferico che emana dal paesaggio è conseguenza delle
ricerche di Leonardo, ma alla <<prospettiva aerea>> di
quest’ultimo, Giorgione sostituisce, sviluppandola con maggior ampiezza, la
<<prospettiva cromatica>> già attuata da Giovanni Bellini.
Dalle
molteplicità dei toni riposanti nella morbida luce attenuata,
dall’atteggiamento rilassato dei personaggi, dalla loro pensosità, dal
distendersi del paesaggio silenzioso, nasce la dolce, sognante malinconia, il
racconto intimistico tipici dell’animo giorgionesco.
La Pala di
Castelfranco viene commissionata a Giorgione da Tuzio Costanzo, con l’obiettivo
di rassicurare Venezia sulla sua volontà di stabilirsi definitivamente a
Castelfranco, rinunciando così alle richieste inviate alla Serenissima di poter
ritornare a Cipro a godere in qualità di figlio del vicerè dei suoi cospicui
beni.
Quello di
Castelfranco è un dipinto destinato alla devozione privata, non c’è la
necessità di ambientare i personaggi in uno spazio monumentale, Giorgione li
colloca in un’area esterna, un terrazzo pavimentato a scacchiera che si apre
sul paesaggio, dal quale è però necessario separarli con una quinta di velluto
rosso per conferire alla scena la solennità necessaria ad una celebrazione,
quella appunto dei Costanzo, il cui stemma nobiliare è al centro della
composizione.
Lo
spiegamento di tessuti preziosi dal forte impatto cromatico, nell’opera, sono
autentici “status symbol” dell’epoca che esibisce così la ricchezza e
l’importante stato sociale di Tazio che non ha più motivazioni per tornare a Cipro.
Ed ecco allora che accanto ai lucenti rasi di seta del manto e dell’abito della
Madonna, si aggiunge la morbidezza del velluto unito di color cremisi del
parapetto; e da questo tessuto complesso, lavorato a Venezia fin dal XIV
secolo, Giorgione inizia l’esposizione di trame che rivelano via via una sempre
maggiore abilità tecnica, e che quindi risultano sempre più preziose: dallo
splendido velluto centrale verde, costruito con tre orditi, che comportano un
utilizzo doppio di seta, oltre all’oro filato presente nella trama fino al
velluto ancora più gradevole posto alle spalle della figura femminile, dove la
seta impiegata è addirittura triplicata, e alla preziosità del filo d’oro si
unisce qui anche il particolare effetto bouclé.
In mostra l’ultimo
nucleo del percorso espositivo racconta la storia della manifattura tessile
veneziana, in una narrazione ancora una volta sviluppato tra arte e raffinato
artigianato ed è quello dedicato al ‘700. Qui, accanto ai ritratti, viene
esibita la prestigiosa collezione tessile settecentesca del Duomo di
Castelfranco, insieme con abiti, corpetti, guanti e borsette dell’epoca,
provenienti da Palazzo Macenigo di Venezia.
Usciti dal
Museo, il percorso raggiunge i “luoghi di Giorgione” nell’antico centro
cittadino: il Duomo, la Torre Civica, lo Studiolo di Vicolo dei Vetri, la Casa
Costanzo, la Casa Barbarella. In queste suggestive ambientazioni il pubblico viene
invitato ad ammirare gli esiti attuali della grande tradizione veneziana della
tessitura.
Maria Paola
Forlani