A Cavallo del Tempo.
L’arte di cavalcare
dall’antichità al Medioevo
Il cavallo
figura fra gli ultimi animali ad essere addomesticato.
Solo sul
finire del IV secolo a.C., nelle steppe dell’Asia centrale, per la prima volta
il cavallo cessò di essere semplicemente una preda da carne per intrecciare
sempre più strettamente il suo destino con quello dell’uomo.
Si è aperta
nella settecentesca Limonaia del Giardino di Boboli a Firenze la mostra
A cavallo del Tempo.
L’arte di cavalcare dall’antichità al Medioevo, a cura di Lorenza Camin e Fabrizio
Paolucci, fino al 14 ottobre (catalogo Sillabe). L’evento vuole raccontare
proprio questo antico rapporto con selezione di oggetti che, spesso trascurati
nell’esposizioni museali a vantaggio di opere più appariscenti, sono invece in
grado di narrare le mille sfaccettature di una relazione che coinvolge ogni
aspetto della vita quotidiana.
Quale sia
stato il luogo in cui sia nata e sviluppata la domesticazione del cavallo è
ancor oggi uno degli argomenti di più acceso dibattito nella letteratura
scientifica. Sembrerebbe del tutto illogico immaginare che il cavallo abbia
iniziato la sua millenaria storia di convivenza con l’uomo in un luogo diverso
da quello dell’Europa orientale e delle steppe euroasiatiche. Strumenti
necessari al controllo dell’animale (morsi, filetti, speroni, staffe etc.) sono
esposti in mostra accanto a una serie di opere scelte per illustrare, nel modo
più diretto e realistico, il ruolo primario che il cavallo ebbe nel mondo
antico.
I reperti presenti, quasi un centinaio, provengono da decine di musei
italiani e stranieri e illustrano un arco di tempo di oltre duemila anni, dalla
prima Età del Ferro sino al Tardo Medioevo. Il percorso, incentrato soprattutto
sul mondo italico, è articolato in cinque sezioni, ognuna delle quali è
dedicata a un particolare momento storico: la Preistoria, il mondo greco e magno greco,
il mondo etrusco e venetico, l’epoca romana e il Medioevo.
Fra i
numerosi reperti che, per la prima volta, sono restituiti alla curiosità del
pubblico figura il carro di Populonia.
Questo rarissimo esempio di calesse
etrusco, rinvenuto alla metà del XX secolo della cosiddetta Fossa della Biga, è
stato ricomposto a seguito del recente intervento di restauro, eseguito proprio
in occasione di questa mostra. L’opera, realizzata in legno, ferro e bronzo e
databile agli inizi di V secolo a.C., costituiva un veicolo ad andatura lenta
destinato al trasporto di personaggi di alto rango.
Di
particolare suggestione sono anche due crani equini rinvenuti durante gli scavi
della necropoli occidentale di Himera e oggi conservati presso il Museo Pirro
Marconi del Parco Archeologico di Himera. Nel 480 a.C., a Himera, i Siracusani
sconfissero i Cartaginesi in un violento scontro che portò alla morte di centinaia
di soldati e cavalieri. In prossimità del luogo della battaglia sono state
rinvenute fosse comuni e tombe destinate ai corpi dei caduti, affiancate da
sepolture equine.
Gli esemplari esposti in mostra presentano morsi ad anello
bronzei, un tipo di imboccatura nota prevalentemente in aerea iberica, che
sembra confermare la presenza di mercenari ispanici entro le fila dell’esercito
cartaginese, come testimoniato anche da Erodoto (VII, 165). Il loro
rinvenimento risulta straordinario: infatti, nel V secolo a.C. sono assai rare
le attestazioni di sepolture equine nel mondo greco e magno greco, ma la
risonanza dell’evento fece si che i soldati e i loro cavalli fossero oggetto di
particolari onorificenze.
Vera e
propria sintesi del rapporto fra uomo e cavallo può essere considerata la Kylix attica a figure rosse con Atena e
il cavallo di Troia, oggi conservata presso il Museo Archeologico Nazionale di
Firenze. L’esemplare, dipinto dal Pittore di Sabouroff, attivo tra il 470-460 e
il 440-430 a.C., presenta sul tondo interno la raffigurazione della dea Atena
seduta su trono, intenta ad accarezzare un cavallo di grandiose dimensioni.
L'animale è ornato di tainiai niketeriai,
le bende in lana rossa simbolo della vittoria. La maggioranza degli
studiosi si trova pertanto concorde nell’indentificarvi Atena insieme al
Cavallo di Troia, emblema dello stratagemma da lei stessa architettato, che
portò alla conclusione della guerra con la vittoria achea.
A questi
reperti se ne aggiungono molti altri che affrontano i più diversi aspetti del
rapporto fra uomo e cavallo. Nel lavoro quotidiano (esemplificato in mostra da
un rarissimo giogo ligneo dai relitti delle navi di Pisa) come nel giogo, nella
guerra come nelle celebrazioni religiose i destrieri furono sempre una presenza
costante al fianco dell’uomo.
Ultimo fra gli animali addomesticati, il cavallo
seppe infatti strappare un ruolo di primo piano nell’arte, nella società e
nella letteratura del mondo antico grazie alla sua innata bellezza e nobiltà
che, inevitabilmente, finivano con l’irradiarsi anche al suo cavaliere.
L’intero concetto di questa mostra sembra contenuto in una delle opere che vi sono esposte, una splendida coppia di frontali in bronzo e avorio, del IV secolo a.C., destinati a proteggere il muso del cavallo: il perimetro della lamina sagomata e decorata a sbalzo ne segue pertanto l’anatomia allungata, ma al suo interno, invece di una fisionomia equina, racchiude le sembianze di un volto umano con un elmo sul capo. Cavallo e cavaliere diventano una cosa sola.
Dal Paleolitico a tutto il Cinquecento, la rassegna di fatto indaga questo rapporto, di un’attualità spesso insospettata, e che attraversa tutta la nostra storia.
La
multivisione “A cavallo del tempo”, ideata e diretta da Gianmarco D’Agostino,
completa il percorso espositivo con proiezioni di circa 300 metri quadri. La
corrispondenza visiva tra opere in mostra e immagini dal vero, insieme a una
colonna sonora immersiva, arricchisce il viaggio alla scoperta dell’amicizia
attraverso i secoli tra uomo e cavallo.
Maria Paola
Forlani
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