Gli architetti di Zevi.
Storia e controstoria
dell’architettura italiana
1944 – 2000”
Al Maxxi di
Roma si è aperta una mostra dedicata a Bruno Zevi nel centenario della nascita
che resterà aperta fino al 16 settembre <<Gli architetti di Zevi. Storia e controstoria dell’architettura
italiana 1944-2000>> a cura di Pippo Ciorra e Jeane-Louis Cohen,
realizzata con la Fondazione Zevi.
Bruno Zevi
nasce a Roma nel 1918. Frequenta il liceo <<Tasso>> e diventa amico
fraterno di Mario Alicata e Paolo Alatri. Dopo la maturità si iscrive alla
facoltà di architettura. A seguito delle leggi razziali, lascia l’Italia nel
1939 per recarsi prima a Londra e poi negli Stati Uniti. Qui si laurea presso
la Grauduate School of Design della Harvard University, diretta da Walter
Gropius, e scopre Frank Lloyd Wright, della cui predicazione a favore di
un’architettura organica rimarrà acceso sostenitore per tutta la vita. A New
York, affiancato da Aldo Garosci, Enzo Tagliacozzo, Renato Poggioli e Mario
Salvadori, dirige i <<Quaderni italiani>> del movimento Giustizia e
Libertà: quattro numeri, fra il 1942 e il 1944, distribuiti illegalmente al di
qua delle Alpi con la complicità dell’intelligence Service. Seguendo, con
forza, l’apostolato dei fratelli Carlo e Nello Rosselli, assassinati a Parigi
nel 1937.
Dagli USA,
con lo pseudonimo Bruno Archi, scrive nel 1943: <<La tragedia non è tanto
che ci sia il fascismo; la tragedia è che ci sia il fascismo, quando i fascisti
sono tato pochi. L’indifferenza, l’apatia, l’assenteismo – in tutti noi – sono
forse peggiori del male>>. Nel 1944 rientra finalmente a Roma: partecipa
alla lotta antifascista nelle file del Partito d’Azione, promuove l’APAO
(Associazione per l’architettura Organica) e, l'anno successivo, fonda la
rivista <<Metron>>.
Zevi è
sempre pronto a spendersi per una ricostruzione non solo architettonica ma
culturale che potesse riscattare tutti dall’oscurantismo fascista.
E per fare
questo non bastava l’università e la carriera accademica. Zevi da sincero
democratico è convinto che la cultura debba arrivare a tutti ed essere
divulgata con ogni mezzo. Dai libri a basso costo, che nella sua vita produrrà
in maniera incessante come autore ed editore, a mostre rivoluzionarie, fino ai
mezzi di comunicazione di massa che lui saprà gestire come pochi.
Con la sua voce scandita e baritonale, i gesti ampi e teatrali, l’immancabile papillon, l’intelligenza prensile unita a una potente capacità retorica, Zevi fu un precursore nel costruire quell’immagine di sé, necessaria a cavalcare radio e televisione per portare il dibattitto sull’architettura nelle case di tutti gli italiani. Fu soprattutto dalle colonne della sua rivista “Architettura – cronache e storia” e dalla storica rubrica sull’ ”Espresso”, a cui collaborò dalla fondazione fino al giorno della sua scomparsa, che Zevi tracciò la linea della sua lotta politica e pratica contro <<l’architettura della repressione classicista, barocca e dialettale>>. Giudizio categorico contro tutto ciò che riteneva in odor di fascismo. L’Eur : <<Un orrore colossale e mostruoso. L’architettura fascista nella sua edizione più fiacca e balorda>>. Disneyland e i parchi giochi:<< Percorsi obbligati, costruiti sui modelli dei campi di concentramento>>. Il Vittoriano: <<Kitsch, accademico, devitalizzato, glacialmente arcaico, privo di gioia e di flagranza>>. La simmetria:<< Una grave malattia psichica, sintomo di instabilità interiore. Un edificio simmetrico incarcerato in se stesso, è antisociale. Tanti edifici simmetrici formano un discorso autoritario>>.
Sferrò una
lotta senza quartiere a ogni architettura coercitiva, ma soprattutto negli anni
Ottanta al nemico assoluto, Paolo Portoghesi e il citazionismo post moderno che
lui vedeva come una rinascita della monumentalità retorica, schiacciante e
nostalgica del passato.
Il suo
caratteristico “stile” appassionato e torrenziale si lascia riconoscere anche
scorrendo l’elenco dei volumi da lui dati alle stampe nel corso della vita:
dove ogni pubblicazione risponde a un’incondizionata adesione, a un pieno
coinvolgimento che oltrepassa di gran lunga i semplici doveri accademici. Così,
le monografie dedicate a singoli architetti (Franc Lloyd Wright, 1947; Erik
Gunnar Asplund, 1948; Richard Neutra,
1954, cui in seguito si aggiungeranno quelle su Erich Mendelsohn, 1970 e Giuseppe
Terragni 1980) rivelano in modo trasparente le sue predilezioni, le sue
ferventi scelte di campo.
E allo stesso modo, libri come Saper vedere l’architettura. Saggio sull’interpretazione spaziale dell’architettura (1948), così come pure Poetica dell’architettura neoplastica (1953), Architettura in nuce (1960) e Il linguaggio moderno dell’architettura. Guida al codice anticlassico (1973), testimoniano con precisione la concezione zeviana dell’architettura come spazio: spazio interno, e perciò coincidente con il suo utilizzo, o meglio ancora, con l’esperienza di vivere, e non semplicemente con la sua figuratività, appartenente piuttosto a una concezione pittorica, che Zevi ha ben cura di distinguere da quella architettonica.
Dopo la fine
del Partito d’Azione, Zevi non aderì ad altri partiti, e per un trentennio si
sentì politicamente orfano anche se si mostrò sempre disponibile a contribuire
a ogni iniziativa che rendesse democratico e liberale il socialismo italiano di
cui condivideva la tendenza riformatrice. Perciò, alla fine degli anni
settanta, fu inevitabile l’incontro con i radicali: quando nel 1987 gli fu
proposto di candidarsi al Parlamento per il Partito Radicale di cui era
diventato presidente, rispose: <<Accetto perché da azionista vedo in voi
gli eredi dei Rosselli>>. La sua presenza parlamentare (1987 – 1992) nel
gruppo di minoranza fu esemplare per l’intelligenza che non fece mai pesare il
prestigio e la fama di cui godeva.
La mostra
del Maxxi, racconta la biografia di Bruno Zevi e dei progetti in un doppio
binario, caratterizzati da due colori contrastanti, l’arancio vitage e il
giallo.
I lavori presentati,
come in uno studio, con tavoli, mensole e librerie sono realizzati dai suoi
“pupilli”, alcuni più famosi altri meno conosciuti, altri ancora di cui è in
atto un processo di revisione critica. Ecco allora Carlo Scarpa e Pier Luigi
Nervi, Renzo Piano, Franco Albini, Piero Sartogo e Maurizio Sacripanti, Un
omaggio doveroso a un grande intellettuale e alla sua ostinata difesa dei
valori liberal-democratici che getta una luce diversa sulla storia dell’architettura.
Maria Paola
Forlani
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