Fritz Koenig
1924 – 2017 La
Retrospettiva
Il creatore di The Sphere delle Torri
Gemelle di New York
“Poi è arrivato l’11 settembre 2001.
Il giorno dell’attentato siamo a casa nella Pacific Palisades e seguiamo dal
vivo alla televisione come si consuma la fatidica tragedia. Telefono a Koenig.
Lui dice: l’unica cosa che ora conta è la catastrofe umana. Chi sono io o il
mio lavoro in confronto a tutto ciò. E dopo una lunga pausa. Adesso è polvere.
Per 28 anni, dal 1973, la grande cariatide sferica di New York (Grosse
Kugelkaryatide N.Y.), conosciuta nel linguaggio popolare come The Sphere, si
era specchiata su una superficie d’acqua mentre nuotava in maniera quasi
impercettibile. Nella Plaza, tra i due grattacieli alti 400 metri, era
diventata il simbolo dell’incontro. Adesso è polvere, il che significa che è
stata schiacciata fino a diventare un epitaffio. Tre settimane dopo mi
telefona. Fa capolino. E il giorno dopo.
Ė danneggiata. Non distrutta.
Devi andarci gli dico”.
Lo racconta
Percy Adlon, regista fra l’altro di Sugar
Baby e di Bagdad Cafè e autore di
cinque documentari sullo scultore, nel suo testo “Fritz Koenig – come lo conoscevo” che è nel catalogo edito da
Sillabe che documenta con molte foto tutta la carriera, la vita, dell’artista
bavarese, scomparso novantatreenne, un anno fa.
Fino al 7 di
ottobre Firenze celebra Fritz Koenig (20 giugno 1924- 22 febbraio 2017), da molti
considerato fra i più importanti scultori del ventesimo secolo, con una grande
mostra monografica (sotto il patrocinio del Duca Franz di Baviera, amico e
collezionista dell’artista), la prima dopo la sua morte, presentando nei
magnifici spazi del Giardino di Boboli e nelle sale degli Uffizi una grande
quantità di sue opere, fra sculture e disegni, compresi, per la prima volta, i
lavori degli ultimi quarant’anni della sua vita.
I curatori
Alexander Rudigier, Eike D. Schmidt, Stefanje Weinmayer hanno messo a
disposizione gli spazi più suggestivi per questa occasione straordinaria. Il bronzo,
la pietra, il corten delle monumentali sculture di Koenig ritmano gli spazi del
capostipite dei giardini all’italiana offrendo alla vista l’intreccio prezioso
fra le loro forme, lisce o ruvide, spesso apparentemente instabili e padrone di
uno studiato disequilibrio, e lo sfondo di panorami unici e le quinte delle
siepi, dei grandi alberi, dei prati.
Personalità
forte e complessa Koenig negli anni rifiutò il mondo dell’arte e decise di
ritirarsi, con la moglie Maria, nella sua tenuta di Gansiberg, in Baviera,
dedicandosi con passione anche ai suoi amati cavalli purosangue arabi dei quali
diventò allevatore, ai suoi pavoni, alle galline, ai gatti, insomma alla sua “arca
di Noè” come la chiamava circondato dalla sua collezione di arte africana tra le
più notevoli al mondo.
“Fritz
Koenig aveva occhi blu, attenti.
Aveva anche delle mani bellissime con dita forti e allo stesso tempo affusolate, proprio come lui stesso le ha disegnate. Era un uomo pieno di fascino, subito ammaliava chiunque. Il fascino è, secondo un’ineguagliabile definizione di Albert Camus, ciò che porta una persona a dire sì prima ancora che gli sia stato chiesto qualcosa. Con le donne diventava addirittura un seduttore, e a loro non riusciva a resistere” scrive in catalogo Alexander Rudiger, curatore della mostra. Proprio l’amore, l’eros è stato fra i temi dominanti del suo lavoro, come la morte del resto, gli epitaffi dell’olocausto.
Ci andò a
New York, Koenig. La sfera si era miracolosamente salvata dal disastro grazie a
due grandi lastre di acciaio che precipitate l’avevano protetta. Si era
danneggiata ma non gravemente, l’artista intervenne, la restaurò ed è ancora
lì, a Grand Zero.
Maria Paola
Forlani
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